domenica 14 giugno 2015

Jobs Act: riordino del lavoro flessibile occasione mancata per la PA

Che succede al lavoro flessibile nelle pubbliche amministrazioni dopo l’approvazione definitiva del decreto legislativo di riordino delle forme contrattuali, attuativo del Jobs Act? Sostanzialmente nulla.

Il decreto attuativo modifica e riordina in gran parte le disposizioni del d.lgs 276/2003, lasciando immutata l’impostazione secondo la quale esse disposizioni non si estendono ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

Il riassetto, dunque, del lavoro flessibile nella PA resta subordinato all’attuazione della legge delega di riforma, all’esame del Parlamento.

Si è persa, così, l’opportunità di segnare un minimo riavvicinamento tra le regole di disciplina del lavoro subordinato nell’impresa e nell’amministrazione pubblica, nonostante il d.lgs 165/2001 preveda, ormai molto in astratto, che al lavoro pubblico si applichino anche le norme sul lavoro nell’impresa.

In particolare, sul lavoro a tempo determinato il decreto legislativo attuativo del Jobs Act lascia espressamente fermo quanto prevede l’articolo 36, comma 2, del d.lgs 165/2001. In sostanza, mentre nel sistema privatistico il lavoro a tempo determinato è “liberalizzato” anche dalla necessità di dimostrare l’esistenza di una “causa giustificativa”, nel lavoro pubblico resta, invece, un’eccezione legata alla sussistenza delle esigenze “di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale” previste dalla norma pubblicistica.

Visto che il legislatore ha tenuto a marcare ulteriormente le differenze tra la disciplina lavoristica privata e pubblica, si sarebbe potuto, almeno, intervenire sul tema delicatissimo della successione dei contratti a termine per oltre 36 mesi. Da anni i giudici del lavoro condannano spesso, assurdamente, le amministrazioni pubbliche al risarcimento del danno dei dipendenti assunti per oltre 36 mesi, ma a seguito del superamento di concorsi pubblici. Il giudice del lavoro non intende minimamente rendersi conto che il concorso elide totalmente la possibilità che la successione dei contratti discenda da una decisione unilaterale del datore di lavoro di rinnovare periodicamente il contratto, elemento fondamentale del concatenamento illecito dei contratti a termine. Il concorso, infatti, esclude un simile intento. Per evitare che un dipendente possa cumulare con la stessa PA oltre 36 mesi di lavoro a termine, occorrerebbe impedirgli di partecipare ai concorsi. Cosa che si rivelerebbe totalmente incostituzionale.

Purtroppo, nel decreto attuativo del Jobs Act nemmeno una parola è stata spesa per risolvere una volta e per sempre questa paradossale questione.

E che dire delle collaborazioni coordinate e continuative? Anche in questo caso in attesa del riordino di stampo pubblicistico, il decreto attuativo del Jobs Act dispone che nel caso delle amministrazioni pubbliche fino a tutto il 2016 non si applicano le nuove disposizioni in tema di collaborazioni ivi previste, finalizzate sostanzialmente a ricondurre al lavoro subordinato le collaborazioni “esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripetitivo e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi de ai luoghi di lavoro”. Formulazione, questa, che ricomprende la gran parte delle co.co.co.

Mentre tali tipi di collaborazioni restano da subito vietate per i datori privati (a meno che i contratti collettivi di settore non deroghino alla previsione normativa), il divieto per le amministrazioni pubbliche scatterà solo dal primo gennaio 2017. Francamente, non si riesce a capire la ratio di questa disparità tra ordinamento privato e pubblico.

Resta il fatto che, comunque, al di là della nuova configurazione delle co.co.co. data dal decreto attuativo del Jobs Act, per le pubbliche amministrazioni simili collaborazioni personali, ripetitive ed organizzate in tutto e per tutto dal datore sono vietate ormai da anni.

L’articolo 7, commi 6 e seguenti, del d.lgs 165/2001, come è opportuno ricordare, non solo consente le collaborazioni solo a condizione che vi sia la dimostrazione dell’assenza delle professionalità necessarie nei ruoli, si dia corso ad una procedura selettiva e si dia luogo a prestazioni altamente qualificate, ma dispone espressamente che “Il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti”. Dunque, si può concludere che l’indicazione contenuta nel decreto attuativo del Jobs Act non abbia alcun particolare contenuto innovativo per la PA.

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