domenica 30 novembre 2014

#province Disastro #Delrio le colpe gravissime dei #media che solo ora si svegliano

Dovrebbe destare indignazione l’affronto all’ordinamento civile dato dalla legge Delrio. Una legge pessima, pandemonio incredibile di disorganizzazione, che mista all’accanimento della legge di stabilità, mentre non ha eliminato le province (ma ha cancellato il diritto di voto dei cittadini), ha eliminato i servizi ed aperto problemi rilevanti di ricollocazione di 28.000 dipendenti.

Per mesi e mesi la stampa generalista non ha saputo fare altro che accodarsi all’ukaze anti province pronunciato dalla coppia Stella&Rizzo. I due cronisti del Corriere manifestarono nel loro libro La Casta l’opinione che le province dovessero essere abolite. Per darsi ragione, hanno lanciato l’ottusa campagna contro le province, lungo la scia della quale supinamente prima si sono agganciati tutti gli altri giornalisti, poi anche la politica, che in ribasso di stima e consensi aveva bisogno, ovviamente, di un capro espiatorio per far vedere che era capace di riformare se stessa.

E cosa ha riformato? Ovviamente solo la parte più piccola di se stessa: un sistema di enti che vale l’1,15% del totale della spesa pubblica. Tutto questo, mentre gli scandali presso le regioni emergevano ogni giorno, il debito spaventoso del comune di Roma, che da solo ha una spesa corrente superiore alla metà della spesa di tutte le 107 province italiane, continuava a crescere, pagato da tutti i cittadini italiani.

Indigna che i giornalisti abbiano inteso disinteressarsi totalmente della qualità scadentissima della legge Delrio, sin dalla sua presentazione. Era chiaro che sarebbe stata fonte solo di problemi. Ma, per non apparire meno Savonarola di Stella&Rizzo, nessuno, mentre il disegno di legge era in corso, osò mai lanciare un sussurro critico. Anche perché, la legge Delrio, avviata dal Governo Letta, passò in eredità al Governo Renzi. E mentre era ancora in vita la luna di miele di detto Governo con gli italiani, quale migliore regalo di nozze far passare come “epocale” e “moderna” la riforma delle “province”?

Il populismo cortigiano così ha trionfato, nonostante le carenze evidentissime di una delle leggi di qualità peggiore mai viste nell’ordinamento italiano. Una macchia gravissima e indelebile per i collaboratori giuridici dell’attuale sottosegretario Delrio, che dovrebbero fare il mea culpa ed essere allontanati da qualsiasi incarico ulteriore. Se si fosse in un mondo normale.

Indigna, ulteriormente, la circostanza che la stampa generalista, in questi ultimi giorni, si accorge a poco a poco degli effetti nefasti della legge Delrio. Indigna che ciò stia avvenendo dopo che è apparso chiaro come la riforma delle province non avrebbe portato alcun risparmio, sì da costringere il Governo, per far apparire il contrario (perché i risparmi erano una delle giustificazioni alla mossa di riformare le province) ad imporre tagli lineari e forfettari nella legge di stabilità draconiani. E totalmente insostenibili, sì da pregiudicare non la sopravvivenza dell’ente, cosa oggettivamente secondaria, ma i servizi ai cittadini,

Indigna che la stampa generalista stia aprendo gli occhi e scoprendo i danni devastanti della legge Delrio ora che è troppo tardi ma, soprattutto ora che essere cortigiani del Governo non è proprio più così utile, poiché i consensi per il premier sono in evidente ribasso e, dunque, è opportuna un’opera di “ripiazzamento”, fiutando il vento di possibili modifiche nei rapporti di forza.

Così, adesso, una testata come il Quotidiano Nazionale, che come le altre nei mesi e giorni scorsi ha solo incensato il vulnus all’ordinamento, alla logica, al buon andamento dell’amministrazione pubblica, il 30 novembre 2014, per voce del direttore fa una requisitoria contro la legge Delrio (e sullo sfondo, contro la legge di stabilità).

Leggiamo spezzoni fior da fiore dell’editoriale del direttore Mancini. “la magìa di farle sparire non è riuscita”; “è sopravvissuto quel feticcio della città metropolitana, che non è carne ne pesce, non ha in cassa nemmeno un euro e galleggia con ventimila dipendenti che hanno al collo una ciambella inaffondabile”; “quando furono trionfalmente cancellate nella fretta di intascare il risultato, nessuno ebbe il coraggio di soffermarsi sui dettagli - era affiorato il dubbio che fosse un Operazione di marketing. da buttare in pasto al popolo affamato di ghigliottina, senza che ci fosse un piano di «smaltimento»”; “ora abbiamo la certezza: è il caos. I nuovi enti di secondo grado sono una brutta copia della vecchia istituzione, hanno sullo stomaco antichi debiti ma soprattutto non si sono messi in regola con i nuovi obblighi. C'è da pensare al riscaldamento nelle scuole, ai tetti degli istituti che cedono, a spazzare la neve che arriverà presto, a bitumare le strade provinciali che franano. In alcuni casi interverrà la Regione, in altri il Comune, ma lo faranno m un regime di totale precarietà che offende quanti credevano veramente che la situazione sarebbe migliorata e i cittadini avrebbero risparmiato chissà cosa, tagliando tremila consiglieri provinciali”; “Non è nemmeno escluso che alla fine sia necessaria una forma straordinaria di intervento fiscale, insomma, pescare da nuove tasse, per garantire i servizi essenziali orfani delle Province. Ma allora, dove sta il risparmio che pensavamo di aver conquistato eliminandole fra gli applausi? Altro che spending review”.

