Chi scrive non è stato mai affatto tenero con la riforma delle province e la normativa che da anni disciplina il lavoro pubblico.
I commentatori, se non vogliono limitarsi alla mera parafrasi dei testi normativi, hanno il dovere anche di mettere a nudo i problemi interpretativi ed applicativi derivanti da norme carenti di sostanza, coordinamento, visione.
Tuttavia, ogni parola che possa essere stata spesa in senso critico dalla dottrina sugli argomenti citati oggi sta a zero. A parlare, infatti, con la deliberazione 28/2015 è stata la Corte dei conti, Sezione Autonomie, che ne ha per tutti, compreso il Dipartimento della Funzione pubblica ed il Ministero per le riforme regionali e la loro circolare congiunta 1/2015. Chissà se al Ministro Delrio e al suo staff che ha scritto la riforma delle province, nonché all’intero Governo stiano fischiano le orecchie. Ecco gli stralci della delibera, con i quali la Corte dei conti scrive quello che davvero pensa del modo di legiferare in Italia. Buona lettura (neretti di chi scrive).
“In via preliminare non sembra inopportuno ricordare (si veda anche la delibera n. 27/2014 di questa Sezione ), che il legislatore è recentemente più volte intervenuto in materia di spesa del personale e capacità di assunzione da parte degli enti locali non sempre in modo coerente ed utilizzando una tecnica di produzione delle norme spesso non aderente ai principi che dovrebbero prioritariamente caratterizzare la redazione delle stesse, quali, soprattutto, quelli della chiarezza e della precisione. Esemplare in tal senso appare l’art. 1, comma 424, della legge n. 190/2014, il quale, nonostante l’intervento della “circolare” del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione n. 1/2015, nonché di plurimi pareri forniti in merito dalle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, continua a suscitare negli enti locali dubbi ermeneutici e ad evidenziare difficoltà applicative. Inoltre, l’intero apparato normativo intervenuto a regolare la materia già dalla legge n. 190/2014 appare concepito senza una sufficiente preventiva valutazione degli effetti concreti sull’assetto giuridico di un settore per sua natura delicato.
Ne consegue, evidentemente, che se l’attuazione della “voluntas legis” dipende dall’interpretazione delle norme da parte dei soggetti ed organi chiamati ad applicarle, tale interpretazione risulta comunque ed inevitabilmente condizionata dalla qualità della tecnica legislativa utilizzata….”.
“…Non di rado, infatti, accade che nella produzione normativa risulti carente la stessa analisi di concreta attuabilità delle modalità previste nelle disposizioni emanate: basti osservare gli effetti finora riscontrati con riguardo al processo di “riforma delle Province” (evidenziati anche da questa Corte nella deliberazione n. 25/SEZAUT/2015/FRG), che non possono non avere un rilevante impatto sul tema della “capacità assunzionale, o i riflessi del continuo slittamento dei termini di approvazione dei bilanci degli enti locali (sottolineati da questa Corte, in particolare nella delibera n. 23/SEZAUT/2013/FRG) sulla corretta applicazione del principio di programmazione, mettendone a rischio credibilità ed efficacia.
Come già evidenziato in premessa, la mutevolezza della normativa “costringe” l’interprete, che non voglia pretendere di sostituirsi al legislatore, a “ricostruire” dopo ogni intervento di quest’ultimo il quadro giuridico entro il quale devono muoversi gli operatori, nel tentativo di fornire indicazioni rispettose della lettera e della “ratio legis” e dotate di intrinseca coerenza logica. Non si può omettere di ricordare, inoltre, che nella specifica materia della capacità assunzionale degli enti locali è prevista una severa sanzione (la nullità delle assunzioni effettuate) per la violazione di norme redatte tuttavia con tecnica legislativa non sempre impeccabile e dal contenuto spesso poco chiaro…”.
“…La soluzione da ultimo indicata per le assunzioni a valere sui budget degli anni precedenti al 2015 rimane, ad avviso di questa Sezione, la più logicamente percorribile e la più aderente alla lettera e alla “ratio legis”, stante la scarsa coerenza tra le diverse norme richiamate, la cui lacunosità ha generato la necessità di una “circolare” interpretativa a sua volta non priva di passaggi non sempre tecnicamente ineccepibili ai fini di una ricostruzione chiara, logica ed univoca del quadro normativo…”.
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