La costituzione, contrattazione
e gestione del fondo del salario accessorio, come noto, costituiscono un vera e
propria via crucis per tutte le
amministrazioni.
Le cause di ciò sono molteplici:
la poca dimestichezza col ruolo di datore di lavoro, la conseguenza scarsa
capacità di contrattare, le ingerenze della politica alla ricerca di captazione
di consenso dei sindacati, ma, soprattutto, regole laconiche e farraginose della
contrattazione nazionale collettiva, regole ancora meno chiare della
contabilità in particolare dopo la cosiddetta “armonizzazione” e, primo tra
tutti i problemi, le interpretazioni prevalentemente ellittiche, creative e prater legem di Aran, Mef e Corte dei
conti.
L’insieme di queste cause
cagiona problemi irrisolvibili ed irrisolti nella gestione del fondo.
Si pensi, ad esempio, al
reviriment dell’Aran sui cosiddetti progetti ripetitivi finanziabili con
l’articolo 15, comma 5, del Ccnl 1.4.1999, col parere 19932. L’Agenzia è
finalmente giunta all’epifania: non è possibile pretendere che ogni anno si
inventino progetti innovativi. E’ legittimo immaginare progetti pluriennali o
ricorrenti. Era ora (ci sono voluti 15 anni per arrivare ad una conclusione
ovvia), ma nel parere l’Aran ha aggiunto l’assurdo: la possibilità di
finanziare turni con le risorse variabili dell’articolo 15, comma 5, medesimo.
La raccolta dei pareri degli
organi chiamati a pronunciarsi sui temi della contrattazione, purtroppo, è prevalentemente
un “tutto e il suo contrario”, che crea disorientamento ed oggettivamente
costituisce sia causa, sia effetto degli errori molto frequenti nella
contrattazione.
Una “summa” delle posizioni
interpretative e delle idee precostituite ma oggettivamente errate sulla
contrattazione è riscontrabile nel parere della Corte dei conti, Sezione
regionale di controllo del Veneto, 4 maggio 2016, n. 263. Sono, infatti,
riscontrabili sostanzialmente tutti i preconcetti, gli slogan e le visioni extra ordinem che contornano la
questione, fuorviando totalmente le amministrazioni da una almeno minima
capacità gestionale e contribuendo alla grave ingessatura dell’intero sistema.
In estrema sintesi, il parere
rivela la confusione tra ruolo del contratto collettivo decentrato integrativo
e sistema di valutazione abbinato a ciclo della performance e Peg, con la quale
la magistratura contabile e l’Aran esaminano le questioni operative.
Il parere prende le mosse dal
quesito di un comune che chiede, in sintesi, se sia possibile, nonostante
l’anno precedente non si sia giunti alla sottoscrizione del contratto
decentrato, allocare in bilancio le risorse destinata alla parte variabile del
fondo, in applicazione del principio contabile 4/2, punto 5.2. Secondo il
comune, l’operazione sarebbe possibile dal momento che l’imputazione contabile
è attivabile l’anno successivo a quello in cui si sarebbe dovuto stipulare il
contratto, purchè entro l’approvazione del rendiconto, visto che la
costituzione del fondo comporta l’apposizione di un vincolo sul risultato di
amministrazione. Inoltre, il comune osserva che per apporre questo vincolo non
sarebbe necessario un atto autonomo di “costituzione” del fondo, bensì
semplicemente l’approvazione del bilancio di previsione.
La risposta della Sezione, che
respinge ognuna delle tesi del comune richiedente, è molto articolata e
contiene una serie di indicazioni estremamente utili, dalle quali occorre
separare le altrettante da considerare erronee e fuorvianti.
1. Perfezionamento dell’obbligazione. La deliberazione, analizzando
con puntualità le indicazioni dei principi contabili conseguenti all’entrata a
regime della riforma disposta col d.lgs 118/2011, chiarisce un punto dirimente:
non può essere ormai messo in dubbio che l’impegno della spesa connessa al
fondo si perfeziona solo e soltanto con la stipulazione del contratto
collettivo decentrato: “L'impegno
costituisce la fase della spesa con la quale viene registrata nelle scritture
contabili la spesa conseguente ad una obbligazione giuridicamente perfezionata
e relativa ad un pagamento da effettuare, con imputazione all'esercizio
finanziario in cui l'obbligazione passiva viene a scadenza. Cfr D.lgs 118/2011
Allegato 1. Principio contabile n. 16”. La Sezione spiega,
conseguentemente, che “La registrazione
dell'impegno che ne consegue, avviene nel momento in cui l'impegno è
giuridicamente perfezionato, ma l’imputazione dello stesso, a differenza del
previgente sistema contabile, avviene a valere sugli esercizi finanziari in cui
le singole obbligazioni passive risultano esigibili. Il principio sopra
richiamato trova applicazione anche in relazione alle spese per il personale come
quelle riferibili alle risorse da destinare al “Fondo””.
