La Sezione ha preso posizione
circa l’individuazione dell’organo competente ad autorizzare le acquisizioni di
beni e servizi extra sistema di vigenti convenzioni della Consip o di altri
soggetti aggregatori, ai sensi dell’articolo 1, comma 510, della legge
208/2015.
La deliberazione così si esprime
sul punto: “si rileva come il
provvedimento autorizzatorio sia stato emesso dalla Giunta comunale e non dal
dirigente apicale, come invece richiesto dall’art. 1, comma 510 della legge
citata. Il Comune ha precisato di avere ritenuto di individuare l’organo di
vertice amministrativo nell’organo politico. La valutazione operata non è
condivisibile in quanto, come afferma costantemente la giurisprudenza amministrativa (ex multis,
C.d.S., Sez. V, 30 aprile 2015, n. 2194; TAR Lazio, Sez. II, 3 novembre 2015,
n. 12404; C.d.S., Sez. V, 30 aprile 2015, n. 2194; TAR Campania, Sez. III, 13
gennaio 2016, n. 143), l’art. 107, comma 5, TUEL prevede che i dirigenti abbiano competenza
esclusiva e inderogabile per tutti i compiti gestionali, ivi compresi gli atti
discrezionali, laddove gli organi di governo, Consiglio e Giunta comunale,
possano operare con i soli poteri di indirizzo e di controllo politico
amministrativo. Alla luce dei menzionati orientamenti, pertanto, spettava al
dirigente apicale, e non alla Giunta comunale, adottare il provvedimento
autorizzatorio regolarmente trasmesso alla Sezione regionale”.
Legittimamente la Corte dei
conti ha preso una delle possibili posizioni interpretative lasciate aperte
dall’infelice formulazione dell’articolo 1, comma 510, della legge 208/2016.
Però, nel complesso, le argomentazioni espresse non appaiono del tutto
convincenti, per una serie di ragioni, sì da rendere l’intera deliberazione
poco persuasiva.
Necessità soggettiva dell’autorizzazione. Come specificato nella
deliberazione della Sezione, l’autorizzazione di cui si è presa carico ha
riguardato l’acquisizione autonoma del “servizio
assistenza tecnica per la tv via cavo e della caldaia per il Palazzo Comunale a
fornitori esterni al mercato CONSIP/MEPA, sulla base dei corrispondenti
presupposti:
a) assenza di
disponibilità del servizio tv via cavo sul mercato elettronico;
b) sovradimensionamento
delle caldaie presenti sul mercato elettronico”.
Avendo esaminato la questione,
la magistratura contabile ha ritenuto, dunque, che per il comune interessato e,
quindi, per tutti i comuni, l’articolo 1, comma 510, sia applicabile.
Questo rappresenta un primo
rilevante problema ai fini della con divisibilità della decisione assunta dalla
Corte dei conti.
Il comma 510 in argomento
dispone: “Le amministrazioni pubbliche obbligate ad
approvvigionarsi attraverso le convenzioni di cui all'articolo 26 della legge
23 dicembre 1999, n. 488, stipulate da Consip SpA, ovvero dalle centrali di
committenza regionali, possono procedere ad acquisti autonomi
esclusivamente a seguito di apposita autorizzazione specificamente motivata
resa dall'organo di vertice amministrativo e trasmessa al competente ufficio
della Corte dei conti, qualora il bene o il servizio oggetto di convenzione non
sia idoneo al soddisfacimento dello specifico fabbisogno dell'amministrazione
per mancanza di caratteristiche essenziali”.
Non sarebbe dovuto sfuggire alla Corte dei conti che i comuni non
rientrano tra le amministrazioni pubbliche “obbligate” ai sensi dell’articolo
26 della legge 488/1999. Infatti, alla luce di questa disposizione gli enti obbligati ad utilizzare, in via
generale, le convenzioni Consip (o di altre centrali di committenza) sono:
a.
amministrazioni statali, centrali e periferiche;
b.
istituti e scuole di ogni ordine e grado;
c.
istituzioni educative ed universitarie;
d.
enti nazionali di previdenza ed assistenza sociale (a
partire dalla vigenza della legge di stabilità 2016);
e.
agenzie fiscali (a partire dalla vigenza della legge di
stabilità 2016).
