Il disastroso terremoto del 24 agosto sta facendo emergere i problemi e gli slogan di sempre.
Si sa perfettamente che l'Italia è praticamente integralmente ad elevato rischio sismico. Altrettanto noto è che la gran parte degli edifici non possiede misure antisismiche adeguate, specie nei borghi antichi; purtroppo, però, anche edifici recenti o "moderni" sono stati costruiti senza alcuna cautela contro i rischi di terremoto.
Naturalmente, per qualche giorno o settimana si estenderà il vaniloquio sulla "messa in sicurezza del territorio", tema che emerge sempre con molta decisione ad ogni terremoto, alluvione, slavina o altra catastrofe di quelle che, purtroppo, ultimamemente colpiscono troppo spesso il Paese.
Non che parlare di messa in sicurezza sia sbagliato, tutt'altro. Solo che se ci si limita, appunto, a parlarne evidentemente non si otterrà mai l'obiettivo, consistente in una maggiore sicurezza per i cittadini.
Come è noto, da mesi ormai, è entrato in vigore il nuovo codice dei contratti e, contemporaneamente, si sono in pratica bloccati gli appalti pubblici. Sia perchè, ed è la prima causa, la farraginosità della contabilità e l'assenza di finanziamenti per investimenti, impediscono le gare, sia perchè (causa solo secondaria) il nuovo codice non brilla affatto per chiarezza ed in assenza di aruspici e indovini comprendere esattamente come realizzare un appalto è roba arcana e da iniziati.
Governo e Anac si erano detti convinti (e ancora molti loro esponenti lo sono) che il nuovo codice avrebbe rilanciato gli appalti. Opinione legittima, quanto sbagliata. Una legge sugli appalti può avere solo il potere di bloccarli (perchè incomprensibile o di difficile attuazione), ma non certamente di rilanciarli. Allo scopo, si ribadisce, occorrono investimenti pubblici, mutui, risorse, prima che le regole di gestione delle gare.
In questi giorni l'Ance, l'associazione nazionale dei costruttori edili, che prima aveva inneggiato al nuovo Codice, molto si lamenta perchè gli appalti sono a secco e qualcuno paventa il rischio molto forte che il blocco possa avere ripercussioni su una crescita economica risultata già a zero nello scorso trimestre.
Ora, se si riuscisse finalmente a passare dallo slogan a buon mercato della "messa in sicurezza del territorio" ad azioni concrete, ci sarebbe lo spazio per fare scelte davvero utili e concrete. Comprendere, innanzitutto, che anche la messa in sicurezza di abitazioni private è di interesse pubblico, perchè poi dei danni, dei morti, delle cure sanitarie risponde integralmente lo Stato. Di conseguenza, sarebbe necessario adottare norme per regolare e favorire investimenti in opere pubbliche a larghissima scala per la sicurezza antisismica e anti alluvioni, attribuendone la responsabilità operativa ai comuni, uscendo dall'equivoco purelile dell'altro slogan della riduzione delle stazioni appaltanti da 35.000 a 35: una complicazione operativa totalmente inutile. L'aggregazione delle stazioni appaltanti non deve essere un obbligo, ma va incentivata: sui territori non possono che operare gli enti vicini ai territori stessi, non soggetti artificialmente costruiti che nemmeno sanno esattamente quali siano i problemi operativi da affrontare.
Occorrerebbero, dunque, norme per modificare radicalmente le priorità degli investimenti e le regole di contabilità pubblica. Se si avesse, anche, l'umiltà di comprendere che per avere un buon codice dei contratti basterebbe copiare senza troppe modifiche le direttive europee e per garantire standard di legittimità e qualità è sufficiente istituire nuovamente controlli preventivi su delibere e progetti, si otterebbe il risultato di avviare davvero progetti di sicurezza del territorio, con una spinta certa degli investimenti e del Pil, Codice o non Codice. Sperare in questo è possibile, crederci più difficile.
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