Dovrebbe, di conseguenza,
risultare ormai definitivamente chiaro a tutte le amministrazioni che:
1. la
stipulazione del contratto decentrato deve intervenire entro l’anno come
specifico irrinunciabile risultato gestionale ed operativo, l’assenza del quale
implica una serie di problemi finanziari e rischi di danni erariali immensi;
2. allo
scopo di stipulare il contratto decentrato entro i termini, è necessario
partire con costituzione del fondo e negoziazione molto presto, all’inizio
dell’anno, se non l’anno precedente;
3. se
è vero che si stipula in due e, quindi, occorre il consenso dei sindacati,
altrettanto vero è che le stringenti regole contabili non consentono indugi:
dunque, risulta obbligatorio rimediare, sempre molto prima della metà
dell’anno, ad atteggiamenti ostruzionistici o dilatori dei sindacati,
avvalendosi dell’articolo 40, comma 3-ter, del d.lgs 165/2001, norma la cui
valenza è esaltata e resa sostanzialmente obbligatoria proprio
dall’armonizzazione contabile: “Al fine
di assicurare la continuità e il migliore svolgimento della funzione pubblica,
qualora non si raggiunga l'accordo per la stipulazione di un contratto
collettivo integrativo, l'amministrazione interessata può provvedere, in via
provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo, fino alla successiva
sottoscrizione. Agli atti adottati unilateralmente si applicano le procedure di
controllo di compatibilità economico-finanziaria previste dall'articolo 40-bis”.
Il parere della Sezione
evidenzia in modo incontestabile: “all’atto
della sottoscrizione della contrattazione integrativa vengono impegnate le obbligazioni
relative al trattamento accessorio e premiante (registrazione), imputandole
contabilmente agli esercizi del bilancio di previsione in cui tali obbligazioni
scadono o diventano esigibili tramite il neo istituito istituto giuscontabile
del Fondo Pluriennale Vincolato”.
Non sottoscrivere il contratto
entro l’anno solare è certamente da considerare un atto irresponsabile: è solo
foriero di danni organizzativi, conflittualità e potenziali problemi
giuscontabili e responsabilità erariale. L’atto unilaterale previsto
dall’articolo 40, comma 3-ter, del d.lgs 165/2001 è certamente drastico e
tranciante, ma è un rimedio imprescindibile per far comprendere come la
stipulazione del contratto decentrato non sia solo un diritto, ma anche un
dovere e che i suoi contenuti non sono liberi. La contrattazione nell’ambito
del lavoro pubblico è soggetta ad una quantità di vincoli enorme, sconosciuta
nel privato: basti pensare, solo per fare un esempio, ai vincoli sulla quantità
delle risorse destinabili alla produttività, derivanti dalle sciagurate regole
da cui discende l’obbligo di ridurre il fondo in proporzione alle cessazioni
dei dipendenti.
2. Stipulazione entro inizio anno. Come rilevato prima, occorre
necessariamente (è da sempre così, ma l’armonizzazione contabile rimarca
l’esigenza) stipulare il contratto entro l’inizio dell’anno, non oltre il mese
di marzo.
