sabato 13 febbraio 2016

Furbetti del cartellino: quali rimedi concreti?


Anche il comune di Acireale è stato investito dallo tsunami degli assenteisti che alterano in modo fraudolento le risultanze degli strumenti di controllo delle presenze: 62 dipendenti sotto inchiesta. Su 288 censiti al 2013 (ultimo dato rintracciabile dal sito del comune).
Si tratta del 21,53% dei dipendenti del comune. Poco più di un quinto dei dipendenti, dunque, è coinvolto nel sistema odioso della truffa delle presenze. Troppo, per non immaginare che anche ad Acireale, come a San Remo, vi sia un vero e proprio sistema organizzato e in qualche modo tollerato, per assicurare a decine e decine di dipendenti il sistema di non adempiere all’obbligazione fondamentale della presenza in servizio. Di certo, si può immaginare, sperando di incorrere in uno sbaglio, che altrettanto lasco sarà stato il modo di controllare la resa effettiva delle attività lavorative.
Sul sito si possono riscontrare, nella sezione “amministrazione trasparente” tassi di assenza encomiabili, non superiori al 5% dei giorni lavorativi.
La realtà, come si nota, è ben diversa da quella risultante dagli indicatori pubblicati. E se qualcuno vuol togliersi la curiosità di sapere se e quanti dipendenti del comune di Acireale abbiano ottenuto premi di risultato almeno per farsi , per verificare se per caso un 20% sia risultato non meritevole, meglio che rinunci: nella sezione “performance” dell’amministrazione trasparente si ritrova la dicitura “L'amministrazione pubblicherà i documenti relativi a questa sezione non appena disponibili”. Un bel modo per adempiere solo in modo formale agli obblighi della trasparenza: costituire la sezione “amministrazione trasparente”, prevedere le sotto sezioni, ma non caricare i dati.
Quali considerazioni si possono trarre da quanto avvenuto, tenendo presente che risale solo allo scorso ottobre 2015 il caso San Remo?
Molte e tutte quante, purtroppo, a tinte oscure. Una prima considerazione concerne le misure di trasparenza ed anticorruzione. Non sono di alcun aiuto concreto ad evitare uno dei principali comportamenti lesivi di ogni onore ed etica del lavoro. Sembra quasi un’irrisione la previsione dell’articolo 3, comma 1, del “codice etico”, il dpr 62/2013: “Il dipendente osserva la Costituzione, servendo la Nazione con disciplina ed onore e conformando la propria condotta ai principi di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa. Il dipendente svolge i propri compiti nel rispetto della legge, perseguendo l’interesse pubblico senza abusare della posizione o dei poteri di cui è titolare”. Non meno amaro è il sorriso cui induce l’articolo 11, comma 2: “Il dipendente utilizza i permessi di astensione dal lavoro, comunque denominati, nel rispetto delle condizioni previste dalla legge, dai regolamenti e dai contratti collettivi”.
Indubbiamente il comune di Acireale avrà adottato il piano triennale di prevenzione della corruzione e della trasparenza, il piano della performance ed un codice etico specifico. L’utilità rispetto all’obbligo della presenza in servizio sembra essere pari a zero.
Ma, se per Acireale e San Remo è acclarata dai fatti la sostanziale inutilità dei tanti, troppi, adempimenti burocratici utili per rivestire di “forma” la “sostanza” non sempre rispondente ai canoni del buon andamento (ma sarebbe da dire della buona fede e correttezza), per le altre amministrazioni nelle quali i dipendenti non pongono in essere vere e proprie organizzazioni a delinquere per sottrarsi agli obblighi lavorativi, il rispetto di queste minime regole di onore non dipende certo dalla presenza di questi documenti. Né la loro redazione, né la loro messa in opera serve a molto per prevenire ed impedire simili eventi.
Una seconda considerazione riguarda le conseguenze. I 62 dipendenti del comune di Acireale la faranno franca, o potranno essere licenziati, anche in assenza dell’operatività della riforma del licenziamento dei dipendenti pubblici?
L’esperienza di San Remo ha confermato quello che tutti sapevano, ma che gli esponenti del Governo per settimane hanno insistito a negare: è perfettamente possibile licenziare i dipendenti infedeli ed in tempi sicuramente celeri. L’ufficio dei procedimenti disciplinari del comune ligure, in un lasso di tempo di 90 giorni ha già risolto il rapporto di lavoro di una ventina di dipendenti.
Lo stesso dovrà e potrà fare il comune di Acireale, laddove, ovviamente, le istruttorie comproveranno gli addebiti, senza che allo scopo occorra la riforma Madia. La quale, come in tantissimi interpreti ed osservatori hanno rilevato, quando sarà in vigore per un verso non servirà ad attivare i licenziamenti, che possono essere posti in essere anche adesso che la riforma non è vigente; per altro verso, sarà fonte di sicuro ed incerto contenzioso costituzionale, a causa della previsione della sospensione automatica inaudita altera parte e della responsabilità quasi oggettiva che fa incombere sui dirigenti.
