domenica 30 ottobre 2016

Riforma della Costituzione : la velocità non può essere il pregio delle leggi


Una delle argomentazioni più utilizzate per rilevare l’efficacia se non la necessità della riforma costituzionale consiste nella velocizzazione del processo legislativo.
I fatti concreti dimostrano che l’Italia soffre sicuramente di un problema opposto: l’eccesso di leggi. In ogni caso, in particolare negli ultimi 20 anni, la funzione legislativa del Parlamento è stata soverchiata dall’iniziativa del Governo, tanto che leggi di iniziativa parlamentare praticamente non se ne approvano più: la quantità schiacciante di norme è composta da decreti legge convertiti in legge e da decreti legislativi, con una velocità media di approvazione complessiva di circa 55 giorni.
Tuttavia, il messaggio che si vuol far passare è che il bicameralismo perfetto è causa di lentezza, senza riuscire a spiegare come mai l’Italia primeggi per numero di leggi approvate o la velocità media dell’iter sia certamente di non poco conto.

Per altro, poiché le leggi sono lo strumento fondamentale della regolazione del convivere civile, valutarle in base alla velocità di approvazione e non in relazione alla qualità dei contenuti è come considerare il valore di un’opera d’arte in relazione alle ore-lavoro impiegate e non alla maestria dell’artista. Forse, la ponderazione, la valutazione completa, profonda e meditata delle norme da approvare dovrebbero essere la qualità principale del processo legislativo. Per i casi di necessità e urgenza la Costituzione da sempre prevede la decretazione d’urgenza, che consente al Governo di adottare subito la norma e prevede la conversione del decreto entro i successivi 60 giorni.
Dunque, la “velocità” dell’iter delle leggi è certamente un problema del tutto falso. Certo, non si può escludere che l’eliminazione del bicameralismo perfetto potenzialmente può abbreviare gli iter. Ma, allo scopo, occorrerebbe proprio abolire una delle due camere, così che la potestà legislativa resti solo per una delle due. La riforma, invece, lascia in piedi il Senato, prevedendo l’approvazione obbligatoria di entrambe le camere per decine di tipologie di leggi e consentendo comunque al Senato di intervenire su tutte, ma proprio tutte, le leggi di altra tipologia.
Tuttavia, l’argomentazione della velocità continua ad affascinare molto. Per esempio, tra gli ammaliati da questo concetto vi sono Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, che sul Corriere del 30 ottobre, nell’articolo “Manovra finanziaria, i pregi e i difetti”, affermano: “la variabile più importante che determinerà i nostri conti pubblici nei prossimi anni è l'intensificazione delle riforme, a cominciare da norme sulla concorrenza che liberino il mercato dei servizi cosi come il Jobs act ha liberato il mercato del lavoro. Questo richiede che il processo legislativo acquisti certezza e soprattutto venga accelerato. Ad esempio, la legge sulla concorrenza, inviata dal governo al Parlamento nel febbraio 2015, giace dimenticata da 600 giorni, durante i quali ogni lobby, grande e piccola, è riuscita a «convincere» deputati e senatori a far depennare le norme che la riguardavano e che le toglievano un po' di rendita. In questa luce la proposta di modifica della Costituzione che verrà sottoposta a referendum il 4 dicembre limita il potere di interdizione delle lobby in Parlamento. Il nuovo articolo 72 della Costituzione introduce un'innovazione importante, il voto a data certa. «Il governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che un disegno di legge indicato come essenziale per l'attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità all'ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera dei deputati entro il termine di settanta giorni dalla deliberazione». A noi pare una norma molto utile”.
La norma che ad Alesina e Giavazzi appare molto utile, ad un esame più accurato, al contrario, è di un’inutilità assoluta sul piano della velocizzazione dell’iter, ma, invece, rappresenta uno degli elementi di maggiore rischio della tenuta democratica.
Sul piano dell’utilità, la legislazione entro 70 giorni non cambia di una virgola la situazione attuale, visto che la media in giorni dell’iter legislativo è, come visto sopra, inferiore, di circa 55 giorni e, soprattutto, visto che il Governo può per i casi di necessità e urgenza approvare con immediatezza i decreti legge, i quali, è bene precisare, entrano in vigore subito: i 60 giorni servono solo per convertirli in legge, ma appena il Consiglio dei ministri approva il decreto esso è immediatamente efficace.
Dunque, sul piano dell’iter, la legge a “data certa” (come una cambiale…) è solo uno specchietto per le allodole, che distrae dal vero impatto della norma costituzionale che la prevede, molto più deflagrante.
La previsione secondo la quale il Governo può imporre al Parlamento di approvare una legge entro una scadenza fissa è l’attestazione definitiva dello svuotamento del potere legislativo, subordinato totalmente al Governo. Un cambiamento surrettizio del sistema della divisione dei poteri ed uno spostamento deciso del potere dal Parlamento all’esecutivo.
Non è una questione solo tecnica, ma democratica: la rappresentanza del corpo elettorale è del Parlamento, che la esprime appunto attraverso la funzione legislativa. Il Governo dovrebbe curarsi dell’esecuzione delle leggi.
Invece, da anni il Governo ha esteso a dismisura i suoi poteri di iniziativa politica, sconfinando nel potere legislativo vero e proprio, tenendo in ostaggio il Parlamento con i decreti legge a grandine, sui quali regolarmente chiede la fiducia.
La previsione dello strumento della legge a scadenza imbriglia ulteriormente la funzione legislativa, impone al Parlamento di trattare con priorità i disegni di legge governativi, dunque trascurando del tutto quelli di iniziativa parlamentare, e rischia di fatto di rendere il Parlamento un ufficio di ratificazione delle decisioni disposte dal Governo, con privazione definitiva della funzione di rappresentanza del popolo ed evidente vulnus all’articolo 1 della Costituzione.
Né è detto che la norma possa rivelarsi “utile”, come affermano Alesina e Giavazzi, per superare i problemi da loro segnalati ad esempio sulla materia della concorrenza.
Se davvero la legge sulla concorrenza che giace da tempo in Parlamento fosse di interesse per Governo e maggioranza, non vi sarebbe problema alcuno ad approvarla. Infatti, sia alla Camera, sia al Senato, la maggioranza è fortissima ed in grado di approvare qualsiasi legge, come dimostrano i grappoli di riforme di questi mesi. Del resto, laddove il Governo considerasse necessario ed urgente intervenire sulla concorrenza, potrebbe in ogni momento adottare un decreto.
Cosa fa credere ad Alesina e Giavazzi che su questa materia il Governo chiederebbe al Parlamento di intervenire con la legge a data certa, se fin qui non è intervenuto col decreto legge? E cosa fa credere che il monocameralismo acceleri davvero il processo legislativo per le leggi diverse da quelle di conversione dei decreti e quelle a data certa? Cosa garantisce, cioè, che le divisioni delle maggioranze, vere cause dello stallo di alcune leggi, oggi evidenziati dalle “navette” ma, soprattutto, dagli insabbiamenti delle leggi nelle varie commissioni, non blocchino e rallentino gli iter anche se operasse una sola camera? Le commissioni continuerebbero egualmente ad esistere e potrebbero fare le “veci” di qualsiasi seconda camera nell’intralcio degli iter. E le lobby non è che facciano sentire il loro peso solo in Senato.

Per valutare bene davvero gli effetti della riforma costituzionale forse è il caso di non fermarsi alla superficie e ai dettagli insignificanti, come la “velocità” sublimata a valore della legislazione a detrimento della qualità dei suoi contenuti.

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