Lo chiarisce l’articolo 1, comma 449, della legge 296/2006 il quale dispone:
“Nel rispetto del sistema delle
convenzioni di cui agli articoli 26 della legge 23 dicembre 1999 , n. 488, e
successive modificazioni, e 58 della legge 23 dicembre 2000 , n. 388, tutte le amministrazioni
statali centrali e periferiche, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni
ordine e grado, le istituzioni educative e le istituzioni universitarie, nonché
gli enti nazionali di previdenza e assistenza sociale pubblici e le agenzie
fiscali di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999 , n. 300, sono tenute
ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni-quadro. Le restanti amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del
decreto legislativo 30
marzo 2001 , n. 165, e successive modificazioni, possono ricorrere alle
convenzioni di cui al presente comma e al comma 456 del presente articolo, ovvero ne utilizzano i parametri di
prezzo-qualità come limiti massimi per la stipulazione dei contratti. Gli
enti del Servizio sanitario nazionale sono in ogni caso tenuti ad
approvvigionarsi utilizzando le convenzioni stipulate dalle centrali regionali
di riferimento ovvero, qualora non siano operative convenzioni regionali, le
convenzioni-quadro stipulate da Consip S.p.A.”.
Dunque, in termini generali, i comuni e gli altri enti locali (“restanti
amministrazioni” di cui al comma 449 trascritto sopra) hanno la facoltà e non
l’obbligo di utilizzare le convenzioni; nel caso in cui non se ne avvalgano,
debbono comunque utilizzarne i parametri prezzo-qualità per le proprie gare
autonomamente gestite.
I comuni sono obbligati al sistema dei soggetti aggregatori solo nei
seguenti casi:
1.
in applicazione dell’articolo 9, comma 3, del d.l.
66/2014, convertito in legge 89/2014, che prevede l’individuazione ogni anno di
categorie di beni e servizi (non lavori) e loro soglie di valore,
al superamento delle quali è comunque obbligatorio ricorrere a Consip o ad
altri soggetti aggregatori;
2.
in applicazione dell’attuale articolo 1, comma 512, della
legge 208/2015, che obbliga tutte le amministrazioni pubbliche (e le società
partecipate) individuate dall’Istat ad acquisire beni e servizi informatici
esclusivamente da Consip o altri soggetti aggregatori. Tuttavia, ciò nei limiti
dei “beni e servizi disponibili”;
3.
in applicazione dell’articolo 1, comma 7, del d.l.
95/2012, convertito in legge 135/2012, per le categorie merceologiche di:
a.
energia elettrica,
b.
gas,
c.
carburanti rete e carburanti extra-rete,
d.
combustibili per riscaldamento,
e.
telefonia fissa e telefonia mobile.
Ebbene, i due servizi oggetto dell’autorizzazione scrutinata dalla
Sezione Liguria non rientrano in nessuno dei casi limitati nei quali i comuni
sono obbligati ad utilizzare i soggetti aggregatori.
La prima conclusione che si deve trarre è che la Corte dei conti non ha
rilevato la carenza di necessità di autorizzare le acquisizioni dei due servizi
oggetto dell’autorizzazione sottoposta al su vaglio, per inapplicabilità dell’articolo
26 della legge 448/1999.
Necessità oggettiva dell’autorizzazione.
Almeno per quanto concerne il servizio tv via cavo, la motivazione dell’autorizzazione
rilasciata dalla giunta comunale è stata riferita all’assenza di disponibilità
nel sistema Consip.
La Corte dei conti non si è posto il problema sia formale, sia sostanziale,
dell’inutilità assoluta di un atto di autorizzazione ad acquisire da soggetti
aggregatori prestazioni contrattuali che non siano oggetto di proprie
convenzioni.
L’articolo 1, comma 510, della legge 208/2015 contiene a ben vedere,
un’indicazione dirimente, utile per giungere all’inevitabile conclusione
secondo la quale l’autorizzazione è necessaria esclusivamente se la Consip o le altre centrali
di committenza abbiano stipulato convenzioni attive, alle quali sia possibile
aderire.
