sabato 20 dicembre 2014

#province Cronaca di una #riforma folle #licenziamenti #leggedistabilità

La vicenda della “riforma” delle province non poteva concludersi (ma, in realtà, siamo ancora solo alle prime fasi) in modo peggiore.

La legge di stabilità 2015, che si è agganciata, per altro violandola, alla pessima riformaccia operata da Delrio, ha scaturito un florilegio di menzogne, equivoci, caos amministrativo, violazioni di norme di legge in una serie probabilmente destinata ad allungarsi per molto tempo.

Il tutto, sulla pelle dei lavoratori delle province, ma, soprattutto, degli inconsapevoli cittadini, che inneggiano alla per altro inesistente “abolizione” delle province, mentre aboliti sono i servizi che esse erogano. Proviamo, in questa baraonda, a fare un po’ di ordine.

La situazione derivante dall’emendamento. Effetto del maxiemendamento alla legge di stabilità è il taglio delle dotazioni organiche:

  1. a) per le province, in misura pari al 50% del costo della dotazione organica del personale di ruolo al 9 aprile 2014;

  2. b) per le città metropolitane, in misura pari al 30% del costo della dotazione organica del personale di ruolo al 9 aprile 2014.


Questo implica che circa 20.000 dipendenti, entro aprile 2015, dovranno essere dichiarati “soprannumerari”. Cosa significa? Che pur continuando a lavorare presso province e città metropolitane, non fanno parte della dotazione organica. Ancor più chiaramente: il costo dei loro stipendi non è giustificato e, dunque, le province e le città metropolitane debbono disfarsene.

Perché le province si alleggeriscano del peso finanziario di stipendi non più ammissibili alla luce del tetto di costo della dotazione organica, come è noto il maxi emendamento prevede, negli anni 2015 e 2016:

  1. a) la mobilità (che non è quella condizione del dipendente licenziato, operante nel settore privato), cioè il trasferimento dei dipendenti provinciali verso:

    1. in via privilegiata regioni e comuni, i quali negli anni 2015 e 2016 potranno assumere:

      1. solo i vincitori dei concorsi già banditi, non ancora chiamati in servizio a stipulare il contratto di lavoro;

      2. solo i dipendenti provinciali da ricollocare;



    2. in via subordinata, presso le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, le università e gli enti pubblici non economici, ivi compresi quelli di cui all’articolo 70, comma 4, del d.lgs 165/2001, con esclusione del personale non amministrativo dei comparti sicurezza, difesa e Corpo nazionale dei vigili del fuoco, del comparto scuola, Afam ed enti di ricerca, le quali amministrazioni dovranno:

      1. effettuare una ricognizione dei posti da destinare alla ricollocazione del personale provinciale, comunicando un numero di posti “soprattutto riferiti alle sedi periferiche” (soprattutto, dunque, ma non solo), corrispondente, sul piano finanziario, alla disponibilità delle risorse destinate, per gli anni 2015 e 2016, alle assunzioni di personale a tempo indeterminato;

      2. effettuare assunzioni esclusivamente:

        1. a beneficio dei vincitori di concorsi pubblici collocati nelle graduatorie vigenti o approvate alla data di entrata in vigore della legge finanziaria;

        2. a beneficio del personale provinciale da ricollocare, non assunto in mobilità da regioni e comuni. A tale scopo, il Dipartimento della funzione pubblica, una volta effettuata la ricognizione (piccolo particolare: la legge non stabilisce le scadenze entro le quali le amministrazioni statali dovranno concluderla; potrebbero volerci anni) pubblica l’elenco dei posti comunicati nel proprio sito istituzionale. La mobilità dei dipendenti provinciali da riallocare dovrà privilegiare il rimpinguamento degli organici degli uffici giudiziari, utilizzando il fondo di rogazione previsto dall’articolo 30, comma 2.3, del d.lgs 165/2001, senza il trasferimento a tale fondo, a carico delle province della somma pari al 50 per cento del trattamento economico spettante al personale trasferito facente capo all’amministrazione cedente.



      3. Il divieto, per regioni, comuni e amministrazioni statali, nelle more del completamento della ricollocazione dei dipendenti provinciali, di effettuare assunzioni a tempo indeterminato, con la precisazioni che le assunzioni effettuate in violazione delle disposizioni sintetizzate prima sono nulle.






Menzogne 1. No licenziamenti. Da giovedì 18 dicembre ancora in questi giorni, Governo e maggioranza sono una voce sola nell’affermare: “nessun dipendente provinciale sarà licenziato”. Peccato che questa affermazione non corrisponda per nulla alla verità.

Di fatto, il maxiemendamento propone, per i 20.000 dipendenti provinciali circa interessati, una sorta del peggiore “accompagnamento” alla pensione o al licenziamento mai sperimentato in Italia.

Infatti, nella realtà si precostituisce una condizione di esubero di fatto dei 20.000 lavoratori, con una prospettiva di prolungamento della loro attività lavorativa di 48 mesi a decorrere dall’aprile 2015. E l’ipotesi del licenziamento è cosa certa, certissima: l’unico dubbio non riguarda “se” i dipendenti in esubero saranno licenziati, bensì “quanti” saranno licenziati.

L’autore dell’emendamento che interessa le province, su IlSole24Ore del 20 dicembre, in un’intervista, con notevole sfacciataggine, sintetizza i travisamenti della realtà riguardanti i licenziamenti:

  • - “Martedì abbiamo incontrato le organizzazioni sindacali che in quella sede ci hanno posto il problema degli esuberi che ci sarebbero stati con il taglio reale che avevamo in mente di fare. Ma non c'è alcun taglio lineare. Stiamo solo attuando la legge Delrio e il protocollo sottoscritto con le regioni”;

    • o quanto dichiara Bressa è non corrisponde al vero, perché:

      • se una legge prevede di tagliare il costo di un aggregato finanziario, cioè la dotazione organica, di una percentuale (50% per le province, 30% per le città metropolitane), ciò è aritmeticamente un taglio lineare; il taglio lineare, infatti, è un taglio forfettario, uguale per tutti, a prescindere dalle condizioni oggettive dell’insieme al quale il taglio viene apportato;

