sabato 9 maggio 2015

#pensioni #riformaPA Il problema sono i controlli, non il merito di decisioni sbagliate

La vicenda della sentenza della Corte costituzionale 70/2015 che ha dichiarato incostituzionale la parte del d.l. 201/2011, convertita in legge 214/2011 da cui è scaturito il blocco dell’adeguamento delle pensioni superiori di 3 volte al minimo al costo della vita, rappresenta bene la filosofia che sta alla base della riforma della pubblica amministrazione e della dirigenza.

Da giorni, la Corte costituzionale è sotto attacco. Per primi, sono partiti una serie di economisti, molti dei quali espressioni dell’Università Bocconi, dalla quale proviene anche Monti, premier che ha varato la norma incostituzionale, i quali hanno assunto la difesa d’ufficio della norma bocciata dalla Consulta. Ovviamente, con argomentazioni prive di qualsiasi contenuto giuridico, ma solo di carattere tecnico. Quando, invece, la sentenza della Consulta è da valutare esclusivamente in punta di diritto, perché è sulla base di argomentazioni giuridiche che il giudice delle leggi vaglia la loro conformità alla Costituzione.

Non tocca certo alla Corte costituzionale valutare gli effetti economico-politici delle leggi. Tale vaglio è pertinenza esclusiva di Governo e Parlamento, gli organi che si assumono la responsabilità di adottare indirizzi politici economici, da tradurre in leggi, appunto. Ma, nello slang della politica, la parola “responsabilità” è intesa esclusivamente come alto mandato ad adottare delle decisioni, non come obbligo di rispondere degli effetti delle decisioni stesse.

Nessuno, guarda caso, si sta interessando delle responsabilità politiche ed amministrative derivanti dalla sentenza. Si dovrebbe guardare alla Luna, cioè chiedere conto e ragione a chi ha determinato le conseguenze dell’adozione di una legge incostituzionale e frettolosa, che ha preso i pensionati per un bancomat dal quale ricavare facilmente risorse per manovre economiche che nulla hanno avuto di tecnicalità sopraffina (ad aumentare le tasse su benzina e sigarette o bloccare la rivalutazione di pensioni e stipendi sono capaci tutti, ma proprio tutti). Invece, si guarda il dito e si attribuiscono alla Corte costituzionale le colpe del buco di bilancio, come se fosse stata la Consulta ad aprirlo e non l’insipienza di chi ha legiferato senza tenere in adeguato conto i vincoli normativi discendenti dalla Costituzione. E la sentenza 70/2015 sciorina un elenco impressionante di sentenze pregresse, che avevano trattato ripetutamente della questione dei blocchi perequativi alle pensioni (a dimostrazione della scarsissima fantasia di chi sta al potere), dalle quali era facilmente ricavabile il perimetro della legittimità di una legge che tornasse sul tema.

Lungi dal cercare di evidenziare la responsabilità politica del Governo che produsse il d.l. 201/2011 e delle forze politiche che in Parlamento lo convertirono in legge alla velocità della luce (in appena 16 giorni, perché il bicameralismo rallenta il processo normativo, sì…) si è scatenata la campagna contro la Corte costituzionale, molto sostenuta in particolare dal Corriere della sera, che da giorni imperversa con articoli al veleno nei confronti dei giudici della Consulta, ma per traslato contro ogni istituzione di controllo e contrappeso.

Ne è esempio fulgido l’articolo di Francesco Verderami del 9 maggio 2015 “Renzi, irritazione per la sentenza «Danno al Paese»”.

Il giornalista è molto chiaro nel far rilevare come la questione non sia trattata per nulla sotto l’aspetto giuridico, come invece dovrebbe: ci informa, infatti, che il premier “si è infuriato per l'assenza di etichetta istituzionale della Corte, che ha violato il patto di collaborazione tra organi dello Stato, tenendo il governo all'oscuro del verdetto, e suscitando a Palazzo Chigi molti interrogativi estranei alle logiche giurisprudenziali”.

Grave colpa della Consulta, sarebbe quella di non aver fatto informalmente sapere a Palazzo Chigi quale sarebbe stato l’esito della sentenza. Un’argomentazione del tutto priva di senso, sul piano logico, giuridico e fattuale.

Sembra davvero di assistere all’irritazione che molte volte assessori, consiglieri e sindaci mostrano per “non essere stati informati prima” di scelte interamente ricadenti nella responsabilità e nelle competenze tecniche amministrative, a conferma che l’attuale Governo intende e crede davvero di poter gestire uno Stato come se fosse un qualsiasi comunello.

Invece di “infuriarsi” per la mancata informazione preventiva e informale, non prevista da nessuna norma e forse frutto di regole di etichetta totalmente inventate, sarebbe il caso che il Governo rifletta su un’altra responsabilità: la propria. Quella, cioè, di non aver tenuto conto, nell’elaborazione delle proprie politiche, del rischio che il ricorso avverso il blocco delle pensioni potesse essere accolto.

Sul piano fattuale, poi, è noto che la Consulta ha adottato la propria decisione a maggioranza, col voto decisivo del presidente: dovrebbe, allora, risultare chiaro che nemmeno la Corte, fino alla votazione finale del collegio, sapeva con precisione il contenuto della stessa. Cosa avrebbe mai potuto comunicare? In effetti, si tratta, come spiega Verderami, di polemiche ed argomentazioni che nulla hanno di giuridico, ma neanche di tecnico.

