Ne è l’ennesima riprova l’articolo di Sergio Rizzo sul Corriere della Sera di venerdì 29 gennaio, dal titolo “I burocrati che salvano se stessi”.
Rizzo, come è noto, ha impostato tutta la sua rilevantissima carriera professionale proprio come “paladino” contro la burocrazia e la corruzione. Purtroppo, l’approccio scelto per questo utilissimo e nobile intento è, appunto, quello del populismo, del messaggio facile e dell’inchiesta che piace alla piazza, oltre che sui tavoli da biliardo.
Il messaggio, dunque, è generalmente semplificato e da applausi automatici. Il titolo dell’articolo citato è emblematico: la sola idea di “burocrati che salvano se stessi” fa indignare, prima ancora di leggere il contenuto dell’articolo.
Infatti, l’esordio dell’articolo è da ovazione: “per impedire che una riforma abbia successo c'è un metodo infallibile: affidarne l'applicazione agli stessi burocrati. Viene deciso che la pubblica amministrazione si deve avvalere per i rapporti con i cittadini della posta elettronica certificata? Ecco che salta fuori qualche misteriosa disposizione in tema per cui la richiesta agli uffici si può certamente fare per mail, ma la domanda è ritenuta valida solo se presentata di persona o tramite raccomandata con ricevuta di ritorno”. Né l’immediato prosieguo è da meno: “la politica, qui, ha enormi responsabilità. Non perché siano i politici a scrivere regolamenti e circolari che stabiliscono come si devono compilare i moduli o le procedure per smaltire una tettoia di eternit. Ma perché la politica delega decisioni frutto della volontà popolare, come le leggi approvate dal Parlamento, agli stessi che dovrebbero subirle”.
Dato il postulato, segue la dimostrazione: “II caso del regolamento edilizio unico per tutti i Comuni italiani è una micidiale cartina al tornasole. Finalmente il governo prende atto che è impossibile far funzionare come in tutti i Paesi civili un sistema per cui ognuno degli 8.003 municipi italiani amministra questa materia con norme differenti l'uno dall'altro, sovente contraddittorie. Si arriva all'assurdo che neppure le circoscrizioni di uno stesso Comune capoluogo applicano le stesse regole. Non sono diverse soltanto le altezze dei pa rapetti o le cubature minime delle stanze, ma le definizioni stesse: in un Comune con «superficie utile» si indica una determinata cosa, mentre nel Comune confinante lo stesso termine indica una cosa diversa”.
E, dunque, lo sviluppo: “Si commette però il solito errore: siccome la questione è molto complicata e oltre alle leggi nazionali ci sono di mezzo centinaia di norme locali per decine di migliaia di disposizioni, il compito di mettere a punto il testo viene assegnato a un pool di funzionari competenti. Ma sono gli stessi che hanno le chiavi del labirinto, i custodi dei segreti delle burocrazie regionali e comunali, U cui potere e la cui funzione svanirebbero se il regolamento unico vedesse effettivamente la luce, fosse semplice e facilmente applicabile in tutti i Comuni italiani. Cominciano allora le eccezioni, i distinguo, i cavilli. Ognuno butta in faccia all'altro un dpr, una legge regionale, un ingorgo urbanistico, una specifica costruttiva, un divieto lessicale, un ostacolo strutturale, un compendio normativo, una deroga altimetrica... E dopo un anno tutto è ancora fermo. La burocrazia ha raggiunto il suo obiettivo”.
Peccato, però, che il Rizzo nel premurarsi di esemplificare la questione del regolamento edilizio per dimostrare che i burocrati fermano tutto, perché più forti di una politica debole che delega loro il potere, sbaglia completamente strada, mostrando anche pochissima conoscenza delle dinamiche della materia presa in esame, la disciplina dell’edilizia.
Rizzo, evidentemente, finge di ignorare un elemento fondamentale: proprio nella materia dell’edilizia la politica locale fonda la gran parte dei propri poteri. Pianificare l’urbanistica e, poi, materialmente decidere le regole per la realizzazione delle costruzioni per servizi pubblici, per insediamenti produttivi, per attività commerciali o ricettive è l’essenza vera del potere politico nei comuni.
E’ proprio in questo ambito che la politica incide, eccome. In particolare proprio attraverso gli strumenti che la normativa, in base al principio della divisione delle competenze tra politica e “burocrazia”: cioè mediante gli atti di programmazione urbanistica ed i regolamenti edilizi. Che, guarda caso, sono di competenza dei consigli comunali, cioè integralmente ascritti alla responsabilità ed emanazione esattamente dei politici.