      • l’emendamento non attua per nulla la legge Delrio, ma la vìola o, comunque, la riforma indirettamente, perché essa non ha previsto per nulla il taglio delle dotazioni organiche, ma un modo completamente diverso di gestire i trasferimenti del personale (lo vedremo meglio di seguito);



    • - “stiamo parlando di rideterminazione delle dotazioni organiche, non di tagli lineari. A quei numeri siamo arrivati prendendo i consuntivi 2012 delle province e considerando solo le loro funzioni fondamentali: costruzione e gestione delle strade, oltre 5mila scuole secondarie e assistenza ai comuni che insieme valgono il 50% del personale. Nelle città metropolitane che hanno più funzioni valgono invece il 30 per cento. Sulla base di questo abbiamo poi rapportato il personale alle fonti di entrata ed è venuto fuori che i tributi provinciali sono sufficienti a gestire la spesa

      • o anche questa dichiarazione è un inno alla realtà solo virtuale;

        • sui tagli lineari abbiamo già detto; rideterminare le dotazioni organiche a partire da un taglio forfettario del costo è un taglio lineare: occorre che Bressa se ne faccia una ragione, oppure che modifichi per decreto le regole dell’aritmetica. Ciò che conta è, comunque, prendere atto che si tratta solo di una menzogna;

        • che si tratti di un taglio lineare, Bressa lo conferma quando spiega come il Governo è arrivato a “rideterminare” le dotazioni organiche: “prendendo i consuntivi 2012 delle province e considerando solo le loro funzioni fondamentali”. Una scorrettezza ed una bugia in una frase sola. La scorrettezza: impostare i conti sui consuntivi del 2012. Dal 2012 al 2014, alle province sono stati inferti tagli ad entrate e spese per circa 1,5 miliardi. I consuntivi 2012 si riferiscono ad una spesa totale di circa 11,5 miliardi; ma nel 2014 la spesa (e le entrate) totali non superano i 10 miliardi. Dunque, già la base di riferimento della “rideterminazione” è totalmente sbagliata, perché si rifà ad una spesa provinciale gonfiata di 1,5 miliardi: il che crea da subito un buco di pari valore. La bugia: questo metodo è in totale contraddizione con la legge Delrio (come abbiamo detto sopra). La sia pur pessima riforma operata dalla legge 56/2014 prevede che prima Stato e regioni, attraverso le indicazioni del Dpcm 26 settembre 2014 determinino nel dettaglio (e non in modo forfettario sulla base dei consuntivi 2012) le spese connesse alle funzioni, e solo dopo l’insieme delle funzioni provinciali, delle loro fonti di finanziamento, del personale impiegato e delle risorse strumentali, passi a Stato, regioni o comuni, con uno spostamento delle risorse, senza alcun taglio e senza alcuna situazione di sovrannumerarietà dei dipendenti; dunque, la legge di stabilità cancella questo percorso più logico e virtuoso, per quanto caotico, e crea un ulteriore caos, che le informazioni totalmente falsate fi Bressa non possono eliminare;



      • - “il problema sarà gestire la fase di transizione in cui gli enti avranno il personale in mobilità e le regioni staranno ancora definendo le loro funzioni. Ma proprio per questo abbiamo introdotto una norma speciale che ci consente di applicare solo la norma generale sulla messa in disponibilità solo dopo due anni”.

        • o Qui la mistificazione della realtà raggiunge il suo apice. Vediamo perché.

        • o La norma di cui parla Bressa è la seguente: “Al 31 dicembre 2016, nel caso in cui il personale interessato ai processi di mobilità di cui ai commi da 421 a 426 non sia completamente ricollocato, presso ogni ente di area vasta, ivi comprese le città metropolitane, si procede, previo esame congiunto con le organizzazioni sindacali che deve comunque concludersi entro trenta giorni dalla relativa comunicazione, a definire criteri e tempi di utilizzo di forme contrattuali a tempo parziale del personale non dirigenziale con maggiore anzianità contribuiva. Esclusivamente in caso di mancato completo assorbimento dei soprannumeri e a conclusione del processo di mobilità tra gli enti di cui ai commi da 421 a 425, si applicano le disposizioni dell'articolo 33, commi 7 e 8, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”.

        • o L’intera disposizione smentisce completamente il mantra di Bressa e di ogni altro parlamentare della maggioranza che racconta “nessun dipendente sarà licenziato”. Infatti, il testo stesso dimostra senza tema di smentita che il legislatore prende esplicitamente in considerazione il caso di mancata completa ricollocazione dei dipendenti. Tanto è vero che prevede due “rimedi”:

          • Il riutilizzo con forme contrattuali a tempo parziale per il personale non dirigenziale più anziano (una specie di prepensionamento a prestazioni lavorative e stipendiali ridotte);

          • L’applicazione delle disposizioni contenute nell’articolo 33, commi 7 e 8, della legge 165/2001.



        • o Ora, il Bressa, come moltissimi altri, ma lo stesso Legislatore, parlano in modo arcano, perché sanno di rivolgersi ad una maggioranza di persone che non sa cosa disponga l’articolo 33, commi 7 e 8, del d.lgs 165/2001. Ne riportiamo il testo in nota[1], mentre qui ci limitiamo a spiegarlo. Tale norma, in pratica, regola la risoluzione del rapporto di lavoro per il personale pubblico che non possa essere ricollocato, a seguito di tagli alla dotazione organica, esattamente, cioè, la situazione determinata dall’emendamento. Si tratta di un’ipotesi simile alla cassa integrazione, nella quale:

          • Il dipendente viene collocato in “disponibilità”, cioè inserito in una lista dei dipendenti nei confronti dei quali il rapporto di lavoro si sospende;

          • Una volta collocato in disponibilità, il lavoratore percepisce un’indennità (non è uno stipendio, perché non lavora, in quanto il rapporto è sospeso) pari all’80% del trattamento economico fondamentale, senza riconoscimenti accessori; la riduzione stipendiale, dunque, è molto più alta, non si perde il 20% della retribuzione, ma almeno il 30%;

          • La condizione di disponibilità dura 24 mesi, nel corso dei quali il dipendente può provare a ricollocarsi ancora presso altre amministrazioni, che sarebbero in teoria obbligate ad acquisirlo in mobilità coi meccanismi previsti dagli articoli 34 e 34-bis del d.lgs 165/2001;

          • Decorsi i 24 mesi senza ricollocazione, il rapporto di lavoro si risolve: il dipendente viene licenziato.



