domenica 24 luglio 2016

La dirigenza politicizzata non risponde degli errori. Mai



La vicenda delle 181 correzioni al codice dei contratti è la plateale conferma che in Italia si fa un gran parlare di “merito”, “valutazione”, “managerialità”, ma, alla fine, gli incarichi di vertice, sempre conferiti a soggetti esterni ai ruoli delle amministrazioni, non pagano mai dazio per eventuali inefficienze anche conclamate.
Il problema, in sé e per sé, però, non sta tanto nei 181 errori. Questi, in fondo, sono dettagli utili soprattutto per fare “colore” e consentire ad esperti in inchieste sulla mala-amministrazione svolte soprattutto in superficie, come Stella&Rizzo, di pubblicare sapidi articoli di critica, senza riuscire minimamente a cogliere il cuore del problema. Soprattutto perché si tratta di inchieste prevalentemente rivolte alla “pancia” dei lettori.

Sul punto, bisogna ammettere che ha ragione chi sta pian piano riuscendo a ritagliarsi sempre più l’ambito ruolo di protagonista nei media e nei convegni dedicati al codice: il consigliere Michele Corradino. Egli spiega nell’intervista rilasciata al Corriere della sera del 23 luglio (“I 181 errori nel codice appalti «Una pessima figura ma avevamo molta fretta»”): “la maggior parte degli errori erano di natura formale, quasi irrilevanti, tipo parole unite, mancanza di spazi, una punteggiatura sbagliata. Vero anche che ci sono sati numeri sbagliati. Ma niente che risultasse incomprensibile o che facesse cambiare senso alle norme”.
Certo, vedere 181 correzioni dà sicuramente molto fastidio. Infatti, non si è trattato di scrivere una lettera (“signorina, veniamo noi con questa mia a dirvi, - addirvi una parola -, che, scusate se sono poche, ma 700 mila lire ;a noi ci fanno specie che quest'anno - una parola - c'è stata una grande moria delle vacche, come voi ben sapete”), o un tema di esami di maturità, bensì una legge dello Stato. Sarebbe sicuramente da pretendere che, come minimo, sulla Gazzetta Ufficiale si pubblicassero leggi almeno scritte bene: non tanto nel senso che siano scritte in buon italiano, fluente e chiaro (magari…), ma quanto meno proprio editate, digitate in modo non approssimativo. Così da dare la prova che qualcuno, le norme, oltre a scriverle le legga e rilegga, per capirle, provare a limarle e fare quello che un tempo era il preziosissimo e sempre più dimenticato lavoro di rafting normativo.
Il problema vero, però, è che il d.lgs 50/2016, anche se emendato dei 181 errori, rimane quello che è: una norma astrusa, incompleta, che non semplifica affatto la disciplina degli appalti, soprattutto perché rimane sospesa nel limbo della successiva attuazione. La quale, a sua volta, con le celeberrime ormai Linee Guida dell’Anac si sta trasformando in un’esercitazione di ricerca universitaria, fatta di considerazioni ed indicazioni talora contorte, talaltra ridondanti, altre volte ancora criptiche ed apodittiche, tali, comunque, da rendere l’attuazione della riforma nebulosa e, quindi, da un lato difficile da applicare; dall’altro poco efficace.
Spiace sempre citare se stessi, ma questo è quanto si ebbe modo di affermare (in www.lavoce.info : “Codice degli appalti nuovo, ma complicato come prima”) il 3 maggio, pochissimi giorni dopo la pubblicazione del codice: “A uno sguardo semplicemente di carattere tecnico, sembra che il codice dei contratti riformato debba essere visto per quello che è: una riforma molto complessa e articolata, che richiederà qualche tempo per essere attuata e compresa. È, dunque, difficile immaginare che dal nuovo codice possano derivare subito effetti mirabolanti, quali il rilancio degli appalti e dell’edilizia in grande stile. E non solo per la qualità oggettivamente tutt’altro che eccelsa della riforma, come evidenziato in modo tranciante dal Consiglio di Stato nel suo parere; ma, soprattutto, perché per rilanciare attività che presuppongono ingente spesa pubblica, occorre la disponibilità delle risorse connesse. Non basta modificare le regole procedurali per il rilancio degli appalti, quando gli investimenti restano al palo e se le regole sulla spending review impongono (non è ancora chiaro con quale efficacia) di diminuire e non aumentare la spesa per acquisti di beni e servizi. Lo ha insegnato, del resto, lo stesso Jobs act: per modificare l’andamento di un mercato (in quel caso, del lavoro) non è sufficiente modificare le regole giuridiche, ma occorrono investimenti e crescita economica!”.
Sembra, a chi scrive, che i problemi a ormai 3 mesi dal “lancio” del codice siano esattamente sempre quelli evidenziati sopra:
a)      il d.lgs 50/2016 non ha semplificato proprio nulla;
b)      la sua completa attuazione sta richiedendo tempo; molto tempo;
c)      gli appalti non sono stati assolutamente rilanciati, ma, al contrario, hanno subito un calo formidabile in questi primi mesi d’attuazione.
Allora, critiche un po’ meno populiste e più attente a norme e fatti, dovevano forse partire da questi dati, per poi giungere a provare a comprendere di chi sia la responsabilità di quanto accaduto.
