domenica 27 settembre 2015

Tutti gli ex presidenti di provincia sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri

La Corte dei conti, sezione giurisdizionale del Veneto, ha condannato al risarcimento del danno erariale (con sentenza ancora non pubblicata sul sito della magistratura contabile) l’ex presidentessa della provincia di Venezia, per aver assunto come segretario particolare con qualifica dirigenziale una persona con la terza media.

Sembrerebbe, nell’illegittimità della vicenda, allora che tutto sia “normale”. Un atto di cattiva amministrazione è stato adottato, ma la magistratura lo sanziona ed impone il connesso risarcimento alle casse pubbliche.

A riflettere a fondo sulla questione, invece, essa si rivela perfettamente rappresentativa dello stato di profondo degrado dell’ordinamento.

C’è tutto, nella vicenda: favoritismi, mancanza di controlli, pressioni politiche, disparità di trattamento, stipendi sproporzionati, incoerenza dei giudizi della magistratura, sviluppi de jure condendo (se non addirittura de jure condito) che porteranno all’impunità di simili atti o a scaricarli nei confronti di una dirigenza vista e voluta come strumento di assunzione di responsabilità per decisioni adottati dagli organi politici.

E’ proprio lo sfogo sul Corriere del Veneto del 27 settembre 2015 dell’ex presidente della Provincia di Venezia, oggi assessore presso il comune, Francesca Zaccariotto a far emergere indirettamente tutti gli aspetti critici e di disfacimento ordinamentale.

L’articolo riporta (non come dichiarazione, ma sintesi del giornalista) la tesi difensiva dell’ex presidentessa della Provincia: “gli atti relativi a un’assunzione non sono di competenza politica, ma tecnica. L’amministratore cioè sceglie la persona che più ritiene adatta per l’incarico ma sono i dirigenti che si occupano degli atti”.

Sta di fatto che la Corte dei conti ha assolto i dirigenti ed i funzionari della provincia, in qualche misura parte della vicenda, per aver svolto attività di istruttoria e proposto o adottato i provvedimenti dai quali è sfociata l’assunzione causa di danno.

Veniamo, allora, ai punti delicatissimi che emergono dalla questione. L'ex presidentessa dichiara: “Ricorrerò. Ho scelto una persona di fiducia per coprire l’incarico ma contratti e pagamenti sono stati fatti dal direttore generale” e si meraviglia del perché non sia stato chiamato in causa.

La visione del ruolo e delle competenze di politica e dirigenza che emerge da questo quadro è semplicemente disarmante. Siamo ancora alla concezione secondo la quale il politico decide, ma non risponde, perché il compito della dirigenza è da un lato avallare o assecondare le decisioni anche quando siano palesemente illegittime, dall’altro fare da “scudo” ed addossarsi le responsabilità per scelte non proprie.

Esattamente l’opposto di quanto prevede la normativa vigente ed il principio di separazione delle funzioni di indirizzo politico, rispetto a quelle gestionali, posto dal d.lgs 267/2000 e dal d.lgs 165/2001, come applicazione di un principio desunto dagli articoli 97 e 98 della Costituzione.

Ma, mentre questo assetto era chiaro e rispettato, perché temuto, a pochi anni da “Tangentopoli” e dalla vigenza delle riforme Bassanini, a oltre 15 anni di distanza ha ormai perso il suo “peso”, non certo sul piano giuridico, bensì su quello fattuale.

Ma, ciò non è indifferente. L’opinione comune tornata a diffondersi tra gli esponenti degli organi di governo a qualsiasi livello, ma in parte rilevantissima negli enti locali, è che decide tutto il vertice politico, mentre la dirigenza non è altro che uno strumento di attuazione delle decisioni, priva di autonomia e da scegliere solo in relazione alla convergenza di idee col politico e in base alla disponibilità ad agevolare le scelte “politiche”, anche addossandosi responsabilità erariali, così impostandosi il rapporto di “fiducia” personale, che starebbe alla base degli incarichi dirigenziali.