        • o Dunque, come volevasi dimostrare, l’affermazione secondo la quale “nessun dipendente sarà licenziato” è semplicemente falsa. La legge di stabilità prevede espressamente la conseguenza dei licenziamenti. E, come detto sopra, non è in certo l’an, ma solo il quantum. Se davvero, cosa statisticamente (ma anche giuridicamente impossibile) nessun dipendente provinciale dovesse essere licenziato, ciò sarebbe solo frutto del caso, non dei meccanismi normativi che non escludono affatto il licenziamento.



      • - Infatti, una deputata del Pd, Alessia Rotta, ha dichiarato sull’Arena di Verona del 20.12.2014: “La soluzione individuata dal governo con il maxiemendamento è positiva per i lavoratori della Provincia il cui tempo per trovare un ricollocamento in altre amministrazioni pubbliche è prorogato di fatto fino al 2019”.

        • o Tale dichiarazione conferma indirettamente che i licenziamenti non sono per nulla esclusi, ma rinviati al 2019. E, infatti, il Messaggero, praticamente house organ della maggioranza, sempre il 20.12.2014, titola così l’articolo di Luca Cifoni: “Province Per i dipendenti posto garantito fino al 2019”. Fino al 2019, ma non oltre il 2019.



      • - Tornando a Bressa, la sua intervista prosegue così, alla domanda relativa a quanti dipendenti provinciali sono interessati dalla decisione del Governo: “Sì ma ci sono 8 mila persone che erano a carico di quei centri per l'impiego che nel 2015 avranno una fonte autonoma di finanziamento non prevista prima. Da 20 mila passiamo così a 12 mila. Se calcoliamo i 3.500 over 60 che nei prossimi tre anni andranno in pensione ecco che i contorni cambiano”.

        • o Ci sarebbe da rimanere senza parole, ma, invece, le parole servono per evidenziare quanto la realtà sia in continuazione offesa da simile modo di agire e ragionare.

        • o In quanto ai centri per l’impiego, intanto i dipendenti sono 7000 e non 8000. La “fonte di finanziamento” alla quale allude il Bressa è la facoltà, per le province (ma anche per le regioni se dovessero decidere di accollarsi i servizi per il lavoro) di avvalersi di un’anticipazione di 60 milioni a valere sul Fondo di rotazione per la formazione professionale e l’accesso al fondo sociale europeo di cui all’articolo 25 della legge 845/1978. Ora:

          • Per un verso, questa anticipazione è una follia totale, perché le regole europee sull’utilizzo dei fondi strutturali vietano da sempre il loro impiego per spesa corrente del personale; non solo: si creerebbe un intasamento burocratico spaventoso, perché occorrerebbe rendicontare le buste paga, per attività ordinarie, non connesse a progetti speciali. Una follia, si ripete, che potrebbe anche essere pesantemente sanzionata dalla Ue;

          • Per altro verso, il Bressa e il Governo evidentemente hanno un rapporto non amichevole con l’aritmetica. Secondo le rilevazioni della Ragioneria generale dello Stato, facilissimamente traibili dal Conto annuale disponibile in internet (ma, si immagina che il Governo abbia modo di acquisire ancora più semplicemente tali informazioni), il costo medio dei dipendenti provinciali è di poco meno di 30.000 euro l’anno. Allora, poiché i dipendenti dei centri per l’impiego, come detto, sono 7000, una semplice moltiplicazione ci rivela che la spesa per tale personale ammonta complessivamente a 210 milioni. Ergo, i 60 milioni previsti come anticipazione del Fse coprono appena il 28,6% del costo del personale interessato. Pertanto, anche se le province e le città metropolitane potessero davvero finanziare, sia pure in via temporanea, la dotazione organica ridotta al 50% e 30% con l’anticipazione del Fse, in media potrebbero coprire solo il costo del 28,5% del personale addetto ai centri per l’impiego. Il restante personale sarebbe comunque in soprannumero. Oltre tutto, è chiaro che l’utilizzo di simili fondi non potrà avvenire in modo uguale per tutte le province, sicchè potrebbero darsi casi nei quali alcune province copriranno gran parte dei costi del personale dei centri per l’impiego, mentre altre non copriranno nulla. Con la creazione di ulteriore caos e disparità di trattamento.



        • o In quanto ai 3500 dipendenti che nei prossimi 3 anni andranno in pensione, il ragionamento del Bressa appare quanto meno omissivo. Infatti, non spiega se questi 3500 dipendenti sono una parte dei 20000 destinati al soprannumero, oppure siano una parte del totale dei 54000 dipendenti provinciali in servizio. Mancando una fonte di riferimento, la logica non può che condurci a ritenere che i 3500 siano una parte del totale dei dipendenti provinciali. E’ abbastanza inimmaginabile che del personale destinato alla ricollocazione ben il 17,5% sia vicino alla pensione. Si tratta di una proporzione semplicemente assurda.
          Pertanto, i 3500 interessati sono molto probabilmente impiegati tanto nelle funzioni fondamentali delle province, quanto in quelle non fondamentali, tra le quali si dovrebbe reperire il “bacino” dei dipendenti da dichiarare in soprannumero. Insomma, dunque, l’esistenza di 3.500 persone che vadano in pensione da qui al 2018 non risolve il problema del taglio lineare dei costi della dotazione organica, ma consente:

          • Alle amministrazioni provinciali:

            • di risolvere il loro rapporto di lavoro al compimento dei 40 anni di servizio nel 2016, applicando le disposizioni del d.l. 95/2012;

            • di tenerli anche in servizio, pianificando la progressiva riduzione dei costi del personale, fino al 2018. Il problema è, però, che il costo delle dotazioni organiche si ridurrebbe di poco, mentre nel 2016 e nel 2017 raddoppierebbe e poi triplicherebbe il versamento che le province debbono dare allo Stato (1 miliardo nel 2015) e che è all’origine dell’assurdo cortocircuito creato dal maxiemendamento del Governo;

            • di considerare detti dipendenti, a partire dall’1.1.2017, tra i primi da collocare in disponibilità, come accompagnamento alla pensione, conseguibile entro successivi pochi mesi.