Ci proviamo noi, e torniamo all’intervista del consigliere Corradino, magistrato del Consiglio di stato e componente del Consiglio dell’Anac, per sottolineare la giustificazione alla scrittura del codice: “avevamo fretta”.
Corradino, lo ribadiamo, è un magistrato amministrativo. Oggettivamente, ci viene molto difficile immaginare che, nel compimento del suo alto lavoro, abbia mai preso in minima considerazione la circostanza che un atto amministrativo non fosse da considerare illegittimo perché redatto in tutta fretta dall’ente di turno. Eppure, per esempio, negli enti locali non manca assolutamente la spinta a segretari, dirigenti e funzionari, a correre, fare di fretta, elaborare atti senza respiro e troppo spesso, proprio per questo senza ragione. Mai viste sentenze, però, che considerino la circostanza della “fretta” quale elemento per sanare eventuali illegittimità. Al contrario, non mancano sicuramente casi in cui errori di battitura, mancanza di spazi, parole unite e punteggiatura errata hanno attirato gli scandalizzati e disgustati strali dei magistrati amministrativi, pronti, con le loro sentenze, ad espungere dall’ordinamento giuridico simili brutture.
Il Corradino probabilmente ha preso coscienza della differenza non da poco che intercorre tra il giudicare, con i tempi sicuramente più dilatati richiesti dalla delicatezza del ruolo del giudice, ed il “fare”. La fretta, spesso, ci si mette di mezzo e non consente una resa ottimale. Una presa di coscienza, questa, che se fosse propria di tutti coloro che operano nelle attività di giudizio e controllo o indirizzo non sarebbe male. Per giudicare, controllare o indirizzare, non sarebbe male, prima, un adeguato “praticantato”, col quale conoscere esattamente cosa significhi la fretta, la pressione del politico, la minaccia del mancato rinnovo dell’incarico, la carenza di personale e mezzi, la presenza di mille cavilli che rendono impossibili le procedure e gli impegni di spesa, il tutto con buona pace della “cultura del risultato” e della “managerialità”.
Ma, al di là di questi aspetti anch’essi in qualche misura di colore, ciò che davvero sconforta rispetto alle dichiarazioni del Corradino è proprio la mancanza di volontà di prendere atto che è proprio l’impostazione del codice a renderlo complicato e inefficace, a nulla rilevando, a tale proposito, gli errori formali.
Quando nel corso dell’intervista la giornalista gli obietta che errori o non errori, nel primo mese gli appalti sono diminuiti dell’80% rispetto all’anno prima, il consigliere Corradino dà prova di come Anac e, probabilmente, intero Governo stiano leggendo in modo totalmente errato la riforma e le sue conseguenze, rispondendo: “La flessione, in realtà, comincia già dal novembre 2015, poi, con l’arrivo del nuovo codice e delle nuove linee guida è peggiorata. Secondo me per due motivi: c’è una parte della burocrazia portata ad applicare una certa procedura che conosce e vuole continuare a seguire per paura dei giudici penali, dei giudici contabili, degli aggiustamenti; e poi c’è una parte dell’imprenditoria che non accetta il fatto che adesso cambia davvero tutto…”.
In breve, insomma, la diagnosi appare quella sempre, molto italiana, del gombloddo di forze esterne o della “burocrazia”, sempre pronte a boicottare le magnifiche leggi che, altrimenti, se così non fosse, produrrebbero solo ricchezza, benessere, eliminazione totale di corruzione e criminalità ed altre mirabilie.
Ragionare così, significa trincerarsi nella torre d’avorio e sostenere che è il mondo a non comprendere. Negando qualsiasi contatto col mondo stesso e, quindi, qualsiasi propria responsabilità.
Qui tocchiamo il tema del titolo: a Gian Antonio Stella forniamo (sebbene già in molti vi abbiano provveduto) uno scoop. Non è per niente anonima la mano che ha scritto gli “strafalcioni” del codice. E’ stata istituita allo scopo una commissione tecnica apposita, con decreto del Ministero delle infrastrutture 9 luglio 2015, n. 235, composta da ben 19 “esperti”, presieduta – come Gian Antonio Stella ha avuto grande cura di non scrivere – da Antonella Manzione, capo del dipartimento degli affari legislativi della presidenza del consiglio, della quale anche il consigliere Corradino era componente insieme a molti altri magistrati amministrativi e capi di gabinetto o di affari legislativi di ministeri.
Ebbene, nessuno di costoro è qualificabile come l’anonimo, sordo e grigio “burocrate” che ha invocato Stella, uno di quegli altri “burocrati” che, secondo il Corradino, boicottano la riforma.
Stiamo attenti alle date. La direttiva dellìUnione Europea per la riforma della disciplina degli appalti è la 24/2014, del 26 febbraio 214; la commissione di “esperti” è stata composta nell’estate del 2015, oltre un anno dopo; la legge 11/2016, la legge-delega da cui è derivato il codice, è stata approvata a gennaio 2016; il codice dei contratti, il d.lgs 50/2016, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 19 aprile, il giorno dopo la scadenza del termine ultimo, che era il 18 aprile, nonostante tutta la “fretta” di cui parla il Corradino.
