Testo vigente
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Testo modificato
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Art. 28
Pubblicità dei rendiconti dei gruppi consiliari regionali e
provinciali
1. Le
regioni, le province autonome di Trento e Bolzano e le province pubblicano i
rendiconti di cui all'articolo 1, comma 10, del decreto-legge 10 ottobre
2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n.
213, dei gruppi consiliari regionali e provinciali, con evidenza delle
risorse trasferite o assegnate a ciascun gruppo, con indicazione del titolo
di trasferimento e dell'impiego delle risorse utilizzate. Sono altresì
pubblicati gli atti e le relazioni degli organi di controllo.
2. La
mancata pubblicazione dei rendiconti comporta la riduzione del 50 per cento
delle risorse da trasferire o da assegnare nel corso dell'anno.
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Art. 28
Pubblicità dei rendiconti dei gruppi consiliari regionali e
provinciali
1. Fermo
restando quanto previsto dall'articolo 9-bis, le regioni, le province
autonome di Trento e Bolzano e le province pubblicano i rendiconti di cui
all'articolo 1, comma 10, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213, dei
gruppi consiliari regionali e provinciali, con evidenza delle risorse trasferite
o assegnate a ciascun gruppo, con indicazione del titolo di trasferimento e
dell'impiego delle risorse utilizzate. Sono altresì pubblicati gli atti e le
relazioni degli organi di controllo.
2. La
mancata pubblicazione dei rendiconti comporta la riduzione del 50 per cento
delle risorse da trasferire o da assegnare nel corso dell'anno.
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L’articolo
28 del d.lgs 33/2913 trasparenza è la norma-simbolo di un’iniziativa normativa
che ha ricevuto certamente un’accelerazione dagli scandali dovuti alla spesa incontrollata
ed all’impiego ancor meno disciplinato delle risorse ai gruppi consiliari di
tanti, troppi consigli regionali.
Lo
spunto della disposizione in commento, deriva dall’articolo 1, commi 9 e 10,
del d.l. 174/2012, convertito in legge 213/2012:
“9. Ciascun
gruppo consiliare dei consigli regionali
approva un rendiconto di esercizio
annuale, strutturato secondo linee guida deliberate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e recepite con
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, per assicurare la corretta
rilevazione dei fatti di gestione e la regolare tenuta della contabilità, nonché per definire la
documentazione necessaria
a corredo del rendiconto.
In ogni caso il rendiconto
evidenzia, in apposite voci, le risorse trasferite al gruppo dal consi-
glio regionale, con indicazione del titolo del trasferimento, nonché le
misure adottate per consentire la
tracciabilità dei pagamenti effettuati.
10.
Il rendiconto è trasmesso da ciascun gruppo consiliare al presidente del consiglio regionale, che lo trasmette al
presidente della regione.
Entro sessanta giorni dalla chiusura
dell’esercizio, il presidente della
regione trasmette il rendiconto di ciascun gruppo alla competente sezione regionale
di controllo della Corte dei conti
perché si pronunci, nel termine di trenta giorni dal ricevimento, sulla regolarità dello stesso con apposita delibera, che è trasmessa al presidente della regione
per il
successivo inoltro al presidente del consiglio regionale, che ne
cura la pubblicazione. In caso di mancata pronuncia nei successivi trenta
giorni, il rendiconto di esercizio si intende comunque approvato. Il rendiconto
è, altresì, pubblicato in allegato
al conto consuntivo del consiglio regionale e nel sito istituzionale della
regione”.
La
cosa che sorprendeva già nel 2013, all’epoca dell’emanazione della stesura
iniziale del d.lgs 33/2013 era l’estensione che l’articolo 28 fa di una disciplina normativa dedicata esclusivamente
alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano alle province.