Pure, sembrano la ghiotta occasione per tornare sul tema dei controlli e delle funzioni “tecniche”.

Il modello di organi di controllo e di tecnici (dirigenti per primi) che spinge questo Governo appare molto chiaro: i controlli debbono essere benevoli e comunque sono da depotenziare; la dirigenza deve esclusivamente operare secondo diktat politici, anche laddove questi si pongano in contrasto con Costituzione, leggi e sentenze della Consulta.

Lo spiega ancora una volta molto bene il Verderami: “Renzi finora aveva interpretato un unico ruolo. Vestendosi da rottamatore, riformatore, innovatore, al dunque aveva offerto al Paese sempre lo stesso, identico profilo: nella sua narrazione era il «buono» che si proponeva di cambiare il sistema politico con l'Italicum e la riforma del Senato, che si distingueva per misure di equità fiscale con gli ottanta euro, che puntava al rilancio della scuola con centomila nuovi assunti. Adesso,per effetto di una sentenza della Consulta, gli toccherà la parte del «cattivo», a cui spetterà decidere quanti (e quanto) riceveranno ciò che la Corte stabilisce essere un loro diritto”.

Se, dunque, il premier deve fare la parte del “cattivo” è colpa della Corte costituzionale. Si noti bene il contenuto dell’articolo: il giornalista afferma che è la Corte a stabilire che per i pensionati è un diritto avere la perequazione. Il messaggio è chiaro: non “è” un loro diritto, ma è la Corte a dire che lo è: dunque, il premier subisce un diktat da parte dei giudici, ed è costretto a fare “il cattivo” ripristinando un diritto. Come se, per uno Stato di diritto, tutelare i diritti fosse un’azione riprovevole. Altro contenuto subliminale dell’articolo del Verderami: il premier è costretto a fare il cattivo, pur avendo dimostrato di essere “buono” col provvedimento degli 80 euro, qualificato come misura di “equità fiscale”. Peccato che, a proposito di equità, il bonus di 80 euro i pensionati non lo abbiano visto proprio. E peccato che l’equità di tale bonus appare molto discutibile considerando che non si è applicato con la logica di un reddito familiare: sicchè, se una famiglia mono reddituale guadagna più di 28.000 euro l’anno il bonus lo vede solo come argomento dei giornali; invece, in una famiglia nella quale entrambi i coniugi guadagnano 24.000 euro, entrambi fruiscono del bonus, pur essendo il reddito di tale famiglia quasi il doppio di quella esemplificata prima.

Ma, come si nota, non conta il merito, specie quello giuridico, delle disposizioni, bensì lo sfondo, ciò che si comunica. Lo spiega ancora Verderami, in un passaggio nel quale l’attacco si sposta dalla Consulta ad un organo tecnico vero e proprio, l’Istat: secondo il giornalista il premier “è consapevole che saranno molti gli scontenti, e che forse il suo provvedimento finirà di nuovo sotto la lente di osservazione dei giudici costituzionali. È questa l'altra metà del «danno», stavolta alla sua immagine e al suo modo di proporsi all'opinione pubblica: perché sa che toccare le pensioni significa disorientare i cittadini, provocare un abbassamento del livello di affidabilità dello Stato, innescare un meccanismo di sfiducia e d'incertezza per il futuro. Tutto il contrario di quanto si è proposto di fare da un anno a questa parte, con le dosi massicce di ottimismo che non ha mai smesso di somministrare. Perciò entra periodicamente in frizione con l'Istat. È vero, l'altro giorno il report dell'Istituto di statistica lo ha soddisfatto, anche se si trattava solo di una previsione del futuro. Ma ancora nel recente passato, appena due Consigli dei ministri fa, Renzi si è lasciato andare all'ennesima sortita contropelo: «L'Istat deve pubblicare i dati? Va bene, pubblichi questi dati. Ma su come darli occorre una comunicazione condivisa con il governo»”.

Un vero e proprio avvertimento agli organi tecnici: il loro lavoro non è affatto autonomo dalla politica, ma subordinato, tanto che occorre predeterminare la comunicazione dei dati (finchè non si arrivi alla predeterminazione del loro contenuto).

Traslando tutto ciò alla riforma della dirigenza, risulta molto chiaro il perché del ruolo unico, della durata massimo di 6 anni degli incarichi, della mera possibilità di assegnarli, del sostanziale arbitrio col quale gli organi di governo assegneranno gli incarichi, oppure decideranno di non attribuirli, per magari coprire i posti con dirigenti a contratto assunti senza concorso. Occorre una struttura tecnica che “condivida”, non dia adito al pessimismo, che basi le decisioni in relazione a ciò che fa bene all’immagine e non nel rispetto di regole e vincoli, se questi ostacolino gli intenti.

1 commento:

  1. Sono sempre colpito dalla lucida sintesi dello stimatissimo Oliveri. Ciò che l'attuale potentato sta costruendo è una solida struttura di potere oligarchico. Ciò che, altresì, colpisce è che in tanti non se ne accorgano o, peggio, anche da pulpiti importanti come il Corriere della Sera, plaudano all'avvento di questa "nuova era"...

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