Tale indicazione si deve trarre dall’inciso finale del comma 510, ove si
indica la motivazione posta a sorreggere la scelta di procedere in via
autonoma, senza utilizzare le convenzioni, laddove si specifica che è onere
dell’amministrazione rendere evidente l’assenza di “caratteristiche essenziali”
tale da rendere inidoneo al soddisfacimento dei fabbisogni dell’ente “il bene o il servizio oggetto di convenzione”.
Risulta chiaro che la motivazione alla base del provvedimento di
autorizzazione ad acquisire in via autonoma i beni o i servizi può scaturire
solo dal paragone tra le caratteristiche essenziali dei beni o servizi oggetto
della convenzione e le caratteristiche essenziali dei beni o servizi necessari
al fabbisogno dell’ente. Sicchè, in assenza di uno dei due termini di paragone,
cioè la convenzione ad oggetto il bene o servizio da acquisire, l’operazione
dell’autorizzazione non risulterebbe nemmeno possibile: essa si ridurrebbe ad
un atto privo di senso, un autorizzazione al nulla, visto che nulla vi è da
fare per rimediare all’inesistenza della convenzione alla quale eventualmente
aderire.
Il soggetto competente ad autorizzare l’acquisto “in deroga”, insomma,
deve assentire ad una deroga al sistema, non all’impossibilità assoluta di
avvalersi del sistema. Questo, avendo ben presente che si tratta di un’autorizzazione
e non di un atto di controllo.
Sicchè, si deve necessariamente concludere che in assenza della
convenzione Consip o di altra centrale di committenza non occorre alcun
provvedimento autorizzativo a procedere in via autonoma.
Questa conclusione non esime, però, dall’obbligo di verificare la
sussistenza della convenzione e di darne conto nei provvedimenti finalizzati
all’attivazione della gara in via autonoma.
Il comma 510, in
sostanza, rafforza ed amplia obblighi motivazionali già di per sé derivanti
dalle previsioni dell’articolo 26 della legge 448/1999.
Autorizzazione per acquisti sul “mercato elettronico”? Leggiamo
meglio quanto scrive la deliberazione della Corte dei conti. Essa si è espressa
su un’autorizzazione ad acquisire extra Consip due servizi, sulla base dei
seguenti “presupposti:
a) assenza di
disponibilità del servizio tv via cavo sul mercato elettronico;
b) sovradimensionamento
delle caldaie presenti sul mercato elettronico”
Ancora una volta, la decisione
adottata dalla delibera appare tutt'altro che persuasiva e condivisibile. Il
riferimento espresso al “mercato elettronico” appare estremamente chiaro ed inequivoco:
sembra, cioè, che l’autorizzazione del comune sia stata espressa avendo a
riferimento la possibilità di effettuare acquisti sul mercato elettronico e non
avvalendosi delle convenzioni.
Ma, l’articolo 26 della legge
448/1999 (ricordiamo, comunque non applicabile agli enti locali, come precisato
sopra) non si riferisce affatto al mercato elettronico, bensì solo ed
esclusivamente alle convenzioni.
Semmai, è corretto ritenere che
sia necessaria l’autorizzazione ad effettuare l’acquisizione mediante mercato
elettronico, se la fornitura o il servizio sia contestualmente oggetto di una
convenzione.
Autorizzazione come atto gestionale? La deliberazione considera
sussistente la competenza del “dirigente apicale” (su questo torneremo di
seguito) e non della giunta, perché considera che l’autorizzazione di cui parla
l’articolo 1, comma 510, sia nella sostanza un atto avente natura gestionale.
Su questo punto è difficile
essere concordi. L’attività gestionale attiene alla cosiddetta “amministrazione
attiva”, cioè quella parte dell’attività amministrativa che adotta atti o
provvedimenti aventi natura sia vincolata, sia discrezionale, fino a giungere a
veri e propri provvedimenti negoziali, aventi la forza di costituire,
modificare o estinguere situazioni giuridiche soggettive, incidendo sulla sfera
dei terzi.
Le autorizzazioni non
appartengono a questa categoria dell’amministrazione attiva, a meno che non si
tratti dei provvedimenti di autorizzazione costitutiva regolati dall’ordinamento,
aventi lo scopo di espandere la sfera soggettiva degli interessati, previa una
valutazione della sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi della
situazione di fatto, rimessa alla discrezionalità della pubblica
amministrazione.
