domenica 21 dicembre 2014

#province #factchecking contro le #bugie dei relatori della #leggedistabilità

Domenica 21 dicembre è toccato, sul Corriere del Veneto, al senatore Giorgio Santini raccontare un bel po’ di stravolgimenti della realtà, nel tentativo di narcotizzare le preoccupazioni per la devastante riforma delle province. Vediamo le dichiarazioni rilasciate.

Santini afferma a proposito della mobilità che i dipendenti “verranno spostati all’interno della pubblica amministrazione dove abbiamo già provveduto a bloccare tutte le assunzioni […]: in tal modo, fra pensionamenti e carenze di personale, uno spazio lo riusciamo già a ricavare. Pensate solo al bisogno di lavoratori che c’è negli uffici giudiziari: essere impiegato in un ufficio amministrativo piuttosto che in un altro non credo che cambi tanto. Chi si sposta, comunque, dipenderà in tutto e per tutto dal nuovo ente, dalla nuova amministrazione”.

Una massa di indicazioni general generiche e banalizzanti davvero sconfortante. Emerge con assoluta chiarezza dall’intervista che il Governo ha la vaga sensazione che da qualche parte nella pubblica amministrazione esistano posti da poter ricoprire, ma non sanno esattamente dove e come. “Tra pensionamenti e carenze di personale” qualche jolly a sorpresa, magari spunta fuori. Intanto, invece di verificare prima se e dove vi fossero i posti vacanti, hanno deciso di farlo dopo aver stabilito il taglio lineare delle dotazioni organiche.

Fantastica, poi, l’affermazione che essere impiegati amministrativi in un ufficio, piuttosto che in un altro “non credo che cambi tanto”. Certo. Perché, sicuramente, negli uffici giudiziari, presi ad esempio della destinazione “tipica” della mobilità, si hanno le stesse cognizioni, competenze e tipologie di lavoro di quelle che si svolgono nelle province e chi ne dubita, si è sempre saputo, no?

A Santini sfugge che presso gli uffici giudiziari hanno un disperato bisogno di categorie amministrative estremamente esecutive: per capirci, addetti alle fotocopie e conservazione negli archivi, addetti allo spostamento dei fascicoli coi carrelli, addetti all’assistenza operativa. Sì, manca qualche figura amministrativa nelle cancellerie. Ma, se si fosse fatta l’indagine sul fabbisogno dei profili professionali, si sarebbe scoperto che dei 20.000 addetti provinciali in potenziale soprannumero, ben pochi hanno profili professionali e qualifica adeguati alle esigenze degli uffici giudiziari.

Diamo al senatore Santini una notizia sconvolgente: la mobilità tra enti si effettua per categorie, profili professionali e mansioni identici. Altrimenti non si può realizzare.

In merito ai lavoratori che non dovessero riuscire a ricollocarsi nel biennio 2015-2016, Santini precisa: “A questi verrà offerto un regime di part-time. Chi vuole, potrà accettare, chi non vuole avrà altri due anni davanti prima che si applichi il meccanismo di fuori-servizio: due anni dove il lavoratore, pur restando a casa, percepirà ancora l’80 per cento dello stipendio”.

E’ generoso, il senatore Santini. Lui “offre” il part time, come si trattasse di una gentile concessione opportunità a lavoratori che hanno, come è noto, una grandissima voglia di vedersi ridotto lo stipendio; tanto, ci sono gli 80 euro, no?

La ricostruzione offerta in questo stralcio di interviste lascia comprendere come gli stessi relatori della legge non abbiano per nulla idee chiare né su come funziona in generale la pubblica amministrazione, né in particolare sul contenuto della stessa legge da loro approvata.

Il meccanismo previsto dal maxiemendamento è totalmente diverso, ripercorriamolo:

  1. a) taglio del costo delle dotazioni organiche del 50% per le province, 30% per le città metropolitane;

  2. b) individuazione entro i successi 90 giorni del personale soprannumerario;

  3. c) meno di 24 mesi per l’avvio delle procedure di mobilità (cioè i trasferimenti dalle province ad altri enti), da concludere entro il 31 dicembre 2016;

  4. d) dall’1.1.2017, per i dipendenti che non sono passati in mobilità presso altri enti:

    1. messa coatta (non è un’offerta) in part time;

    2. messa coatta in disponibilità, cioè sospensione del rapporto di lavoro per 24 mesi, con indennità pari all’80% del trattamento fondamentale, dunque pari a stento al 70% del trattamento economico complessivo, visto che mancherà ogni remunerazione legata al salario accessorio (ma, evidentemente, questo Santini lo ignora).