Rizzo finge di non sapere, ancora, che, però, nei consigli comunali non sono presenti solo giuristi, ingegneri, urbanisti ed architetti esperti della materia. Le assemblee elettive dei comuni sono composte da rappresentanti politici di ogni tipo di esperienza: dall’avvocato al gelataio, dal bottegaio al professionista, dal pensionato all’impiegato.
La struttura amministrativa, la “burocrazia” sventolata come minaccia dall’articolo, serve dalla notte dei tempi (inventata già dai sumeri e perfezionata nell’Egitto dei faraoni 5000 anni fa), perché il potere decisionale, proprio perché non sempre competente in modo verticale su tutto, si avvale di funzionari a supporto. Proprio perché ci sono leggi, norme e cavilli.
Ma, Rizzo finge, ulteriormente, di non sapere che le leggi, le norme ed i cavilli le produce esattamente la politica. Rizzo finge certamente di non sapere, perché molte volte nelle sue inchieste ha commentato la scarsa comprensibilità delle leggi e ha criticato spesso le “manine” capaci di volta in volta di introdurre appunto quel codicillo seminascosto generalmente utilissimo a danneggiare molti e privilegiare pochi.
Non ci sono “custodi segreti” delle burocrazie comunali. Nei comuni, in particolare nel settore dell’edilizia, esiste invece una dinamica conflittuale enorme tra la politica e la struttura amministrativa, perché è esattamente la prima a pretendere pianificazioni urbanistiche e regole di dettaglio edilizie in deroga, violazione, aggiramento delle norme, mentre la seconda, quando non è cooptata come dirigenza a contratto direttamente nominata dalla politica e, quindi, sua diretta espressione, cerca solo di applicare in modo razionale e rispondente all’interesse generale regole che, invece, la politica vorrebbe piegare alla sola utilità degli amici.
Che la politica risulti frenata dai “custodi segreti” sia solo una panzana, Rizzo lo potrebbe facilmente apprendere da fatti di cronaca recentissimi, descritti con dovizia da Il Fatto Quodiano. Il quale racconta del diniego opposto ad un proprio giornalista da parte del comune di Laterina ad accedere allo stato di famiglia della ministra Boschi. Un diniego assolutamente infondato, ma non frutto della direttiva interna del “burocrate”, che introduce il cavillo o l’ostacolo, bensì di una decisione diretta del sindaco di quel comune, contraria ad ogni regola minima delle norme sulla trasparenza amministrativa.
Rizzo potrebbe prendersi il disturbo di scorrere nelle varie banche dati pubbliche le sentenze della Corte dei conti e dei Tar, per rendersi conto di quante volte incarichi, consulenze, appalti, siano decisi direttamente dalla politica che, però, finge di esprimere solo direttive, in modo che la “firma” sull’atto poi rivelatosi illecito e produttivo di danno (quando non di reato, in alcuni casi) sia adottata dal “custode segreto”. Che, come tale, se segretamente agisce per inserire esattamente quei cavilli, quelle deroghe, quelle situazioni eccezionali che aggradino alla politica in quel momento, è portato in palmo di mano. Mentre, se, al contrario, attua le leggi e le regole rese complicatissime in primis dalla politica, è un nemico da eliminare. E la riforma della dirigenza operata dalla legge 124/2015 va esattamente nella direzione della “normalizzazione” della dirigenza, perché divenga da servente a servile.
Evidentemente a Rizzo, “paladino” di riforme e idee di riordino della pubblica amministrazione fallimentari e dannose, come la riforma delle province indirettamente affondata ed irrisa dalla sentenza 10/2016 della Corte costituzionale, va bene così. L’applauso scrosciante di chi poggia il bianchetto o la stecca da biliardo dopo aver letto il titolo populista, val bene il supporto a riforme che nell’assoggettare la “burocrazia”, il corpo che autonomo dalla politica dovrebbe attuare l’indirizzo politico in modo però imparziale, alla politica costringa i cittadini ad “affiliarsi”, per avere come favore ciò che spetta di diritto.
E, a proposito della norma sulla posta certificata, un consiglio a Rizzo. Legga a caso una norma di legge qualsiasi riguardante le comunicazioni tra pubblica amministrazione e cittadini e viceversa. Consigliamo l’articolo 77 del codice dei contratti[1], in modo che il Rizzo si faccia un’idea di come la “burocrazia” ed i cittadini debbano districarsi tra regole semplicemente assurde, per riflettere se sia davvero la burocrazia a voler salvare se stessa.
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