L’autorizzazione di cui si
occupa l’articolo 1, comma 510, della legge 208/2015 non ha questa natura: è un
atto manifestamente endoprocedimentale, non posto ad espandere la sfera
soggettiva dei cittadini, ma posto a rendere ulteriormente procedibile l’iter
per acquisire un bene o un servizio.
Appare molto complesso
riconoscere ad un atto di questo genere gli elementi propri della gestione,
cioè dell’agire concreto. Del resto, le valutazioni istruttorie e procedurali
sono svolte dal soggetto che assume l’iniziativa di effettuare l’acquisto; chi
autorizza non compie nuovamente tali valutazioni, ma le accetta o denega, si
ribadisce allo scopo di rendere ulteriormente procedibile l’iter.
L’autorizzazione in argomento
appare più un atto obbligatorio di concerto (sempre che vi sia la materia su
cui concertare, cioè una convenzione attiva), qualificato tecnicamente dal
legislatore come autorizzazione.
In ogni caso, non sembra di
poter scorgere una funzione propriamente gestionale.
Competenza del “dirigente apicale”. Si immagini, ora, per ipotesi
paradossale che il consiglio comunale, attraverso il Dup, e la giunta, attuando
il Dup col Peg, abbiano programmato una certa acquisizione, assegnando al
dirigente un certo arco di tempo nel quale agire, una certa dotazione
finanziaria, la responsabilità del risultato da raggiungere connessa all’acquisizione.
Negli enti locali, come noto,
sono consiglio e giunta, appunto mediante gli atti di programmazione strategica
e gestionale, che fissano gli obiettivi da raggiungere, programmando gli strumenti
generali, assegnando le risorse e le responsabilità ai dirigenti.
Ora, restando nell’esempio
immaginario, si consideri l’ipotesi che il dirigente assegnatario di obiettivi
e dotazioni abbia puntualmente condotto l’istruttoria tecnica volta ad
acquisire il servizio necessario, come stabilito dagli atti di programmazione,
sottoponendo ad autorizzazione l’acquisto extra Consip, sia pure in assenza di
convenzioni, e, ulteriormente, immaginiamo che tale autorizzazione sia
denegata.
E’ evidente che simile diniego
risulterebbe totalmente infondato nel merito, per assenza assoluta dell’oggetto
da autorizzare, cioè la deroga all’acquisto tramite convenzione. Tuttavia, la
mancata autorizzazione rende improcedibile l’acquisizione. Ciò fa saltare la
programmazione degli acquisti, con slittamenti di tempi che possono rivelarsi
esiziali, specie con la nuova contabilità che non consente più, per beni e
servizi, la formazione di residui passivi a seguito del provvedimento a
contrattare, poiché se entro l’anno non si conclude la procedura di acquisti le
risorse vanno nel risultato di amministrazione. Inoltre, si incide
negativamente sulla comunità amministrata, che resta priva del servizio per un
lasso di tempo non previsto, oltre che sul risultato del dirigente e degli
uffici da questo diretti.
Ebbene, se la decisione di non
autorizzare provenisse da un organo dotato della competenza a programmare le
attività e le risorse, si innescherebbe indirettamente un processo di
rinegoziazione degli obiettivi, dei tempi e dei risultati, alla luce dell’esercizio
di una discrezionalità politico-amministrativa di cui certamente la giunta, in
particolare, gode.
Ma, se simile decisione
provenisse dal “dirigente apicale”, un soggetto non dotato delle potestà
programmatorie di cui si è parlato, si ingerirebbe nell’attuazione dei
programmi, rendendoli irrealizzabili, senza rinegoziazione alcuna con i
soggetti dotati dei poteri di programmazione e indirizzo.
E’ questo ciò che si immagina
possa avvenire con l’autorizzazione? E’ pensabile davvero, dunque, che non si
tratti di una competenza della giunta, bensì del “dirigente apicale”?