In terzo luogo, si nota come nelle amministrazioni che subiscono il sistema organizzato degli assenteisti, la loro fiducia nelle sicure “coperture” di cui godono e l’abitudine inveterata a frodare il datore di lavoro prevalgono su qualsiasi forma di deterrenza. Non è bastato l’esempio di San Remo, dove si è deciso di fare molto sul serio per colpire i responsabili della frode sulle presenze; meno ancora pare aver irretito i “furbetti del cartellino” siciliani l’effetto annuncio della riforma Madia.
Nella realtà, si deve prendere atto che il sistema di comprova della presenza in servizio mediante la strisciatura del badge è obsoleto e poco utile ad evitare lo sconcio delle frodi: troppo semplice affidare i cartellini a qualche collega compiacente, che “timbri” per conto di altri.
Al di là delle norme etiche (di nessuna utilità a bloccare chi è disposto a delinquere) e delle disposizioni sanzionatorie (evidentemente incapaci di fare da deterrente), le amministrazioni debbono studiare sistemi nuovi e diversi, per controllare le presenze (per non parlare del rendimento) dei propri dipendenti. E prendere atto che allo scopo occorre investire risorse.
L’idea contenuta nello schema di decreto legislativo di riforma del licenziamento per gli assenteisti, secondo la quale oltre all’assenteista debba pagare anche il “dirigente che non controlla” può apparire corretta in astratto, ma in concreto si scontra con i modi, “la pagina del come” direbbe Crozza-Montezemolo. A meno di non pretendere che l’attività dei dirigenti si riduca al solo appello mattutino ed all’ispezione da caserma, oppure a pensare che i dirigenti si schierino tutti all’orologio marcatempo nell’arco (talvolta anche di un’ora e mezza, a seconda delle flessibilità orarie) di tempo nel quale i dipendenti timbrano, occorre attivare strumenti di verifica di altra natura.
Per esempio, nel caso del telelavoro, l’operatività del dipendente che lavora da remoto viene monitorata attraverso il controllo che il sistema compie sull’aggancio dell’indirizzo IP del computer utilizzato, verso il data base nel quale il dipendente è chiamato a svolgere la propria attività.
Non si vede perché non estendere, in via semplificata, questa idea anche al lavoro in sede, posto che la gran parte delle attività lavorative sono realizzate al pc, agganciate ad un sistema in rete.
Si potrebbe, dunque, stabilire che la presenza in servizio sia attestata non dalla sola strisciata del badge all’orologio, ma necessariamente anche dal momento nel quale il dipendente si autentica nel sistema informatico, stabilendo che l’orario di lavoro si computi e scatti esclusivamente da questo secondo evento. Il sistema informativo, allora, dovrebbe poter produrre in tempo reale per i dirigenti ed i vertici responsabili dei dipendenti un rapporto, col quale dare conto della corrispondenza 1/1 tra timbrature all’ingresso ed agganci al sistema di rete, in modo da segnalare anomalie eventuali e permettere interventi realmente immediati.
Un’idea simile costa? Verosimilmente sì. Ma, se un dirigente o responsabile di servizio chieda alla propria amministrazione di attrezzarsi per poter svolgere il proprio compito di controllo nei confronti dei dipendenti e l’amministrazione non investa o non risponda o non accolga la domanda, la responsabilità, poi, di chi è?
Certo, si potrebbe pensare a strumenti meno sofisticati: la previsione che i dipendenti comunque anche dopo aver timbrato attestino la propria presenza attraverso un registro firma, alla vista del dirigente o responsabile, che, poi, dovrebbe procedere con fogli di calcolo o anche con carta pergamena e penna d’oca a fare gli incroci necessari a verificare la correttezza delle attestazioni: ma si tratterebbe troppo di idee vicine al modello fantozziano.
In ogni caso, la semplice attestazione tramite badge non mette in alcun modo al riparo dalle frodi. Il minimo sarebbe prevedere l’obbligatorietà dei tornelli, impostati in modo che consentano di passare una sola timbratura per volta.
Sta di fatto che ciascuna amministrazione deve impegnarsi per adottare sistemi concreti di controllo e verifica delle presenze, perché affidarsi ai massimi sistemi non produce alcun risultato.
Non ultimo, sarebbe il caso anche di immaginare modalità per colpire le coperture politiche e partitiche a sistemi di questo genere: in assenza, la convinzione di molti dipendenti di essere “protetti” politicamente costituirà sempre una resistenza inviolabile.

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