          • o Tuttavia, il maxi emendamento, per consentire di non considerare davvero nel “conto” i dipendenti prossimi alla pensione avrebbe potuto, e a questo punto dovuto, escluderli davvero e prevedere il divieto del loro passaggio in mobilità verso altre amministrazioni, limitandosi a dichiararli in sovrannumero fino alla data della collocazione in pensione e non inserendoli nei calcoli per la riduzione dei costi della dotazione organica. Cosa che non è avvenuta. Sicchè, l’effetto di riduzione dell’impatto immaginato da Bressa è, come sempre, solo virtuale e piuttosto lontano dalla realtà.

          • o Infine, se ancora le province e le città metropolitane debbono stabilire quale personale sarà da considerare in soprannumero, come fa il Bressa a sapere se vi saranno, tra questi, davvero i dipendenti che entro tre anni andranno in quiescenza?










Menzogne 2. Si attua la legge Delrio. Il già citato articolo di Luca Cifoni del 20.12.2014 scorso, riprende acriticamente un altro mantra della maggioranza, che travisa totalmente la realtà: “Tutta la vicenda nasce dalla legge, la cosiddetta riforma Delrio, che ha riformato le Province trasformandole in strutture non più elettive e trasferendo una parte delle loro competenze alle Regioni e ai Comuni. In coerenza con questo disegno di ridimensionamento la legge di Stabilità l'esecutivo ha stabilito un taglio sostanzioso delle risorse a disposizione degli enti provinciali”.

La legge di stabilità, come si immagina anche quanto detto in precedenza contribuisce a dimostrare, non ha alcuna coerenza con la riforma Delrio.

Ciò per la semplice ragione che anticipa gli effetti, che la Delrio prevedeva dopo. In fondo, la legge 56/2014, pur sgangherata e confusionaria, prevedeva un ordine logico:

  1. si indicano quali sono le funzioni fondamentali che debbono restare in carico alle province;

  2. si stabilisce che le altre funzioni siano ridistribuite tra altri enti;

  3. si apre un processo per quantificare finanziamenti e spese per gestire entrambe le tipologie di funzioni, presso ciascun singolo ente;

  4. si decide quali delle funzioni non fondamentali vadano allo stato, quali alle regioni, quali ai comuni;

  5. si attribuiscono agli enti destinatari i finanziamenti ed il personale necessari.


Dunque, la Delrio prevede un semplice spostamento di risorse e funzioni e considera i trasferimenti del personale logicamente successivi a tutto il resto, mentre non considera per nulla probabili risparmi di spesa, tanto che non ne quantifica nemmeno un centesimo.

La legge di stabilità, invece, rompe totalmente questa logica e impone alle province di tagliare i costi della dotazione organica prima ancora che sia concluso il processo descritto sopra.

Violazioni di legge. Congelata la riforma Madia. In tal modo, allora, la legge di stabilità finisce per violare totalmente l’impostazione della legge Delrio, descrivendo un altro scenario, con essa totalmente incompatibile.

Ma, pochi si stanno rendendo conto che la legge di stabilità vìola e riforma indirettamente anche il d.l. 90/2014, convertito in legge 114/2014, cioè la “epocale” riforma della pubblica amministrazione sotto il nome del Ministro Madia.

Infatti, nucleo centrale della riforma Madia, secondo la propaganda, cos’era? La famosa “staffetta generazionale”. Cioè, l’ingresso privilegiato di giovani nei ruoli delle amministrazioni, per favorire il quale, il decreto ha vietato i trattenimenti in servizio, anticipato il pensionamento dei dipendenti, allargato leggermente le maglie dei vincoli alle spese e al turn over nelle varie amministrazioni, per gli anni dal 2015 al 2018.

Invece, con la legge di stabilità si scopre che:

  1. a) la staffetta generazionale può andare a farsi benedire, almeno per gli anni 2015-2016: infatti, in questo lasso di tempo le amministrazioni potranno fare zero concorsi, potendo solo assumere i vincitori dei concorsi già indetti e i dipendenti provinciali da ricollocare;

  2. b) l’ampliamento delle maglie per le assunzioni, attraverso l’aumento dei tetti di spesa, sempre per gli anni 2015-2016 non servirà assolutamente a nulla, se non, sempre, per assumere i vincitori dei concorsi già indetti e i dipendenti provinciali da ricollocare.


Di fatto, dunque, si assiste ad un congelamento per ben due anni degli elementi fondamentali della riforma Madia, epocale, dunque, per la sola circostanza che non ha nemmeno fatto in tempo a produrre i suoi effetti, che è già stata travolta e resa inoperante dalla legge di stabilità 2015!

Ma della riforma Madia la legge di stabilità mette in discussine un altro “caposaldo”: la mobilità entro 50 chilometri dalla sede di lavoro.

Nel maxiemendamento si prevede che i dipendenti siano trasferiti verso regioni e comuni. Ma, quali comuni? Solo quelli entro 50 chilometri dalla sede di lavoro? E come si fa a garantire questo risultato, data la frammentazione dei comuni italiani, ben 8100?

E, ancora, le regioni hanno le proprie sedi di lavoro concentrate presso i capoluoghi e pochissimi uffici decentrati nel territorio. Come farebbero le regioni ad assicurare il rispetto del limite territoriale dei 50 chilometri, se non assumendo le funzioni provinciali (cosa che non voglio assolutamente) e mantenendo dipendenti e sedi esattamente dove si trovano adesso?

Ancora, come visto, l’emendamento prevede la mobilità anche verso le amministrazioni statali che dovrebbero (non si sa bene entro quando) rendere noto alla Funzione Pubblica quali uffici risultino carenti di posti, “soprattutto” delle amministrazioni periferiche. In effetti, solo un rilevante numero di posti negli uffici periferici consentirebbe il rispetto del raggio di 50 chilometri, stabilito dalla legge Madia.

