domenica 14 giugno 2015

Durc telematico? Pia illusione e pessimo viatico alla riforma della PA

Tra i criteri del disegno di legge delega di riforma della PA, l’articolo 1 contempla i seguenti:

a) definire il livello minimo di qualità, fruibilità, accessibilità e tempestività dei servizi on line delle amministrazioni pubbliche e, a tal fine, prevedere speciali regimi sanzionatori e premiali per le amministrazioni stesse;

  1. b) ridefinire e semplificare i procedimenti amministrativi, in relazione alle esigenze di celerità, certezza dei tempi e trasparenza nei confronti dei cittadini e delle imprese, mediante una disciplina basata sulla loro digitalizzazione e per la piena realizzazione del principio «innanzitutto digitale» (digital first), nonché l'organizzazione e le procedure interne a ciascuna amministrazione”.


Ottimo. Intenti assolutamente condivisibili. Peccato che siano enunciati ormai da una vita: dal d.lgs 39/1993, per esempio, o anche dal dpr 445/2000.

Peccato, soprattutto, che quando si tratti di tradurre in realtà queste condivisibilissime linee direttrici, si faccia di tutto per violarle.

Ultimo esempio sempre la disciplina del famigerato Durc. A distanza di oltre un anno (dovevano trascorrere, invece, non più di 60 giorni) dall’entrata in vigore del d.l. 34/2014, convertito in legge 78/2014, è stato adottato il decreto del Ministero del lavoro per il “Durc telematico”. Tutto bene? Non diremmo.

L’articolo 4, comma 1, del d.l. 34/2014 dispone: “A decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 2, chiunque vi abbia interesse, compresa la medesima impresa, verifica con modalità esclusivamente telematiche ed in tempo reale la regolarità contributiva nei confronti dell'INPS, dell'INAIL e, per le imprese tenute ad applicare i contratti del settore dell'edilizia, nei confronti delle Casse edili. La risultanza dell'interrogazione ha validità di 120 giorni dalla data di acquisizione e sostituisce ad ogni effetto il Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC), ovunque previsto, fatta eccezione per le ipotesi di esclusione individuate dal decreto di cui al comma 2”. L’indicazione appare chiara: chiunque interessato, in primo luogo le stazioni appaltanti, debbono poter accedere telematicamente alle banche dati, per la verifica in tempo reale della regolarità del Durc.

Cosa dispone, allora, il decreto ministeriale attuativo? Purtroppo, indicazioni molto diverse. L’articolo 6 stabilisce che i soggetti interessati, accreditati dal sistema, accedono agli archivi di Inps, Inail e Casse edili e, fini qui va bene. Ma, prosegue la norma, non vanno, come ci si sarebbe aspettato, in consultazione diretta della banca dati. Il decreto imposta la procedura sempre col vecchio ed arcaico sistema della richiesta di verifica.

Di fatto, rispetto all’attuale sistema cambia solo che oltre ad essere telematica, come è già da un po’, la richiesta, telematica ed informatica è la risposta.

Infatti, ai sensi dell’articolo 7 del decreto, “L'esito positivo della verifica di regolarità genera un Documento in formato «pdf» non modificabile” contenente i dati minimi necessari.

Insomma, dunque, invece di produrre un Durc cartaceo, il sistema mette a disposizione del richiedente un file in formato .pdf. Tutto qui.

Le logiche procedurali non cambiano. Ed è qui il problema. I principi di apertura delle banche dati e di accesso diretto escludono radicalmente che vi debba essere una “richiesta” e la generazione di una risposta. I soggetti accreditati dovrebbero poter accedere alla banca dati direttamente, senza alcun filtro, e visualizzare direttamente i contenuti, senza alcuna produzione di dati o di files.

E, invece, le cose non stanno così. Tutto a causa della bizantina costruzione della disciplina del Durc, che impone il preavviso all’azienda, nel caso di irregolarità. Sicchè il “giro” procedurale rimane sempre lo stesso. Come dispone l’articolo 4, comma 1, del decreto attuativo “Qualora non sia possibile attestare la regolarità contributiva in tempo reale e fatte salve le ipotesi di esclusione di cui all'art. 9, l'INPS, l'INAIL e le Casse edili trasmettono tramite PEC, all'interessato o al soggetto da esso delegato ai sensi dell'art. 1 della legge 11 gennaio 1979, n. 12, l'invito a regolarizzare con indicazione analitica delle cause di irregolarità rilevate da ciascuno degli Enti tenuti al controllo”. Dunque, il “tempo reale” è negato nell’ipotesi di irregolarità, perché si deve permettere all’impresa di regolarizzarsi. Il legislatore non si rende conto che questa impostazione certamente garantista non sollecita certo gli imprenditori a mantenersi in regola costantemente e, comunque, costituisce un impedimento non da poco rispetto alla fluidità del procedimento e la negazione della verifica in tempo reale. Con inevitabili conseguenze sui tempi. Il comma 2 dell’articolo 4 del decreto, infatti, stabilisce che “L'interessato, avvalendosi delle procedure in uso presso ciascun Ente, può regolarizzare la propria posizione entro un termine non superiore a 15 giorni dalla notifica dell'invito di cui al comma 1. L'invito a regolarizzare impedisce ulteriori verifiche e ha effetto per tutte le interrogazioni intervenute durante il predetto termine di 15 giorni e comunque per un periodo non superiore a 30 giorni dall'interrogazione che lo ha originato”.

In sostanza, se va bene la stazione appaltante riesce ad avere contezza della posizione dell’impresa entro 45 giorni.

Risultato? Nulla cambia sul piano gestionale. L’informatizzazione si riduce ad un mero sistema per passare dal certificato cartaceo a quello in formato .pdf, senza alcuna velocizzazione dei tempi, senza alcun rispetto del principio dell’accesso diretto alle banche dati.

Non è affatto un buon viatico alle ottime (ma forse pie) intenzioni della riforma, che predica semplificazioni, informatizzazioni, telematizzazioni, mentre le logiche operative restano sempre e solo quelle della carta pergamena e della penna d’oca.

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