Poi, l’intervista prosegue in puro stile dadaista. “Ci sono diverse notizie positive, a differenza dell’allarme diffusosi. Intanto diamo il via libera perché possano rinegoziare tutti i mutui, soprattutto con la Cassa depositi e prestiti: si tratta, in totale, di 500 milioni di euro. Dunque, già la metà dei tagli, di un miliardo, verrà recuperata. E redistribuita secondo le esigenze e le situazioni”.

Capolavoro di disinformatia. Santini, che pure è un parlamentare, continua a diffondere l’idea, del tutto sbagliata, che la legge finanziara “tagli” 1 miliardo, nel 2015 (2 nel 2016 e 3 nel 2017) alle province. Non è affatto un taglio, perché il taglio si apporta:

  1. a) alle entrate, riducendo eventuali trasferimenti statali;

  2. b) alle spese, imponendo di non effettuarle.


Ma, non ricorre nessuna delle due situazioni. Non è un taglio alle entrate, per la semplice ragione che lo Stato non trasferisce più un euro alle province da un anno. Non è un taglio alle spese, perché le province manterranno lo stesso volume di spesa (e di entrata): solo che dovranno consegnare allo Stato 1 miliardo nel 2015, 2 nel 2016 e 3 nel 2017. Dunque, lo Stato utilizzerà per fini diversi da quelli cui sono destinate, le entrate tributarie provinciali (in particolare, quelle dell’imposta sull’assicurazione RC auto).

In quanto alla rinegoziazione dei mutui, ammesso – ma negato dallo stesso Santini nell’intervista – che possa avere effetti omogenei ed egualmente distribuiti tra le province (a differenza dei tagli lineari alle dotazioni organiche) e ammesso, ancora, che le rinegoziazioni possano effettuarsi alla velocità della luce, gli effetti concreti sono praticamente nulli.

Non considera, Santini, che i 500 milioni di “agevolazioni”, non debbono commisurarsi ad un vincolo di spesa al bilancio statale di 1 miliardo solo, perché nel 2016, secondo ed ultimo anno per ricollocare i dipendenti provinciali in soprannumero, tale vincolo di spesa raddoppierà. Il “beneficio”, dunque, a regime è di solo un quarto nel 2016, e si ridurrà ad un sesto nel 2017. Purtroppo, la legge, per come è scritta, e l’aritmetica “cospirano” contro le verità da conte Mascetti diffuse a piene mani dagli esponenti della maggioranza.

Facendo i conti in tasca ad una provincia come quella di Verona, ci si avvede che il “beneficio” della rinegoziazione dei mutui è irrilevante.

Vediamo in questa tabella la situazione delle entrate e delle spese, prima di ridurre la dotazione organica ed applicare il “beneficio” della rinegoziazione dei mutui nel 2015:



























































































































































cifre in milioni
entrate96
di cui
tributarie69
trasferimenti regionali22
extratributarie5
spese
personale21
(spese correnti varie, di cui 17 per trasporto pubblico locale20
interessi passivi2,2
quote di capitale e mutui7,8
imposte e tasse3
armonizzazione bilanci2
subtotale56
versamento allo Stato per effetto della legge di stabilità 201527
subtotale 283
disponibilità per altri servizi13
fabbisogno per altri servizi
sgombero neve8
edilizia scolastica8
spese generali (utenze, manutenzioni, assicurazioni, etc)8
trasporto scolastico disabili1
assistenza didattica a ipovedenti e ipoacusici1,8
figli riconosciuti da un solo genitore0,7
totale fabbisogno27,5
sbilancio con disponibilità per altri servizi-14,5

 

Ora, immaginiamo che la provincia di Verona sia fulminea sia nella rinegoziazione dei mutui, sia nel riuscire a ricollocare i 236 dipendenti che andranno in soprannumero, riducendo della metà il costo del personale:



























































































































































cifre in milioni
entrate96
di cui
tributarie69
trasferimenti regionali22
extratributarie5
spese
personale10,5
(spese correnti varie, di cui 17 per trasporto pubblico locale20
interessi passivi1,1
quote di capitale e mutui7,8
imposte e tasse3
armonizzazione bilanci2
subtotale44,4
versamento allo Stato per effetto della legge di stabilità 201527
subtotale 271,4
disponibilità per altri servizi24,6
fabbisogno per altri servizi
sgombero neve8
edilizia scolastica8
spese generali (utenze, manutenzioni, assicurazioni, etc)8
trasporto scolastico disabili1
assistenza didattica a ipovedenti e ipoacusici1,8
figli riconosciuti da un solo genitore0,7
totale fabbisogno27,5
sbilancio con disponibilità per altri servizi-2,9

 

Come si nota, nel 2015, si ribadisce a condizione che tutto vada velocissimamente secondo le intenzioni illustrate da Santini, la provincia di Verona andrebbe in un deficit (situazione di dissesto) di 2,9 milioni, invece che di 14,5 milioni.