Ma, anche in questo caso sarà ben difficile che la norma sia rispettata, perché le amministrazioni periferiche dello Stato (come del resto i comuni) non sono distribuite omogeneamente nei territori. In province come Roma o Milano (per altro, destinate a diventare città metropolitane e con un impatto inferiore di dipendenti da trasferire) vi è un’elevata concentrazione di uffici periferici statali, che invece non si riscontra a Crotone o Cuneo.

Dunque, la mobilità dei dipendenti determinerebbe, quando va bene, figli e figliastri, possibilità solo per alcuni di restare entro un raggio di 50 chilometri, mentre per altri il trasferimento sarà inevitabilmente ben più impattante.

Caos e iniquità. Il pandemonio giuridico ed organizzativo creato con maestria dal Governo e dal Parlamento determina non solo caos, ma anche evidenti iniquità, come sempre avviene nel caso di decisioni affrettate, populiste e basate su calcoli sommari.

Il taglio del costo delle dotazioni organiche nell’importo del 50% della spesa del personale di ruolo delle province alla data di entrata in vigore della legge Delrio è l’ulteriore intervento lineare e forfettario, che come sempre danneggia gli enti più virtuosi.

Secondo le stime dell’Unione province italiane, complessivamente tra province e città metropolitane dovrebbero essere trasferiti verso altri enti 19.330 dipendenti.

La previsione contenuta nel maxiemendamento del Governo è, però, come al solito figlia di interventi sommari. La quantificazione dei dipendenti da trasferire avrebbe dovuto conseguire, come già rilevto, al complesso lavoro di attuazione della legge 56/2014 ed essere strettamente connessa al complesso delle risorse spese per la gestione delle funzioni non fondamentali.

Invece, il Governo, sempre mosso dalla fretta, ha pensato bene di considerare per tutte le province che la metà dei dipendenti debba essere trasferita, senza nemmeno attendere i risultati dell’immane lavoro richiesto a province e regioni per il riordino delle funzioni non fondamentali.

E’ chiaro che tagliare per tutte le province il costo della dotazione organica del 50% è una manovra grossolana, oggettivamente inaccettabile.

Non si è provato nemmeno a raffinare un minimo il lavoro e provare a connettere, ad esempio, il numero dei dipendenti ai residenti.

In Italia, in media, escludendo le province delle regioni a statuto speciale, opera un dipendente provinciale ogni 1097 residenti.

Analizzando, però, i dati specifici di ogni provincia, si scoprono fortissime differenze. A Vibo Valentia c’è un dipendente provinciale ogni 422 abitanti; a Grosseto, uno ogni 457; a L’Aquila uno ogni 571. Al contrario, a Padova uno ogni 2118, a Monza Brianza uno ogni 2974, a Bergamo uno ogni 1829.

A ben vedere, poche province, concentrate soprattutto al nord e in particolare in Lombardia e Veneto, alzano la media. Ma, pur essendo caratterizzate da un’incidenza del personale sui residenti molto migliore della media, vengono colpite dal taglio esattamente come le altre province, con medie molto peggiori.

Lo stesso può dirsi se si fosse fatto riferimento al costo medio unitario per abitante. Ad esempio, a Grosseto il costo dei dipendenti provinciali per abitante è 120,87 euro; a Perugia 66,55; a Viterbo, 54,60. Invece, a Vicenza è 18,93 euro, a Verona 21,97 a Brescia 26,44.

Alla fine della manovra, dunque, le amministrazioni provinciali con maggiore incidenza di numero e costi di personale si ritroveranno in difficoltà estrema a gestire le funzioni, a causa dei tagli imposti dalla legge finanziaria, ma molto meglio delle altre province, riuscite negli anni a contenere numero e costi dei dipendenti.

Infatti, l’effetto del taglio lineare imposto dal Governo per una provincia come Verona è paradossale. Disponendo di 472 dipendenti, ne sono destinati al soprannumero 236. Ma, solo 130 sono impegnati nelle funzioni “non fondamentali” ai quali aggiungerne 35 della polizia provinciale. Pertanto, la decisione avventata di imporre il taglio della dotazione organica in modo lineare, implica che a Verona si ritroveranno in soprannumero 65 dipendenti addetti, però, alle funzioni fondamentali! La stessa cosa, probabilmente non avverrà in con incidenza del personale maggiore di quella scaligera.

Di fatto, comunque, talmente il taglio delle dotazioni organiche è stato calcolato male (secondo l’assurdo procedimento illustrato da Bressa), che si finisce per coinvolgere perfino personale provinciale operante nelle funzioni provinciali che non dovrebbero essere trasferite!

Funzioni allo sbando. E infatti, analizzando meglio il dettaglio dei conti, si scoprono ulteriori assurdità.

Allo scopo, basta guardare ai crudi conti di un’amministrazione provinciale tra le più morigerate nella spesa, ancora una volta quella di Verona. Già nel 2015 gli effetti della legge di stabilità, che chiede al comparto delle province di versare al bilancio dello Stato 1 miliardo, si rivelano devastanti per i servizi, compresi quelli rientranti nelle funzioni fondamentali, come strade, trasporti, viabilità, programmazione urbanistica, scuole, ambiente.

La provincia di Verona nel 2015 avrà un’entrata totale di circa 96 milioni, dei quali 69 per entrate tributarie, 22 per entrate da trasferimenti prevalentemente della regione, il resto da entrate extratributarie.

Come viene speso questo plafond, che dovrebbe andare in servizi? 21 milioni andranno al personale; 20 milioni in spese correnti diverse dal personale, 17 dei quali per il trasporto pubblico locale; 2,2 milioni per interessi passivi e 7,8 per quote di capitale mutui; 3 milioni circa in imposte e tasse (1,7 solo per Iva sul trasporto pubblico locale); 2 milioni vanno accantonati in omaggio alla riforma della contabilità. Il totale, fin qui è di 56 milioni. Resterebbero per l’erogazione dei servizi ulteriori 39 milioni.