Una correzione
della norma in commento sarebbe stata assolutamente
necessaria perché l’articolo 28, al di fuori da qualsiasi delega legislativa
(e, dunque,
sul punto,
risultando illegittimo costituzionalmente
per eccesso di delega), estendeva ed estebde alle province
cautele e misure previste per altri enti.
Per
altro, oggi, una volta intervenuta la legge 56/2014 di riforma delle province
ed avviato il delicatissimo e in molte parti fallimentare processo di riordino
di province e città metropolitane, la previsione contenuta nell’articolo 28,
anche successivamente alla novella del 2016, appare fuori luogo e fuori tempo,
nel momento in cui continua ad estendersi appunto a province e città
metropolitane.
La
stesura del testo dell’articolo 28 del d.lgs 33/2013 testimonia per l’ennesima
volta l’avversione nei confronti di enti, le province, additate a simbolo del
“costo della politica”, nonstante la prova
schiacciante dei numeri
dimostri esattamente il contrario.
Come evidenziato già nel 2012 dall’unione Province Italiane (1), il “costo della politica” delle province, in
rapporto agli altri enti territoriali, era del tutto irrisorio:
I compensi 2012 degli eletti nelle istituzioni locali e
nazionali
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PARLAMENTO
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439.732.000
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di cui Senato
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141.882.000
|
di cui Camera Deputati
|
297.850.000
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REGIONI
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800.702.827
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COMUNI
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556.593.000
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PROVINCE
|
104.700.000
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Fonti: Bilancio
Previsione Camera Senato 2012; banca dati Siope 2012
La tabella
che segue rende ancora più chiara la distribuzione
degli oneri per gli organi politici, già ante riforma delle province:
Spesa per organi politici in milioni |
2012
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%
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PARLAMENTO
|
439
|
23,12%
|
REGIONI
|
800
|
42,13%
|
COMUNI
|
556
|
29,28%
|
PROVINCE
|
104
|
5,48%
|
|
1.899
|
100%
|
La spesa delle province,
dunque, con riferimento agli organi di governo
costava, già prima della legge 56/2014 quanto due F35 ed incideva, sul totale
complessivo, per il 5,48%.
Risultava davvero singolare che il legislatore delegato estendesse a detti enti, senza alcuna delega a monte, le previsioni richieste, a giusta
ragione, per le regioni, che
fanno la parte del leone
della spesa, incidendo, ante riforma
delle province, per il 42,13%, 8 volte le province.
Accedendo
ai dati Siope 2015, post riforma Delrio, si constata che alle voci spese per
gli organi istituzionali le regioni hanno speso 515,7 milioni, i comuni 492,7
milioni e le province 13,6 milioni!
Già
il legislatore del 2013 dimostrava di
essere incappato in un errore
macroscopico, in quanto aveva probabilmente ritenuto che anche alle
province si applicassero le regole
di gestione dei gruppi consiliari vigenti nelle regioni. Queste
li hanno
sciaguratamente ripresi dal modello offerto dalla Sicilia,
che presenza
una fortissima
separazione tra strutture della
giunta regionale ed assemblea regionale siciliana, la quale è
dotata di una sua assoluta autonomia di bilancio,
contabile, organizzativa e quale datore di lavoro.
Anche i consigli delle regioni a statuto
ordinario, nella sostanza, sono divenuti
enti autonomi all’interno della regione,
dotati di un bilancio proprio, definito con leggi regionali, che
assegnano ai gruppi le loro dotazioni. Ma, anche ante riforma Delrio per le province
le cose
non stavano
affatto così. Ad esse si applica(va)no, esattamente come ai comuni,
le disposizioni
del d.lgs. 267/2000 che attribuisce ai consigli una limitatissima
autonomia funzionale ed organizzativa. I consigli comunali
e provinciali non sono soggetti autonomi, non hanno un proprio bilancio, non
dispongono di strutture differenziate.
La limitata
autonomia di cui dispongono è disciplinata dall’articolo 38, comma 3, del T.u.e.L.: “I consigli sono dotati di autonomia funzionale e organizzativa.