“Ora” abbiamo la certezza che è il caos? Ora? E prima, la stampa cosa stava a fare? A vendere a buon mercato propaganda per ingraziarsi la maggioranza, vendere giornale e vellicare il populismo?

“Dubbio che fosse un’operazione di marketing”? Dubbio? Chi lo ha mai manifestato? E, di fronte a un simile dubbio, come è possibile che la stampa abbia taciuto e omesso.

“Risparmio che pensavamo di aver conquistato”? “Pensavamo”? Ma, i giornali debbono cadere nelle illusioni e venderle poi ai cittadini, oppure saper far di conto, analizzare dati, fornirli per quello che sono e cercare, per quanto possibile, di fermare idee e riforme dannose?

“Fra gli applausi”? E quale giornale si sarebbe astenuto dal laudare la deleteria riforma, ignorandone totalmente le gravissime pecche?

Troppo facile, troppo auto assolutorio, dire “ora abbiamo la certezza che è il caos”, anche se era largamente prevedibile che la stampa sarebbe stata pronta a criticare gli effetti devastanti della Delrio, una volta attuata. Il caos era lì, scritto e descritto nella folle stesura della norma, accentuato prima dal d.l. 66/2014 che ha impedito a tutte le province di rispettare il patto di stabilità, e ora nella legge di stabilità che le manda inevitabilmente in default, azzerando servizi a beneficio dei cittadini, come la manutenzione in sicurezza delle strade o delle scuole.

Il tutto per compiacere l’ego populista di qualche giornalista “di inchiesta” e di componenti di un Governo che non ha avuto ancora, fin qui, di meglio da offrire come “riforme”. E, anche, per ingraziarsi una forza politica come M5S (non si sa mai...) che dell'abolizione delle province e delle fotocopie degli scontrini ha fatto le più percepibili evidenze del proprio programma.

Il caos era evidentissimo. E l’idea per fare meno danni possibile intervenendo sulle province era una e una sola: se proprio si riteneva necessario riformarle, occorreva sopprimerle, passando direttamente tutte le funzioni e le risorse alle regioni, senza soluzione di continuità: “Trasferire direttamente le funzioni provinciali alle Regioni consentirebbe anche di risolvere molto più agevolmente i problemi di revisione della finanza locale e dei trasferimenti finanziari dello Stato.

I comuni in Italia sono oltre 8.100 e risulta parecchio complicato fissare un criterio convincente e funzionale per ripartire tra essi funzioni accorpate e gestite sin qui da soli 110 enti. Inoltre, il Dl 95/2012, come prima il decreto “salva-Italia”, dispone che con le funzioni debbano passare ai comuni le risorse strumentali, patrimoniali, organizzative e umane. Ed è altrettanto complicato immaginare una modalità di equilibrata distribuzione tra i comuni di quest’imponente massa di risorse. Alla fine, il rischio è che, da un lato, ciascun comune potrebbe trovarsi con nuove incombenze e dotazioni insufficienti; dall’altro, che il personale sia destinato a coprire i posti vacanti per le funzioni tipiche comunali, trascurando quelle provinciali.

Trasferire le funzioni alle Regioni è, invece, molto più semplice: è certo più facile concentrare trasferimenti statali, entrate tributarie ed entrate di 110 province verso venti Regioni, che non dividerle in 8.100 comuni.

Le Regioni dispongono, inoltre, di una forte autonomia organizzativa, tale da realizzare presidi territoriali di dimensioni provinciali, senza ricorrere alla creazione di nuovi enti intermedi”. Ci si scusa per l’autocitazione, ma quello che precede è uno spezzone dell’articolo “Se le regioni inglobano le province” pubblicato su La Voce.info il 12 luglio 2012, quando la legge Delrio nemmeno era un progetto di legge.

Il modo per evitare che il caos si verificasse c’era: era ruolo della stampa e del mondo dell’informazione non farsi dettare il compitino dai capifila del populismo cortigiano, ma saper analizzare fatti e dati da subito, per evidenziare agli occhi della popolazione immediatamente tutta la negatività di una riforma, senza aspettare che essa dipanasse la sua devastazione.

Alcuni di coloro che hanno operato per scrivere la riforma delle province sono ancora al lavoro col Governo per collaborare nella riforma della Costituzione. Non è un caso che essa abbia la medesima impronta antidemocratica dell’esclusione del diritto di voto, molto pronunciata al Senato ma altrettanto evidente alla Camera.

In questo caso, qualche flebile voce critica nella stampa si coglie. Ma sembra manierismo. Speriamo che l’esperienza drammatica della riforma delle province possa servire ad evitare che la stampa si riesibisca in tardive lacrime di coccodrillo. Ma c’è oggettivamente da dubitarne molto.

3 commenti:

  1. Na altri organi di stampa generalista ora si sono ravveduti, oltre al quotidiano nazionale, o no?

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  2. È ancora....pare che anche i sindacati avessero apprezzato la legge del rio...o no?

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  3. Capisco Delrio, capisco Renzi, capisco la vulgata politica-mediatica-populistica incosciente cha ha alimentato la crociata contro le province ma non capisco il silenzio (assordante si diceva una volta) del capo dello Stato Giorgio Napolitano. Le province vorrei ricordare, ad oggi sono ancora organi previsti dalla costituzione e Napèolitano è una dei garanti della suprema Carta (cosi mi hanno insegnato all'università) e il governo sta mandando in default la sua diramazione amministartiva per fare tornare i conti ( a forza) della Delrio. E' d'accordo?

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