Ma, non è così. L’effetto della legge di stabilità 2015 è di imporre alla provincia di Verona una spesa nuova: 27 milioni da versare allo Stato. Come si vede, non si tratta di un “taglio” alla spesa; infatti, ad esso non corrisponde per nulla una minore entrata in imposte; al contrario, l’imposta provinciale sulle assicurazioni RC auto mantiene il suo gettito, perché garantisce che lo Stato possa rivalersi su di essa qualora una provincia riottosa non gli versasse il quantum imposto dalla legge.

Dedotte, allora, le spese di 26 milioni da dare allo Stato, restano disponibili per servizi 13 milioni.

Guardiamo alle funzioni “fondamentali”: per la manutenzione ordinaria (non nuove costruzioni) di strade e servizi di sgombero neve, la spesa prevista è 8 milioni; così come 8 milioni è la spesa necessaria per le scuole, tra manutenzioni, utenze, riscaldamento, arredi e spese di funzionamento. Solo erogando le spese per funzioni fondamentali, quella provincia avrebbe uno sbilancio di circa 3 milioni. Aggiungendo poi altre spese obbligatorie (manutenzioni edifici, utenze, noleggi e fitti passivi, pulizie, assicurazioni, affari legali) si aggiungono ancora 8 milioni di spesa; infine, con le spese per il trasporto scolastico dei disabili (1 milione) e le spese sociali (2,5 milioni) e le altre spese per le funzioni non fondamentali, si sale ad una spesa complessiva obbligatoria di 113 milioni, con uno squilibrio di 17 milioni nel 2015, destinato a diventare di 28 milioni nel 2016 (quando il dazio da pagare allo Stato sarà di 39 milioni) e di 39 milioni nel 2017 (versamento allo Stato di poco più di 50 milioni).

Simile esempio potrebbe trasversalmente estendersi a tutte le altre province: cambierebbe qualche proporzione e qualche valore assoluto di spesa, ma rimarrebbero gli effetti. Che consistono non nella restrizione della spesa alle sole funzioni fondamentali, ma nella creazione di un colossale buco di bilancio, che alla fine si rifletterà sull’impossibilità stessa di esercitare le funzioni principali per i cittadini: assicurare il trasporto locale, la manutenzione delle strade, lo sgombero neve, la manutenzione delle scuole ed interventi di rilievo sociale fondamentali, perché rivolti a fasce debolissime, come il trasporto scolastico dei disabili e il sostegno scolastico ai disabili sensoriali.

E’ facile, per il Governo e la maggioranza, ottenere l’applauso del giornalismo alla Rizzo&Stella, che lascia le sue inchieste sempre alla superficie e cavalca il populismo. All’applauso di questi giornalisti non potrà che seguire la festa con bandiere e fuochi d’artificio dei tanti cittadini, lietissimi del licenziamento o anche solo (ma molto meno) del trasferimento dei dipendenti provinciali. Lo testimonia bene questo stralcio dell’articolo di P.F. De Robertis pubblicato dal Quotidiano Nazionale del 20.12.2014 e dal titolo eloquente “Privilegi di Provincia”: “Il compito non facile che spetta al legislatore, che si chiami governo centrale o regionale, è quindi gestire questa complicata fase di passaggio con il rispetto che si deve a tante persone che svolgevano un compito e lo svolgevano bene, e nello stesso tempo non deflettere m nessun modo da questa svolta riformatrice, anche se qualcuno ovviamente avrà da protestare o esporrà qualche cartello. La fase delicata che l'economia ci sta riservando impone sacrifìci a tutti, e lo sanno bene i lavoratori del settore privato che spesso hanno perso il lavoro o hanno subito tagli considerevoli agli stipendi. Se qualche dipendente provinciale sarà trasferito di sede o si troverà nuovi compagni di stanza si consideri un fortunato. Molti dipendenti non statali quella stanza non ce l'hanno più”.

Il ragionamento è sempre quello della guerra tra poveri o, comunque, della ricerca di quello che è meno fortunato dell’altro. L’articolo, per carità, dà atto che i dipendenti provinciali non necessariamente sono dei fannulloni, ma considera “danno collaterale” il loro trasferimento, considerandolo esso come “sacrificio”, molto inferiore a quello affrontato da dipendenti non statali che il lavoro l’hanno già perso.

Tuttavia, il commentatore dà per presupposto l’assunto che si è dimostrato falso, e cioè che non vi saranno licenziamenti di dipendenti provinciali. Le proteste e le preoccupazioni dei dipendenti provinciali sono riferite non certo all’eventualità che essi siano trasferiti. Sarebbe da ricordare al De Robertis, come a molti altri, che dei 54000 attuali dipendenti provinciali, circa 15.000 provengono da Stato e regioni: sono molti dei dipendenti dei centri per l’impiego e dei centri di formazione professionale e delle altre funzioni che solo pochi anni fa, nel 2001, transitarono nelle province, per effetto delle riforme Bassanini. Dunque è gente che il passo di un trasferimento lo ha già fatto ed è perfettamente capace di compierne un altro.

La preoccupazione è, dunque, riferita esattamente alla possibilità, tutt’altro che peregrina, di perdere il lavoro davvero, esattamente come quei dipendenti non statali che il lavoro non ce l’hanno più.

L’assurdo è che ad aiutare chi ha perso il lavoro a riqualificarsi e reperirne un altro, dovrebbero essere 7000 di quei dipendenti provinciali che la legge di stabilità vuole mandare in esubero!

La realtà, allora, è che dietro a tutta questa sconclusionata riforma, si pone il rischio più che concreto per i cittadini, che ancora non se ne accorgono, di pagare inutilmente tasse provinciali, per servizi che le province non saranno più in grado di assicurare. Ma, l’ulteriore rischio è che le funzioni connesse a detti servizi non transitino o transitino malamente verso regioni e comuni, e, dunque, i servizi stessi non vengano materialmente più erogati. Un solo esempio: le province gestiscono il servizio di integrazione scolastica per i disabili sensoriali, molto costoso ed oneroso, circa 1 milione a provincia, 107 milioni, stimabili, di nuova spesa corrente. Che, ovviamente, né comuni, né regioni, vorrebbero accollarsi (oltre alle spese di personale). A rimetterci saranno, dunque, ipovedenti ed ipoacusici, che si ritroveranno senza aiuto allo studio.