Con norme regolamentari i comuni e le province fissano le modalità per fornire
ai consigli servizi, attrezzature e risorse finanziarie. Nei comuni con popolazione
superiore a 15.000 abitanti e nelle province possono essere previste strutture
apposite per il funzionamento dei consigli. Con il regolamento di cui
al comma
2 i consigli disciplinano la gestione di tutte le risorse attribuite per
il proprio funzionamento e per quello dei gruppi consiliari regolarmente
costituiti”.
Le “strutture apposite” altro non sono
che ripartizioni degli uffici comunali, non uffici
posti alle dirette
dipendenze dei consigli, che non hanno soggettività giuridica. Ai consigli il bilancio
dei comuni e delle province
può assegnare limitate
risorse, finalizzate al
proprio funzionamento. Tutti i flussi finanziari sono parte del bilancio
dell’ente locale e, dunque, sono soggetti a tutte le procedure di approvazione,
gestione e controllo di qualsiasi spesa, non godendo
di alcun regime particolare, a differenza di quanto
avviene nelle regioni, che agiscono
con leggi,
peraltro ritenendo – erroneamente –
sottratta l’attività amministrativa dei consigli al sindacato
di legittimità, come proprio l’articolo 1, commi 9 e 10, del d.l.
174/2013 ha dimostrato.
Non
si capiva, dunque, per quale ragione l’articolo 28 del d.lgs 33/2013, già nella
sua stesura originaria, prevedesse per le
province forme di controllo che
non si
attagliano per nulla agli enti locali, ma sono necessarie solo per le regioni.
Tanto è vero che i comuni, che spendono per gli organi di
governo 5 volte di più delle province
(e in molti grandissimi comuni le spese dei consigli,
quantitativamente, non sono molto lontane da quelli affrontati da alcune
regioni), non sono compresi nell’adempimento dell’articolo 28.
Dunque,
con riferimento alle province, l’articolo 28 appariva fin dal 2013 null’altro se
non un
ammiccamento nei confronti delle tante
voci che considerano le province
un peso
da estirpare,
senza, ovviamente, leggere i numeri
e conoscere a fondo l’entità dei problemi.
Quello
che appare oggettivamente assurdo e fuori misura è confermare l’assetto
dell’articolo 28 relativo alle province anche nella novella del 2016,
successiva, cioè, alla riforma Delrio, senza tenere conto che i consiglieri
provinciali svolgono una funzione quasi gratuita (come dimostra il confronto
tra i dati del 2012 e del 2015) e che i “gruppi” consiliari nelle province, di
fatto, non possono nemmeno più esistere e funzionare.
Ulteriore
clamoroso errore della novella è non prendere in considerazione le città
metropolitane, creando un’assurda disparità tra questi enti, non soggetti
all’ultronea disciplina dell’articolo 28 in commento, e le province, invece
soggette, non si capisce più a che titolo e a quali fini.
Peraltro, poiché i rendiconti di cui all’articolo 1, comma 10, della legge 213/2012 non riguardano le
province, ma solo le gioni, non si vede
come le province stesse possano pubblicarli, visto che non li producono ed
elaborano.
I
giusti e condivisibili inviti alla trasparenza
nei confronti
delle regioni, chiamate a pubblicare i rendiconti,
le dotazioni
assegnate e le modalità di spesa, potevano
essere estesi alle province (e alle città metropolitane), ma allora
anche ai comuni, senza richiamare
il rendiconto
di cui all’articolo 1, comma 10, della riforma dei sistemi di controllo.
Di conseguenza,
la sanzione
prevista dal comma 2 dell’articolo
28 può
considerarsi applicabile solo alle regioni
e alle province autonome di Trento e
Bolzano, ma non alle province.
Insomma,
un pastrocchio, figlio della corsa poco meditata alla riforma delle province.
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