Ora, vista la cronologia dei fatti, è davvero credibile che gli estensori della normativa avessero fretta? Probabilmente sì, certo non è dipeso dalla commissione di esperti se il Parlamento ha dato il via libera a quasi 2 anni dall’approvazione delle direttive europee e, dunque, a tempo già abbondamentemente ed inutilmente consumato.
Sta di fatto, però, che la commissione era già all’opera da molto prima. E, comunque, nessuno ammette che il vero errore è di metodo: sarebbe bastato adottare il nuovo codice ponendo in essere un semplice “copia e incolla” delle direttive europee, lasciando alle linee guida il compiuto di dettagliare la normativa, o rinviando a decreti legislativi delegati norme di completamento.
La cosa avrebbe assicurato linearità di scrittura, vista la chiarezza estrema delle direttive europee (ormai sconosciuta alle nostre leggi), ed assenza di errori, oltre che facilità di attuazione, sia pure nelle more di una disciplina di adeguamento all’ordinamento tipico italiano.
Invece, si è inteso fare il guazzabuglio che è venuto fuori, creando un misto malriuscito della copiatura mal congegnata di alcune parti delle direttive (si pensi alla confusione estrema fatta per i servizi sociali), dell’applicazione di istituti propri di diritto interno (si pensi al Rup, all’appalto integrato, alle astruse discipline del sottosoglia), demolendo la normativa di attuazione che però era necessario completamento.
Il Corradino, l’Anac ed il Governo si meravigliano che gli appalti si sono bloccati, ma invece di analizzare retrospettivamente errori e perdite di tempo a loro solo imputabili, se la prendono con i “burocrati”. Ma, si sono posti il problema che ad oggi è praticamente impossibile capire come comporre le commissioni di gara? Hanno bene inteso che l’estensione abnorme del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa impone di utilizzarla anche per servizi o lavori perfettamente qualificabili, senza possibilità alcuna di miglioria, il che indurrà molti a consentire varianti in fase di offerta, con buona pace del rilancio del progetto esecutivo? Hanno inteso che, in questo momento, non c’è una regolamentazione pubblicistica della contabilità nell’esecuzione dei contratti? Si sono resi conto che le linee guida, sia pur non ancora efficaci, impongono per i Rup requisiti ridondanti ed ultronei, tali da inchiodare l’operatività di tante amministrazioni?
E’ evidente che la risposta a tutte le domande retoriche fin qui poste è no. Qui, però, risiedono gli errori di tempo, metodo e merito relativi al codice, che si trascineranno anche dopo la definizione delle linee guida, che già adesso tutto appaiono, tranne la panacea alle complicazioni del codice dei contratti.
Ma, per queste evidenti inefficienze, per il fatto che il codice non ha sortito il “risultato” immaginato, cioè il rilancio degli appalti, chi paga? I dirigenti a contratto di matrice politica ai vertici dei vari uffici coinvolti nelle commissioni di studio? I magistrati amministrativi inseriti nelle commissioni? I professori universitari chiamati a loro volta a farne parte? No.
Gian Antonio Stella ha cercato il responsabile in un funzionario, immaginando e dando al pubblico la certezza che l’inefficacia delle norme dipenda dal cattivo burocrate che con le mezze maniche sporca il perfetto lavoro del Parlamento e dei vertici.
Le cose non stanno affatto così. Il lavoro normativo, ed i suoi risultati, sono nelle mani, certo, del Parlamento, ma soprattutto dei gabinetti ministeriali e dei vertici dirigenziali, composti a mani basse prevalentemente da soggetti reperiti fuori dai ruoli ministeriali, in vario modo cooptati per evidenti affinità politiche.
Questi vertici, questa dirigenza, che dovrebbe essere la prima a rispondere in quanto chiamata ad un lavoro delicatissimo, invece, non è mai responsabile. Eventualmente, “paga” solo se e nella misura in cui caduto il governo di turno, decada il relativo incarico. Ma, di valutazioni negative, di rilievi sul merito delle scelte compiute, mai l’ombra, mai la traccia. La fretta per questa dirigenza va bene come scusa; del resto, se il prodotto è scadente e gli effetti sono il contrario di quelli immaginati, possono sempre scaricare la colpa sulla “burocrazia”, contando sul polverone che nella stampa viene fatto, guardando al dito dei 181 errori, invece che alla luna del modo davvero paradossale di aver gestito negli scorsi 24 mesi il delicato compito di riformare gli appalti.




1 commento:

  1. Intervento coraggioso e illuminante. Ma gli italiani ancora oggi credono piú al piazzista, al giornalista superficiale e tuttologo, al politico e alla sua corte di "esperti" che allo studioso che approfondisce, ragiona, opera e lavora nel campo.

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