Una visione in evidente e frontale contraddizione con le disposizioni della Costituzione e della legge e che spiega come mai non si riesca ad estirpare dall’ordinamento il ricorso agli incarichi dirigenziali “a contratto” senza concorso, che tanti danni e problemi causa, come dimostrato dal caso eclatante delle Agenzie fiscali, ma anche dalle tantissime, troppe, sentenze sia della Corte costituzionale (oltre a quella riguardante le Agenzie, anche la 180/2015).

E’ troppo chiaro come questo modo di intendere l’amministrazione si causa di mala gestione. L’organo di governo si sente nel potere di agire secondo una concezione della politica non sempre corretta, quella, cioè, di agire per favoritismi, consentendo, come nel caso di specie, a chi risulti totalmente privo di titolo anche per poter solo partecipare ad una procedura di reclutamento per esecutore amministrativo, addirittura di ottenere un trattamento stipendiale da dirigente, peraltro per svolgere le funzioni di “segretario personale”. Questo potere così inteso può ovviamente riversarsi su qualsiasi altro tipo di favoritismo o di azione praeter o contra legem e richiede necessariamente una dirigenza tutt’altro che autonoma. Nel caso contrario, evidentemente scattano tra politica e dirigenza tensioni formidabili, comunque certamente non utili al perseguimento dei fini di interesse generale.

E’ evidente che nel caso di specie ora l’ex presidentessa della Provincia vorrebbe condannati quanto meno con lei stessa, per almeno godere della riduzione dell’entità della condanna, i dirigenti che a suo tempo istruirono ed adottarono gli atti dell’assunzione. All’epoca, però, quando consentirono di assumere la persona senza requisiti saranno passati per “bravi”, oppure, se vi dovessero essere state tensioni, come “remissivi” e, dunque, in ogni caso “utili”. Solo dopo la sentenza meriterebbero, a giudizio dell'ex presidentessa, un coinvolgimento o una condanna.

Non è evidentemente possibile che l’ordinamento giuridico consenta simili vicende. Per altro, la persona assunta come segretario particolare era stato assessore della giunta del comune di San Donà di Piave, quando sindaco di questo comune era la stessa ex presidentessa della provincia di Venezia: un esempio evidente delle “porte girevoli”, la piaga dell’entrata ed uscita di esponenti politici da cariche propriamente politiche verso incarichi formalmente amministrativi, che si riducono, invece, come appiglio per continuare ad esercitare (a spese di tutti i cittadini) attività politica, in piena commistione di interessi ed in violazione totale del principio di separazione, oltre che delle stesse disposizioni sull’anticorruzione, comunque entrate in vigore dopo i fatti.

D'altra parte, l'intera vicenda è l'ennesima dimostrazione che l'eliminazione di controlli preventivi esterni di legittimità degli atti è fonte di questi eventi. L'unico sistema per scongiurare simili cortocircuiti, visto che di fatto la dirigenza non ha, sia perchè spesso non vuole avere, sia perchè ancor più spesso le pressioni politiche e la stessa normativa non glielo consente, forza ed autonomia, è far passare gli atti ad un vaglio preventivo. Non è possibile che la legalità dell'azione amministrativa sia rimessa praticamente in via esclusiva alla magistratura, perchè essa interviene ovviamente con ritardo e solo per quella bassa percentuale di casi che emergono alla sua attenzione.

Fin qui, di fronte a simili, frequentissime vicende, come ha reagito il legislatore? E’ noto. Col d.l. 90/2014 ha “legalizzato” proprio l’evento della provincia di Venezia, cioè l’attribuzione a collaboratori assunti ai sensi dell’articolo 90 del d.lgs 267/2000 anche del trattamento dirigenziale, sebbene privi dei requisiti, con la “spettacolare” novellazione di detto articolo 90, il cui nuovo comma 3-bis dispone: “Resta fermo il divieto di effettuazione di attività gestionale anche nel caso in cui nel contratto individuale di lavoro il trattamento economico, prescindendo dal possesso del titolo di studio, è parametrato a quello dirigenziale”.