Ma, nel 2016 la situazione di dissesto risulterebbe gravissima, perché, sempre per effetto della legge di stabilità, il versamento coatto da pagare allo Stato salirà da 27 milioni a 39 milioni. Vediamo:



























































































































































cifre in milioni
entrate96
di cui
tributarie69
trasferimenti regionali22
extratributarie5
spese
personale10,5
(spese correnti varie, di cui 17 per trasporto pubblico locale20
interessi passivi1,1
quote di capitale e mutui7,8
imposte e tasse3
armonizzazione bilanci2
subtotale44,4
versamento allo Stato per effetto della legge di stabilità 201539
subtotale 283,4
disponibilità per altri servizi12,6
fabbisogno per altri servizi
sgombero neve8
edilizia scolastica8
spese generali (utenze, manutenzioni, assicurazioni, etc)8
trasporto scolastico disabili1
assistenza didattica a ipovedenti e ipoacusici1,8
figli riconosciuti da un solo genitore0,7
totale fabbisogno27,5
sbilancio con disponibilità per altri servizi-14,9

 

Dunque, il deficit creato artificiosamente dalla legge di stabilità nel 2016 sarà di quasi 15 milioni, nonostante la “transumanza” di 236 dipendenti e la rinegoziazione dei mutui. E, poiché nel 2017 il versamento coatto allo Stato salirà a 50 milioni, il deficit strutturale salirà a quasi 26 milioni!

La situazione delle altre 106 province potrebbe essere in parte diversa. Ma, quanto dimostrato sopra prova che Santini, come l’intera maggioranza ed il Governo, non si sono nemmeno degnati di verificare concretamente i conti di almeno una singola provincia, per controllare se la manovra da loro proposta fosse sostenibile. Non solo per il personale, ma anche per i servizi.

Chiunque capisce, infatti, che dall’esposizione dei conti vista sopra, la provincia di Verona, e con essa anche le altre province, mentre nel 2015 andrà in dissesto, dal 2016 non solo non potrà svolgere le funzioni non fondamentali, che dovrebbero anche essere transitate verso altri enti nel frattempo (forse), ma non potrà nemmeno curare quelle fondamentali! E la situazione di dissesto innescata dal Governo con la sua riforma dissennata metterà a rischio anche la condizione lavorativa dei lavoratori che resteranno nelle province, dal momento che il dissesto è uno dei presupposti per mettere i lavoratori in disponibilità e alle soglie del licenziamento.

Nessuno pare essersi accorto che i danni della riforma e le conseguenze sui lavoratori sono molto maggiori di quanto appaiano a prima vista, per la semplice ragione che a nessuno va di approfondire le questioni.

L’intervista procede, con altre perle. Afferma Mascetti Santini, a proposito del numero di dipendenti da trasferire: “Parliamo di circa 20 mila persone. Di queste, ottomila resteranno a lavorare nei Centri per l’impiego: anche qui, belle notizie, perché inizieranno ad essere pagati da un fondo nazionale, già nel 2015, lo prevede il Job Act”.

Purtroppo, in nell’Italia di oggi non si stenta a credere che un senatore della Repubblica non abbia la minima idea di ciò che dice.

Allora, questo stralcio di intervista è semplicemente assurdo per una serie di ragioni. In primo luogo, nulla consente di affermare che gli 8000 (che invece sono 7000) addetti ai centri per l’impiego resteranno a lavorare lì, nei centri per l’impiego.

Infatti, la funzione del mercato del lavoro non risulta tra quelle fondamentali e, dunque, quei 7000 dipendenti sono destinati al soprannumero e, quindi, al transito verso altre amministrazioni: dai comuni alle regioni, allo Stato, uffici giudiziari o altro.

La legge di stabilità crea tutti i presupposti per la diaspora degli addetti ai centri per l’impiego che, in Italia sono già pochissimi: 7000, contro i 100.000 della Germania, per esempio (poi, però, le anime candide si stupiscono e chiedono perché in Germania i servizi pubblici per il lavoro funzionino meglio che in Italia. Già: perché?).

Se così non fosse, allora il taglio del 50% del costo delle dotazioni organiche delle province e del 30% delle città metropolitane dovrebbe essere effettuato al netto dei 7000 dipendenti dei centri per l’impiego che costituiscono il 13% del totale dei dipendenti provinciali. Il che significherebbe, allora, far straripare le conseguenze del taglio dei costi delle dotazioni organiche anche sui dipendenti addetti alle funzioni fondamentali delle province!

Né la possibilità, molto illegittima sul piano del diritto comunitario, prevista dalla legge di stabilità, di anticipare risorse del fondo sociale europeo per sostenere gli stipendi del personale dei Cpi ha alcuna utilità. I dipendenti dei Cpi costano 210 milioni circa, l’anticipazione vale per 60 milioni.