La ragione è semplice: non si
deve dimenticare che il fondo finanzia spesa di personale legata a trattamenti
fissi e continuativi. Non è possibile erogarli in assenza di un titolo
giuridico legittimante. Si parla di trattamenti fisi e continuativi:
1. di
natura soggettiva: progressioni orizzontali, indennità di comparto, indennità
legate a particolari profili professionali, posizioni organizzative negli enti con
la dirigenza. Tali risorse vanno quantificate subito e “levate” dal fondo, in
quanto non possono costituire oggetto di contrattazione; ciò vale anche per le
risorse destinate a finanziare retribuzione di posizione e risultato delle PO
negli enti con la dirigenza, le quali non possono essere messe in discussione
se non si modifica, prima, il regolamento di organizzazione ed il sistema di
valutazione in merito ai criteri di determinazione dei pesi del valore della
retribuzione di posizione;
2. di
natura oggettiva/organizzativa: sono quelli connessi ad esigenze organizzative
dell’ente e ad incarichi variabili nel tempo considerati meritevoli di una
particolare remunerazione, come le indennità di turno, disagio, reperibilità,
maneggio valori, particolari responsabilità. In questo caso, occorre che la
contrattazione confermi/modifichi le destinazioni.
E’ evidente l’urgenza di
stipulare il contratto, per avere da subito il presupposto di legittimità
dell’erogazione di una serie di emolumenti, come quelli evidenziati sopra,
riferiti all’intera gestione.
La Sezione Veneto indica: “la costituzione del “Fondo” deve avvenire
tempestivamente all’inizio dell’esercizio per stabilire contestualmente le
regole per la corresponsione del trattamento accessorio legato alla produttività
individuale e collettiva sulla base di verificati incrementi di efficienza. Consegue
a tale esigenza che ogni ritardo sulla tempistica richiamata determina
rallentamenti nel processo di individuazione della destinazione delle somme
stanziate con ripercussioni negati ve sul procedimento di valutazione e
attribuzione degli incentivi”.
Se il ritardo nella stipulazione
del contratto è grave per il caso della destinazione delle risorse di parte
stabile, esiziale è per la parte variabile e, comunque, la parte residuale
destinata alla produttività. Essa, infatti, è connessa inscindibilmente alla
realizzazione di programmi di attività, i quali non possono non essere annuali
e, dunque, previsti e finanziati entro un ragionevole breve termine ad inizio
anno.
Inoltre, sulla costituzione del
fondo, presupposto indefettibile della contrattazione la Sezione indica: “Peraltro, si evidenzia ulteriormente che
“…l’incremento della parte variabile del fondo presuppone necessariamente un
preventivo, specifico, programma di nuovi servizi o di miglioramento di quelli
esistenti, che abbiano una ricaduta positiva sui cittadini. Appare inevitabile
che la scelta dei nuovi servizi, di competenza della Giunta comunale, debba essere fatta al massimo entro i
primi mesi dell’esercizio, se non addirittura negli ultimi mesi dell’esercizio
precedente, per evitare che si indichino ex post obiettivi già
raggiunti, trasformando uno strumento di incentivazione della produttività e
del merito in una non commendevole modalità di integrazione postuma dello
stipendio del dipendente pubblico.(Sezione di controllo per la Liguria,
Deliberazione n. 23/2016, comune di Alassio)”.
3. Fasi della contrattazione. Dopo l’excursus sulle regole
contabili vigenti, la deliberazione della Sezione Veneto concentra la sua
attenzione sulle fasi della contrattazione, così evidenziate:
1. “individuazione a bilancio delle risorse”;
2. “costituzione del fondo”;
3. “individuazione delle modalità di
ripartizione del “fondo” mediante contratto decentrato”.
Per attivare queste fasi,
secondo la Sezione “la programmazione
dell’ente e il relativo bilancio devono contenere rispettivamente, gli
indirizzi fondamentali per la contrattazione integrativa e per
l’attribuzione dei compensi incentivanti sulla base della valutazione delle
performance, nonché le risorse finanziarie previste per lo scopo nei
limiti di legge e di contratto”.
Qui cominciamo a vedere le prime
indicazioni erronee e confusionarie. Non c’è dubbio alcuno che la
programmazione dell’ente debba prevedere le risorse finanziarie. Il che,
allora, pone un problema: perché il comune richiedente, secondo la Sezione, ha
torto su tutta la linea quando afferma la possibilità di rinvenire nel bilancio
di previsione l’atto di costituzione del fondo? Inoltre, come sarebbe
possibile, secondo la Corte, che il consiglio fissi gli indirizzi della
contrattazione collettiva? Dove si ricava questa competenza, visto che
l’articolo 42 del Tuel non la esprime, né essa è dettata da alcuna norma di
legge e visto che le competenze non esplicitate dalla legge ricadono sulla
competenza generale e residuale della giunta?