La seconda “reazione” è contenuta nell’articolo 11, comma 1, lettera m), della legge 124/2015: “riordino delle disposizioni legislative relative alle ipotesi di responsabilità dirigenziale, amministrativo-contabile e disciplinare dei dirigenti e ridefinizione del rapporto tra responsabilità dirigenziale e responsabilità amministrativo-contabile, con particolare riferimento alla esclusiva imputabilità ai dirigenti della responsabilità per l'attività gestionale, con limitazione della responsabilità dirigenziale alle ipotesi di cui all'articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”.

Rileggendo questa norma e tornando su a rileggere come l'ex presidentessa concepisce ed interpreta il rapporto tra dirigenza e politica, per altro esprimendo un modo di vedere larghissimamente condiviso proprio tra gli esponenti politici, risulta sinistramente chiaro il significato della norma contenuta nella legge-delega della PA. Essa è senza dubbio alcuno una disposizione posta proprio a fare della dirigenza, estremamente precarizzata dalla riforma, esattamente quello scudo o parafulmine per l’azione politica. La legge 124/2015 scolpisce sul marmo la visione, scartata dalla sentenza della Corte dei conti del Veneto, secondo la quale il politico che adotta la decisione, nel caso di specie assumere come segretario personale con trattamento stipendiale da dirigente una persona priva del titolo necessario, resti “oscurata” ai fini della responsabilità, ricadente in via esclusiva sulla dirigenza, poiché è questa che pone materialmente in essere l’attività gestionale, di cui diverrà unica responsabile.

L'ex presidentessa della provincia di Venezia, come visto sopra, intende ricorrere. E fa più che bene. Se l’assunzione per la quale oggi è condannata l’avesse effettuata invece che nel 2010 lo scorso anno, nemmeno sarebbe partita l’azione risarcitoria, grazie al già visto comma 3-bis dell’articolo 90.

Non solo. Nell’articolo sul Corriere del Veneto l’ex presidente della provincia di Venezia lancia un lamento perfettamente giustificabile (non come dichiarazione diretta, ma sintesi del giornalista): “il premier Matteo Renzi, ricorda l’ex presidente, per un caso simile quand’era sindaco [in realtà anche lui presidente della provincia, nda] è stato assolto”.

Dunque, perché l'ex presidentessa non dovrebbe presentare ricorso, posto che l’assoluzione del premier avvenne proprio in sede di Corte d’appello? Si tratta della celeberrima sentenza della Sezione Prima, 4 febbraio 2015, n. 107, con la quale si stabilì l’assoluzione dell’allora presidente della provincia di Firenze, perché “non addetto ai lavori”.

Certo, nel caso di specie, l’ex presidente della provincia di Venezia non parte favorita. Sempre nell’intervista dichiara: “sono stata condannata proprio perché avrei dimostrato capacità amministrative e perché posseggo una laurea ed un master alla Bocconi”. Probabilmente, dunque, la sentenza non ha riconosciuto lo status di “non addetto ai lavori”.

Il messaggio che ne deriva è sconfortante. Per un verso, appare una sorta di invito a chi intenda svolgere funzioni politiche a restare ben dietro la linea del confine tra chi è o non è “addetto ai lavori”: meglio non laurearsi, ancor più consigliabile non prendere master, assolutamente da evitare dimostrare capacità amministrativa. Per altro verso, poiché l’attuale premier è laureato in giurisprudenza, sembra anche che alcune sentenze siano la traduzione in fatto del paradosso orwelliano. Sembra proprio di poter affermare che tutti gli ex presidenti di provincia sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.

Non resta che attendere gli esiti dell’appello dell’ex presidente della provincia di Venezia, sapendo che ella non ha da poter giocare la carta della nomina del presidente della Sezione che la giudicherà a capo della Procura della Corte dei conti, come avvenne – ma certamente solo per evenienze fortuite – col presidente della Sezione che giudicò e assolse l’ex premier a pochi giorni dalla sentenza stessa.

Però, l'ex presidentessa della provincia di Venezia potrà contare sull’attuazione della delega legislativa contenuta nell’articolo 11, comma 1, lettera m), della legge 124/2015. Il legislatore delegato, se avrà mano sapiente, potrà costruire la barriera alla responsabilità dei politici anche per vicende antecedenti all’entrata in vigore della riforma.

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