mercoledì 11 maggio 2016

Diritti di rogito: paradosso dei parerifici



Se qualcuno si era fatto venire il dubbio che forse con l’attività dei “parerifici” si è andati oltre la soglia dell’utile e tollerabile, la questione dei diritti di rogito dei segretari comunali dovrebbe fornire la conferma che è assolutamente necessario rivedere profondamente il sistema sia dei controlli collaborativi, sia, in generale, della spettanza del delicatissimo compito di interpretare le leggi.

Sicuramente, l’articolo 10 del d.l. 90/2014, scritto in modo oscuro e poco tecnico non ha aiutato, ma riassumiamo brevemente la situazione paradossale. La Corte dei conti ritiene che i diritti di rogito non spettino ai segretari di fascia A o B nemmeno se operanti in sedi di segreteria nelle quali non vi sono dirigenti.
Tuttavia, la Corte costituzionale, con la sentenza 75/2016, in un inciso appare affermare il contrario.
Contestualmente, la Corte dei conti, sezione regionale di controllo delle Marche col parere 90/2016/PAR, cioè lo stesso soggetto che ha fornito un’interpretazione particolarmente rigida sui diritti di rogito per i segretari, ha considerato possibile, invece, assegnare i diritti di rogito al vice segretario, anche se al segretario non spettino. Tuttavia, la Ragioneria generale dello Stato ha affermato esattamente il contrario con una nota prot. n. 26297 del 25 marzo 2016.
Il caos, come si nota, è assoluto. Tale per cui potrebbero, a questo punto, immaginarsi scenari ancor più paradossali:
1.                  segretari che forti della sentenza della Consulta, ricorrano al giudice del lavoro per pretendere il pagamento dei diritti di rogito, disapplicando le indicazioni della Corte dei conti;
2.                  procure della Corte dei conti che, comunque, perseguano per danno erariale i comuni che eventualmente eroghino i diritti di rogito, nonostante eventuali pronunce favorevoli del giudice del lavoro;
3.                  vice segretari che ricorrano al giudice del lavoro contro la decisione del comune che scelga di aderire al parere della Rgs, contraria all’erogazione dei diritti di rogito;
4.                  procure della Corte dei conti che perseguano i comuni che eroghino i diritti ai vice segretari, in adesione alla decisione della Sezione Marche;
5.                  la Rgs che nelle ispezioni segnali alla procura della Corte dei conti l’erogazione dei diritti di rogito ai segretari, come anche ai segretari, la prima per propria visione in contrasto con la pronuncia della Consulta, la seconda per propria visione in contrasto con la Sezione Marche;
6.                  enti che ricorrano contro le ispezioni della Rgs;
7.                  segretari o vice segretari che ricorrano al Tar o al giudice del lavoro, contro i provvedimenti degli enti che aderiscano alle indicazioni delle ispezioni della Rgs.
E così via.
Una domanda sola si impone: ma, è tollerabile ancora tutto questo? E’ possibile che una questione semplicissima, sia trattata da una pluralità di enti, che nemmeno riescono a mettersi d’accordo tra loro in via preventiva, per evitare il caos? E’ possibile che la Corte dei conti si sia trasformata in un “parerificio” a getto continuo, a sua volta senza coordinamento tra sezioni, senza possibilità, però, di un gravame da parte degli enti?
No, non è possibile. E’ urgente, urgentissimo, tornare alle origini. Ad interpretare le norme deve essere il giudice, risolvendo il caso concreto. Oppure, il legislatore con l’interpretazione autentica. Della collaborazione dei controlli collaborativi si deve fare a meno. Che i controlli siano puntuali e non generali e che siano soggetti a gravame, in modo che sia il giudice giudicante ad interpretare la norma. Che siano, poi, le amministrazioni attive a trarre dalla giurisprudenza di merito argomentazioni per interpretare le norme, espondendosi ai controlli di legittimità.
E occorre una regola chiara su chi disponga di un potere ultimativo di pronuncia di carattere stragiudiziale sulle questioni.
Ma, soprattutto, occorre anche che l’amministrazione attiva riacquisti autonomia e dignità, oltre che logica. Davvero, non si capisce come sia possibile immaginare che se il titolare di una funzione non percepisca la remunerazione ad essa connessa, il vicario del titolare, invece, sia legittimato a percepire la medesima remunerazione. Ed è paradossale che questo quesito, nemmeno da porre, sia stato preso in considerazione seriamente e perfino con due risposte opposte e contrastanti.
Speriamo che questa vicenda oggettivamente disdicevole sia lo spunto per chiudere un capitolo ormai da troppo tempo aperto e svelatosi dannoso o, come minimo, fonte di caos e di contenzioso.

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