Appare, oggettivamente,
contraddittorio che la Corte dei conti:
a) neghi
al bilancio di previsione approvato dal consiglio la funzione di costituire il
fondo;
b) ma
assegni al consiglio il compito di dettare i criteri per la sua ripartizione.
Una contraddizione insanabile,
utile solo a rendere incerti i confini delle competenze e a portare anche alla
duplicazione di atti, esasperando la burocrazia, a detrimento di efficienza ed
efficacia, tanto evocate molto spesso a sproposito.
4. Costituzione del fondo. Uno dei temi più delicati è proprio
quello della “costituzione” del fondo, reso ancora più esasperato dalle
improvvide indicazioni dei principi contabili.
Su un punto, messo in rilievo
dalla Sezione, non si può che concordare: “ancor
prima della sottoscrizione dell’accordo decentrato, atto dal quale scaturisce
il vincolo giuridico di prenotazione della posta al Fondo Pluriennale
Vincolato, assume rilievo la costituzione del “Fondo” quale atto unilaterale
da parte dell’amministrazione ed elemento essenziale per consentire la
corretta imputazione, in base al richiamato principio contabile, delle risorse
destinate alla parte stabile e, per quello che qui interessa, alla parte
variabile dello stesso “Fondo””.
Un primo punto va fatto
risaltare: la costituzione del fondo è un atto unilaterale. E’ bene imprimerlo
nella mente. Poiché è un atto unilaterale, la consistenza del fondo non è in
alcun modo oggetto di contrattazione.
Questo ha delle ricadute sulla
facoltà di avvalersi dell’articolo 15, commi 2 e 5, del Ccnl 1.4.1999: dette
norme incrementano il fondo, nella sua parte variabile. Dunque, si tratta pur
sempre di costituire il fondo nelle sue componenti finanziarie. Pertanto, anche
questi incrementi non sono in alcun modo oggetto di negoziazione con i
sindacati, specie se, applicando il comma 2 dell’articolo 15, l’ente decida di
avvalersi dell’incremento facoltativo nella percentuale massima.
Infatti, la Sezione sancisce: “il contratto decentrato non ha titolo per
stabilire l’incremento delle risorse variabili, la cui disponibilità deve
essere decisa in sede di bilancio di previsione, sulla base del progetto
di miglioramento dei servizi e successivamente formalizzata (come si dirà)
nell’atto formale di costituzione del “Fondo””.
Dunque, la “costituzione” è e
resta un atto unilaterale, non influenzabile da nessun genere di negoziazione o
relazione sindacale.
Ma, qual è lo strumento mediante
il quale costituire il fondo? Il comune richiedente ha ipotizzato che si tratti
del bilancio di previsione. La corte dei conti non condivide questa teoria e,
invece, ritiene debba esservi un provvedimento autonomo.
La conclusione tratta dalla
magistratura contabile e soprattutto le motivazioni addotte non sono in alcun
modo convincenti ed appaiono anzi erronee.
Il parere afferma: “Come emerge chiaramente dal dettato
normativo e come anche rilevato in precedenza, è la formale deliberazione di
costituzione del “Fondo” che assume rilievo quale atto costitutivo finalizzato ad
attribuire il vincolo contabile alle relative risorse atteso che la
disposizione prevede come: “…nelle more della sottoscrizione della
contrattazione integrativa, sulla base della formale delibera di costituzione
del fondo, vista la certificazione dei revisori, le risorse destinate al
finanziamento del fondo risultano definitivamente vincolate” (richiamato punto 5.2 dell’Allegato 4/2)”.
4.1. Provvedimento di costituzione del fondo. Riscontriamo che il
principio contabili si limiti a richiedere una “formale delibera di costituzione del fondo”. Non indica quale sia
l’organo competente ad adottare tale delibera. Questo, di per sé, costituisce
un problema non da poco, che il parere della Sezione intende affrontare e
risolvere, osservando: “seppur, come da
taluni osservato in dottrina, non sia ben chiaro quale debba essere e da chi
debba essere adottato tale atto formale (dal Consiglio o dalla Giunta con
atti propri di natura non gestionale o dalla dirigenza come atto proprio di
natura gestionale) resta il fatto che quello che emerge dalla richiamata
previsione è l’esigenza di un momento
ricognitivo sulla consistenza del “Fondo”, nelle sue componenti stabile e
variabile, che intervenga entro l’esercizio di riferimento. Momento ricognitivo la cui mancanza si
pone come elemento in grado di impedire che le risorse non riferibili alla
“…quota del fondo obbligatoriamente prevista dalla contrattazione collettiva
nazionale…” possano confluire nell’avanzo vincolato”.