Si tenga presente che nelle
amministrazioni statali la coincidenza tra “dirigente apicale” e soggetto che
autorizza è possibile, perché ai sensi dell’articolo 16, comma 1, lettera b),
del d.lgs 165/2001, i dirigenti appartenenti alla prima fascia “curano l'attuazione dei piani, programmi e
direttive generali definite dal Ministro e attribuiscono ai dirigenti gli
incarichi e la responsabilità di specifici progetti e gestioni; definiscono gli obiettivi che i dirigenti
devono perseguire e attribuiscono le conseguenti risorse umane, finanziarie e
materiali”. Dunque, è il vertice amministrativo che, pur nel rispetto
di direttive generali del Ministro, definisce (dunque, negozia e può ridefinire
e rinegoziare) gli obiettivi, potendo compiere tale attività anche mediante l’autorizzazione.
In fondo, la direttiva del Ministro sta al Dup, come la programmazione
operativa dei dirigenti di prima fascia sta al Peg della giunta.
Sul “dirigente apicale”, è
necessario soffermarsi ancora. La deliberazione 14/2016 della Sezione Liguria
parla espressamente di una figura che, invece, non è assolutamente contemplata
nel testo dell’articolo 1, comma 510, della legge 208/2015, che parla, invece,
di “organo di vertice amministrativo”.
Non si tratta di figure coincidenti.
Nelle aziende sanitarie, per esempio, non vi sarà mai alcun “dirigente apicale”,
risultando chiaro che l’organo di vertice amministrativo è il direttore
generale.
Né si può pensare che la Corte
dei conti abbia avuto a riferimento la peculiarità degli enti locali, poiché il
“dirigente apicale”, pur previsto dalla legge 124/2015 non è ancora stato
istituito e, quindi, semplicemente non esiste nell’ordinamento. Né sarà depositario
delle competenze viste sopra proprie della dirigenza di vertice dello Stato, poiché
nell’ordinamento locale sarà la giunta a mantenere la programmazione operativa.
Ratifica. La Sezione Liguria, dopo aver affermato che la competenza
sarebbe del “dirigente apicale”, ritiene anche che “Per ricondurre la vicenda nei parametri della regolarità
amministrativa, ben potrà, comunque, il dirigente apicale competente ratificare
il contenuto della deliberazione n. 2 del 2016 della Giunta comunale”.
A parte la circostanza che il
dirigente apicale non esiste ed anche questa affermazione appare fuorviante,
comunque, lascia perplessi anche questa conclusione.
La ratifica presuppone la sussistenza
di un interesse generale di tenere fermo l’atto viziato da incompetenza, col
limite ovvio di considerare gli interessi opposti insorti in capo a terzi, in
conseguenza del provvedimento inizialmente viziato per incompetenza.
Ma, abbiamo visto sopra che l’autorizzazione
di cui parliamo appare, per la verità, più un atto endoprocedimentale di concerto
obbligatorio e vincolante.
Non di ratifica, allora, si
dovrebbe parlare, bensì di sanatoria, cioè dell’istituto che consente di sanare
vizi del procedimento, laddove la tardiva adozione di un atto procedimentale
non alteri l’assetto degli interessi come regolati in sua assenza.
In sostanza, appare più corretto
ammettere un provvedimento di “autorizzazione” tardivo, che dia atto che il
quadro generale degli interessi non sia violato, basandosi, per questo, anche
sui contenuti della deliberazione della Corte dei conti, che non ha ravvisato
vizi nel merito della scelta del comune di effettuare le acquisizioni extra
Consip.
Funzione di controllo. Bene sicuramente ha fatto la Sezione Liguria
a prendere una posizione sulla questione della competenza. E’ fondamentale che
il dibattito dottrinale e giurisprudenziale si arricchisca di interpretazioni
ed indirizzi.
C’è, tuttavia, da chiedersi
quale sia la portata dei poteri delle sezioni regionali della Corte dei conti a
proposito dell’applicazione dell’articolo 1, comma 510, (ma anche 516), della
legge 208/2015.
La Sezione Liguria non pare
avere dubbi in proposito: “occorre
ritenere che l’ambito prospettico del controllo della Corte dei conti, non
possa essere limitato ai meri parametri dell’efficienza, dell’efficacia e
dell’economicità, tipici del controllo sulla gestione, ma debba estendersi, naturalmente, anche ai profili
di legalità e di regolarità dell’azione amministrativa. Ciò risulta
implicitamente dal disposto dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015 il quale, a
differenza di quanto prevede espressamente l’art. 1, comma 173 della legge n.