Guerra tra regioni, comuni e Stato. In realtà, il caos micidiale fin qui descritto è anche frutto di una vera e propria guerra tra Stato regioni e comuni sul finanziamento delle funzioni amministrative.Il vero problema è l’accollo delle spese per l’erogazione dei servizi.

Negli ultimi anni, regioni e comuni hanno incrementato a dismisura le proprie entrate tributarie, a compensazione dei tagli che in vario modo le leggi finanziarie dello Stato hanno loro imposto.

Ciò ha contribuito in maniera decisiva all’incremento della pressione fiscale, come il 16 dicembre 2014 hanno appreso gli italiani a proprie spese, al momento del salasso Iuc-Imu-Tari-Tasi.

Tuttavia, adesso la corda si è spezzata. Regioni e comuni non possono più contare sulle gigantesche partite di giro che, di fatto, i vari Governi ammettevano, scambiando tagli ai loro finanziamenti con simmetrici incrementi di imposte o, comunque, con strizzatine d’occhio a bilanci falsati da entrate solo previste e mai riscosse: l’armonizzazione dei bilanci, anche se molto zoppicante, non consentirà più la cosmesi ai bilanci, con la previsione di entrate fantasma, come oneri di urbanizzazione per costruzioni ferme o sanzioni dal codice della strada del tutto sovrastimate.

Quindi, adesso, regioni, province e comuni letteralmente si “rubano” i soldi. E a farne le spese, per ora, sono le province, ma soprattutto i cittadini che ricevono da esse i servizi.

L’esempio lampante di questa battaglia si ha in Veneto. La regione guidata da Luca Zaia ha anticipato i tempi della riforma Delrio e già con la legge regionale 11/2013 ha sottratto alle province la funzione di accoglienza ed informazione turistica, riacquisendola per sé. Ma con un “trucco”: la gestione degli uffici di informazione turistica e promozione locale non sarà svolta dalla regione, perché viene accollata in capo a comuni, enti locali e soggetti privati, che saranno accreditati similmente al modello della sanità, ma non potranno contare su finanziamenti regionali: dovranno reperire da loro le risorse.

La regione Veneto per voce dell’assessore al turismo, lo ha detto chiaro: non può più permettersi di finanziare gli sportelli di informazione. Spetta, dunque, ai comuni e alle province trovare le risorse; in particolare, i comuni, che possono contare sulle entrate dalla tassa di soggiorno.

Lo scarica barile delle spese da sostenere, determina in questo caso un’evidentissima violazione di norme e principi costituzionali e di legge. Ai sensi dell’articolo 119, comma 2, della Costituzione, le entrate di regioni (come di province e comuni) debbono consentire di “finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite”. Dunque, se la regione Veneto ha riacquisito la funzione di accoglienza ed informazione turistica, è costituzionalmente obbligata a finanziarla. Tanto più che, in generale, l’intera materia del turismo è divenuta, dal 2001, competenza esclusiva delle regioni.

Laddove una regione volesse attribuire le funzioni amministrative di competenze proprie ad altri enti locali, in applicazione del principio di sussidiarietà verticale disciplinato dall’articolo 118 della Costituzione, deve trasferire necessariamente le risorse per gestirle. Ciò è specificato in modo chiaro dall’articolo 4, comma 3, lettera i), della legge 59/1997, ai sensi del quale le regioni, nell’attribuire agli enti locali le funzioni che non richiedono l’esercizio unitario a livello regionale devono attenersi al “principio della copertura finanziaria e patrimoniale dei costi per l'esercizio delle funzioni amministrative conferite”.

Dunque, l’esercizio, anche “indiretto” di funzioni regionali, mediante soggetti pubblici, senza alcun finanziamento regionale, come intende la regione Veneto, si pone in violazione delle leggi e della Costituzione.

Ma, per evitare di addossarsi i costi della gestione delle funzioni e del personale provinciali, è proprio questo ciò che le regioni stanno decidendo: lasciare, cioè, alle province (o, come nel caso del Veneto per gli sportelli turistici, anche ai comuni) la gestione delle funzioni, senza finanziarle, per evitare di sostenere nuove spese e realizzare, davvero, tagli e riorganizzazioni. Condannando, così le province al dissesto e contribuendo alla crisi finanziaria dei comuni.

Conti sui dipendenti senza l’oste. In ogni caso, l’intera manovra sui dipendenti provinciali è stata ideata dal Governo totalmente al buio, senza piena consapevolezza dei numeri e delle condizioni per procedere.

Il maxi emendamento al disegno di legge di stabilità 2015 che vorrebbe attuare, ma in realtà travisa, la legge Delrio, apre la prospettiva della mobilità nel biennio 2015-2016 per i circa 20.000 dipendenti provinciali interessati, senza avere chiari quali possano essere gli sbocchi.

Infatti, il Governo mentre impone alle province di ridurre la dotazione organica del 50% del costo dei dipendenti di ruolo in servizio al 9 aprile 2014 (per le città metropolitane la riduzione è del 30%), aprendo le porte degli esuberi per circa 20.000 dipendenti, non ha alcuna idea concreta se effettivamente nell'ambito della pubblica amministrazione vi siano più di 20.000 posti disponibili, presso i quali trasferire i dipendenti provinciali.

Prova ne sia la circostanza che l'emendamento assegna al Dipartimento della Funzione Pubblica il compito di avviare un'indagine per verificare quali posti disponibili vi siano, per altro solo nell'ambito delle amministrazioni statali, dopo l'entrata in vigore della legge di stabilità e non prima, come sarebbe stato logico.

Per altro, comuni e regioni, presso i quali i dipendenti provinciali dovrebbero essere trasferiti in mobilità, non hanno alcun obbligo di notificare alla Funzione Pubblica i posti disponibili, ma solo di prevedere, pena nullità di assunzioni in violazione, la ricollocazione dei dipendenti provinciali nei propri piani di assunzioni.