Ecco, dunque, l’importantissima
funzione della costituzione del fondo: impedire che le risorse non autorizzate
direttamente dalla contrattazione nazionale confluiscano nell’avanzo vincolato,
inesorabile conseguenza della mancata costituzione e, ovviamente, stipulazione,
a seguito dell’armonizzazione.
Chi dà corso, allora, al
“momento ricognitivo”? “La Sezione, sul
punto, fugando gli accennati dubbi interpretativi che emergono dalla richiamata
formulazione del testo normativo (“delibera” di costituzione), ritiene che la costituzione del “Fondo” sia
atto da ricondurre alla competenza della dirigenza atteso che lo stesso
deve essere non solo ricognitivo
della presenza di sufficienti risorse in bilancio ma ben si colloca nell’ambito
delle attribuzioni della stessa dirigenza in
ordine alla verifica: della correttezza della quantificazione delle risorse
iscritte in bilancio destinate alla contrattazione decentrata e del rispetto
dei vincoli di finanza pubblica che ne influenzano la modalità di
determinazione. Obblighi, questi ultimi, da ricondursi alla tipica funzione
gestionale imputata alla dirigenza ed ai quali si ricollegano le relative
responsabilità in caso di inadempimento (siano esse amministrativa,
disciplinare o dirigenziale in relazione alle eventuali violazioni intervenute)”.
4.3 Funzione e provvedimento di costituzione del fondo. Non è chi
non veda le contraddizioni insanabili delle conclusioni tratte dal parere.
Vediamo in breve rassegna dette
conclusioni:
1. il
provvedimento serve a costituire il fondo;
2. il
provvedimento deve precedere la stipulazione del contratto;
3. si
parla di deliberazione, ma è una competenza dirigenziale;
4. la
competenza dirigenziale si radica nell’esigenza di realizzare un “momento
ricognitivo”;
5. l’atto
dirigenziale, inoltre, ha il compito di verificare la correttezza della
quantificazione delle risorse iscritte in bilancio destinate alla
contrattazione decentrata ed il rispetto dei vincoli di finanza pubblica.
Ecco, allora, le contraddizioni
insanabili tra le conclusioni stesse e tra queste e le norme vigenti:
1. Il
provvedimento, delibera o atto dirigenziale che sia, “costituisce” il fondo. Il
significato del verbo costituire significa “fondare”, “creare”, “istituire”.
Dunque, con la costituzione del fondo si crea qualcosa che prima non c’era: la
quantità delle risorse disponibili nel fondo. Dunque, la costituzione del fondo
non può assolutamente essere considerata un “momento ricognitivo”.
2. Un
atto “ricognitivo”, infatti, non ha lo scopo di creare dal nulla un certo dato,
ma si limita ad accertare che quel dato, quell’istituto, quel quantitativo,
esista già. Se, quindi, costituire significa creare, il provvedimento non può
certamente avere alcuna funzione ricognitiva.
3. Ma,
se si ritiene comunque necessario ed opportuno il provvedimento dirigenziale,
sia pur dotato di funzione meramente ricognitiva, per verificare la correttezza
della quantificazione delle risorse ed il rispetto delle regole di finanza
pubblica, allora di fatto l’atto di mera ricognizione assolve ad una funzione
di controllo su un elemento, il fondo, preesistente.
4. Ma,
se la ricognizione riguarda un preesistente fondo, allora l’atto dirigenziale
non può essere costitutivo: il fondo, quindi è già costituito prima.
5. A
questo punto, forse l’indicazione che ad un primo esame contiene il principio
contabile secondo il quale per la costituzione del fondo occorra una “delibera
formale” assume tutta una rilevanza diversa. La “delibera formale” potrebbe
avere un senso vero: è il provvedimento che precede la “ricognizione” del
dirigente.