Dunque, vi sono tutti i presupposti per distruggere quel poco che già possono offrire i servizi pubblici per il lavoro e, così, lasciare il governo del mercato del lavoro in pasto esclusivamente ai privati, aprendo le porte ad obblighi indiretti di iscrizione presso sigle sindacali o datoriali e, soprattutto, di ottenere ciò a cui le agenzie di somministrazione ambiscono da sempre: il pagamento dei servizi di ricerca del lavoro da parte non solo delle aziende, ma soprattutto dei lavoratori: garanzia di decuplicazione dei fatturati.

Ma, il culmine lo si raggiunge con le “belle notizie” date da Santini, che sono totalmente infondate. Nella legge 183/2014 (speriamo che si abitui a denominare così la riforma del lavoro, abbandonando l’orripilante americanismo JobsAct, facilmente equivocabile in JokeAct) non vi è nessuna, ma nessuna, traccia di un finanziamento, a carico dello Stato, di un fondo per pagare i dipendenti dei centri per l’impiego.

La legge, all’articolo 1, comma 4, lettera c), si limita a prevedere l’introduzione della fantomatica Agenzia nazionale per l’occupazione e nemmeno parla espressamente delle province e dei centri per l’impiego: “c) istituzione, anche ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, di un'Agenzia nazionale per l'occupazione, di seguito denominata «Agenzia», partecipata da Stato, regioni e province autonome, vigilata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al cui funzionamento si provvede con le risorse umane, finanziarie e strumentali già disponibili a legislazione vigente e mediante quanto previsto dalla lettera f)”.

Che, forse, i centri per l’impiego, allora, siano menzionati nella lettera f)? Nemmeno per sogno: “f) razionalizzazione degli enti strumentali e degli uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali allo scopo di aumentare l'efficienza e l'efficacia dell'azione amministrativa, mediante l'utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie già disponibili a legislazione vigente”.

Forse, la possibilità che qualche dipendente dei centri per l’impiego provinciali passi all’Agenzia nazionale, si ricava dalla successiva lettera h del citato articolo 1, comma 4: “h) possibilità di far confluire, in via prioritaria, nei ruoli delle amministrazioni vigilanti o dell'Agenzia il personale proveniente dalle amministrazioni o uffici soppressi o riorganizzati in attuazione della lettera f) nonchè di altre amministrazioni”.

Come si nota, la legge 183/2014 si preoccupa di organizzare l’Agenzia nazionale prevalentemente utilizzando personale degli uffici centrali del Ministero del lavoro. L’ingresso dei dipendenti dei centri per l’impiego è una mera eventualità, nemmeno indicata in modo chiaro ed esplicito.

Ma, anche qui diamo una notizia clamorosa al senatore Santini, soprattutto, nella legge 183/2014 non esiste traccia alcuna di un fondo per il pagamento degli stipendi dei dipendenti dei centri per l’impiego. Evidentemente, deve trattarsi di una legge faziosa, che vuole smentire ingiustamente le “belle notizie” che invece ci dà il senatore Santini.

Infine, l’apoteosi: “Capisco i timori: cambiare è sempre complicato, magari comporterà cambi di qualifica e malumori. Non è bello per nessuno essere considerato un soprannumero da spostare in altri enti. Ma la riforma va fatta”.

No, senatore Santini. I trasferimenti non possono comportare cambi di qualifica. Anche qui, un minimo di verità e di approfondimento delle norme sul lavoro e sul lavoro pubblico non guasterebbero, per evitare di affermare cose totalmente infondate.

Ma, la cosa rimarchevole della chiosa dell’intervista è la dichiarazione finale: “la riforma va fatta”. Perché, però, non si sa. Per i componenti della maggioranza è chiaro: è un atto di fede nei confronti dell’uomo solo al comando. Ma, per il Paese l’utilità di questo scempio non si sa assolutamente quale sia. Infatti, al lordo della felicità e della gioia estrema che nei Dottor Livore (cit. Alberto Bagnai) che esulteranno per la possibilità che vengano licenziati dipendenti pubblici, in omaggio al populismo di casta-debitopubblico-spesedellapolitica, come si è visto dai conti, a farne le spese saranno i cittadini. Il Governo si è scagliato contro un ente, il cui capo vuole esporre ai cittadini, attoniti di fronte all’assenza di risultati tangibili della sua attività, per mostrare che qualcosa in campo di casta-debitopubblico-spesedellapolitica ha comunque fatto. Ma, colpendo l’ente, sta colpendo i servizi che questo faceva a beneficio dei cittadini, senza nemmeno dare loro il beneficio di vedersi ridotte le tasse.

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