Il risultato, dunque, è che si avvia un processo di trasferimento di 20.000 persone senza sapere se effettivamente siano tutte ricollocabili. Anche perchè, l'emendamento impone sia a regioni ed enti locali, sia alle amministrazioni statali, di effettuare sui posti disponibili in via prioritaria le assunzioni dei vincitori dei concorsi collocati in graduatorie ancora valide.

Dunque, il numero dei posti disponibili per garantire la ricollocazione dei dipendenti provinciali deve essere ben superiore (di quanto, anche in questo caso non è dato saperlo) delle 20.000 unità in esubero.

Non basta. Infatti, oltre a non sapere quante vacanze d'organico esistano nella pubblica amministrazione, il Governo non sa nemmeno se esse siano effettivamente ricopribili. Infatti, l'emendamento fa salve le ricollocazioni dai tetti di spesa di personale che gli enti locali debbono rispettare, ma non ne esclude i costi dal patto di stabilità e dai vincoli di bilancio. Pertanto, molti enti locali che teoricamente dispongano di posti vacanti, nella realtà non potrebbero renderli disponibili per la ricollocazione, perchè ingabbiati dai vincoli del patto e delle regole di bilancio.

E non è ancora finita. Oltre a mancare l'indagine sui quanti posti vacanti siano effettivamente disponibili, il Governo ha varato l'emendamento senza nemmeno sapere dove, in quali territori, eventuali disponibilità di organico siano esistenti.

Conclusioni. Da tempo, chi scrive, prefigura il caos e le conseguenze nefaste della riforma. Non ci voleva particolare intelligenza né doti da chiaroveggente. Bastava guardare con disincanto alla qualità pessima delle norme, essere consapevoli dell’andamento dell’economia, considerare quanto il Governo sia permeabile alla faciloneria e al populismo, per immaginare quali esiti avrebbe determinato l’intervento sulle province.

La sintesi, davvero sconsolante, è che si è trattato solo della sottrazione ai cittadini del diritto di voto e della indiretta riduzione di servizi a loro beneficio, col tentativo di far vedere che anche la pubblica amministrazione è capace di licenziare. Il tutto, in un quadro di spesa pubblica che comunque è in aumento, come le tasse. Dunque, benefici per i cittadini, zero.

[1] 7. Trascorsi novanta giorni dalla comunicazione di cui al comma 4 l’amministrazione colloca in disponibilità il personale che non sia possibile impiegare diversamente nell’ambito della medesima amministrazione e che non possa essere ricollocato presso altre amministrazioni nell’ambito regionale, ovvero che non abbia preso servizio presso la diversa amministrazione secondo gli accordi di mobilità.

  1. Dalla data di collocamento in disponibilità restano sospese tutte le obbligazioni inerenti al rapporto di lavoro e il lavoratore ha diritto ad un’indennità pari all’80 per cento dello stipendio e dell’indennità integrativa speciale, con esclusione di qualsiasi altro emolumento retributivo comunque denominato, per la durata massima di ventiquattro mesi. I periodi di godimento dell’indennità sono riconosciuti ai fini della determinazione dei requisiti di accesso alla pensione e della misura della stessa. E' riconosciuto altresì il diritto all’assegno per il nucleo familiare di cui all’articolo 2 del decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988, n. 153.

11 commenti:

  1. Un dubbio relativo alle modalità di copertura del fabbiosgno di personale degli enti locali dopo questa demenziale e scellerata legge; dalla lettura dell'emendamento mi sembrerebbe che, fatta salva la nullità delle assunzioni fatte in difformità da quanto ivi previsto, non si introduca una esplicita priorità all'utilizzo delle graduatorie concorsuali eventualmente vigenti ma si stabilisca semplicemente che il fabbiosgno può essere coperto esclusivamente attingendo alle graduatorie o dal bacino dei soprannumerari delle province, quindi niente nuovi concorsi, contratti a termine, ecc. Resta cioè la possibilità da parte dell'ente locale di scegliere se attingere dalla graduatoria o prendere un ex provinciale avente profilo coerente con la posizione da ricoprire. Sono troppo ottimista?

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  2. La priorità per i vincitori dei concorsi in effetti non è molto evidente, ma si rileva dall'ordine di trattazione e dalla logica del d.l. 90/2014.

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  3. Ma chi ha scritto lo sa che dopo le prime 100 - 200 parole il 50% dei lettori interessati smettono di leggere?
    Qui siamo a 6.588 contate.
    Si fa prima a leggere tutta la legge

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  4. È perchè le persone si fermano a 200 parole che non leggono e restano disinformate.

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  5. Massy Biagio, a quanto pare nel mondo renziano tutto è possibile, anche l'ardito passaggio dalle italian songs al diritto amministrativo..ma certe questioni non risolvono nel breve spazio di una canzonetta

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  6. Se un testo è scritto in modo chiaro ed informato (come questo articolo) se ne possono leggere anche il doppio o il triplo di parole. Se invece, per non appesantire i neuroni, ci si accontenta delle banalità, dieci slide sono anche troppe.

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  7. Gent.mo dott. Olivieri,
    se è vero quello che dice Lei, ossia che
    "La priorità per i vincitori dei concorsi in effetti non è molto evidente, ma si rileva dall’ordine di trattazione e dalla logica del d.l. 90/2014"
    dalla mancanza di evidenza da Lei evidenziata, devo desumere che ci sono già tanti vincitori di concorso col ricorso pronto e tanti avvocati pronti a fregarsi le mani...Con tutto che TAR e Cds sguazzano nell'ambiguità delle norme...
    Su twitter, facebook, etc. le proteste di vincitori e idonei fioccano...del resto qualcosa si intuisce leggendo questo articolo:
    http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-12-20/se-riordino-province-si-trasforma-una-guerra-poveri-103409.shtml?uuid=ABHVykTC

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    saluti
    Umberto

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  8. Quindi non è affatto detto che i "provinciali" in esubero avranno la precedenza sui vincitori di concorso, né è affatto detto il contrario...
    quindi ... insomma..... il caos??

    ci illumini meglio!

    grazie per i suoi sempre esaustivi articoli

    umberto

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