266 del 2005, non ha ritenuto di qualificare la competenza della Corte come
controllo sulla gestione. Si può pertanto ragionevolmente ritenere come si sia
voluto conferire alla Corte dei conti un controllo
“a tutto campo”, ancorché non incidente in alcun modo sull’efficacia
dell’atto, operando solo
successivamente alla produzione degli effetti. Ritiene il Collegio, quindi,
che sia possibile esaminare, anche se
solo in via successiva, la sussistenza di eventuali illegittimità o
irregolarità degli atti trasmessi”.
Quindi, secondo la Sezione
Liguria si è in presenza di un controllo di legittimità successivo alla
produzione di effetti.
E’ proprio sicura, tuttavia, la
Sezione, che si tratti esattamente di questo? Meglio riproporre il quesito:
alla luce di queste considerazioni, ritiene la Sezione Liguria che i comuni
potranno mai dare corso alle procedure di acquisizione extra Consip prima del
vaglio della magistratura contabile, così da trasformare, di fatto, un
controllo di legittimità successivo in un controllo preventivo?
Chi scrive, da sempre è
favorevole al ripristino dei controlli preventivi di legittimità. Essi non
assicurano un baluardo invincibile contro l’illegalità, ma certo sono
necessari, soprattutto quando la pubblica amministrazione non agisce in un “mercato”
nel quale siano i “clienti” a giudicare correttezza ed efficacia e,
soprattutto, nell’ambito di procedimenti ad alto rischio di legalità, quali
sono gli appalti per espressa previsione della normativa anticorruzione.
La Corte dei conti potrebbe
certamente svolgere in modo altamente proficuo la funzione di controllo
preventivo, determinando così moltissimi benefici al sistema.
Tuttavia, occorre prendere atto
che il controllo non è propriamente una funzione giurisdizionale, ma amministrativa,
parte proprio della cosiddetta “amministrazione di controllo”.
In fondo, chi svolge il
controllo partecipa, sia pure con poteri diversi dalla gestione, al
procedimento, condizionandone l’efficacia alla luce di una valutazione in
posizione di terzietà della legittimità delle decisioni.
Per queste ragioni gli atti dell’organo
di controllo debbono essere oggetto di gravame davanti al giudice amministrativo,
come accadeva per i provvedimenti di controllo dei Co.Re.Co.
Se il controllo viene effettuato
da un organo della giurisdizione e in esercizio del potere giudiziale, invece,
viene sottratto al sindacato di legittimità e si snatura; non è propriamente
solo un controllo, ma qualcosa di più e diverso.
Allora, se l’intento del
legislatore era ed è quello di introdurre forme di controllo sul modo col quale
gli enti rispettano le prescrizioni sostanzialmente della spending review, sarebbe necessario che si intervenisse con
decisione sulla norma allo scopo o di indicare che la funzione di controllo
della Corte dei conti è svolta nell’esercizio di poteri amministrativi di
controllo e non giurisdizionali, oppure stabilendo di assegnare tale funzione
di controllo ad altri soggetti, ovviamente appartenenti al sistema dell’amministrazione
di controllo.
Inoltre, appare inevitabile
concludere che un controllo successivo come quello immaginato dalla Sezione
Liguria appare altamente inefficiente. Infatti, si postula una stessa identica
sequenza procedurale, una spendita identica di risorse, per ottenere effetti,
tuttavia, discutibili: cioè un controllo “a danno già fatto”, oppure un
atteggiamento speculativo di attesa dei comuni, volto, come detto sopra, a
trasformare nella prassi il controllo della Corte dei conti da successivo a
preventivo, considerando che il “danno erariale” non dovrebbe discendere di per
sé da una deroga autorizzata considerata non legittima, ma dall’attuazione di
detta deroga, con l’attivazione vera e propria della procedura di gara extra
Consip.
Come si nota, i punti estremamente
critici della deliberazione della Sezione Liguria, per altro una delle prime e,
quindi, con poco humus giurisprudenziale, sono talmente tanti e talmente
delicati da non poterla considerare come un “arresto” giurisprudenziale
definitivo: sono molti di più i problemi e le questioni che apre di quelle che
intende risolvere.
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