6. Qual
è, allora, questa delibera? Contrariamente a quanto afferma la Sezione Veneto e
in piena adesione a quanto sostiene il comune richiedente, non si può non
ritenere che essa sia la delibera di approvazione del bilancio di previsione ed
ogni altra delibera di variazione di bilancio.
7. Infatti,
la Corte dei conti, come visto prima, attribuisce al consiglio il compito, col
bilancio di determinare non solo “gli
indirizzi fondamentali per la contrattazione integrativa e per
l’attribuzione dei compensi incentivanti sulla base della valutazione delle
performance” ma, soprattutto “le
risorse finanziarie previste per lo scopo nei limiti di legge e di
contratto”.
8. Allora,
delle due l’una: o la costituzione del fondo è atto della dirigenza e da questo
atto determina la fissazione delle risorse finanziarie; oppure, questo compito
appartiene al consiglio e, quindi è il bilancio di previsione che stabilendo le
risorse finanziarie costituisce il fondo.
9. La
risposta, risolvendo le contraddizioni interne del ragionamento della Corte dei
conti, non può che essere una: il fondo è costituito con l’approvazione del
bilancio di previsione, mentre il provvedimento dirigenziale ha valore solo
ricognitivo.
10. Erronea è,
anche, la convinzione espressa dal parere secondo la quale la funzione
dirigenziale consiste nella verifica della correttezza della quantificazione
delle risorse e del rispetto delle regole di finanza pubblica. Non può sfuggire
a nessuno che tale funzione deve essere svolto, nell’ambito del procedimento di
approvazione del bilancio di previsione:
a. dal
responsabile del servizio finanziario;
b. dal
segretario comunale;
c. dai
revisori dei conti;
d. dal
consiglio stesso.
5. Ruolo della determinazione di costituzione del fondo. La
ricostruzione della Sezione, dunque, non può convincere.
Occorrerebbe prendere atto una
volta e per sempre che la costituzione del fondo richiesta al dirigente post
bilancio di previsione, più che un “atto formale” è un borbonico, burocratico,
ultroneo, pesante, ripetitivo atto “formalistico”. Dalla cui carenza risulta
sproporzionata e inutile la conseguenza, descritta dal principio contabile,
dell’impossibilità di imporre il successivo impegno sulle risorse anche diverse
da quelle definite dalla contrattazione collettiva nazionale di lavoro.
La realtà è che proprio le
regole contabili indicano chiaramente che il fondo si costituisce in modo
definitivo con l’approvazione del bilancio di previsione. In presenza del
bilancio approvato e del capitolo, che come sappiamo costituisce autorizzazione
ex lege all’impegno, il fondo non può non considerarsi costituito e qualsiasi lettura
che voglia ricavare inadempimenti e conseguenze contabili dall’assenza di un
mero atto ricognitivo e formalistico appare da rigettare, in quanto improntata
ad una visione del diritto solo convenzionale e lontanissima dai principi di
semplificazione ed efficienza-efficacia.
Esiste, tuttavia, uno spazio per
la costituzione del fondo da parte del dirigente competente? La risposta è sì.
S’è visto prima come risulti
assolutamente necessario stipulare il contratto decentrato all’inizio dell’anno
e, al limite, adottare il provvedimento unilaterale provvisorio sostitutivo,
per evitare blocchi alla contrattazione scaturenti da atteggiamenti poco
concilianti delle organizzazioni sindacali.
Ma, se il bilancio di previsione
non è adottato a inizio anno, allora non sarebbe possibile stipulare il
contratto: mancherebbe un presupposto fondamentale.
Ora, come è noto, dal 1990 ad
oggi solo una volta il bilancio di previsione è stato possibile adottarlo prima
del successivo esercizio finanziario. Per 25 anni su 26, invece, i bilanci sono
stati approvati ad esercizio avanzato e alcune volte ad esercizio quasi
concluso. Il che rende, ovviamente, impossibile costituire il fondo e chiudere
le trattative per tempo, generando un fattore esogeno impeditivo della
contrattazione, del quale Corte dei conti, Aran e Mef non sono – a torto, a
grave torto – intenzionati a prendere atto.
Come risolvere l’impasse?
Appunto con la costituzione del fondo in via provvisoria mediante un
provvedimento del responsabile, che sia precisamente ricognitivo ma non della
correttezza dell’appostamento del bilancio (ancora inesistente), bensì della
corretta quantificazione, tenendo conto, quindi, del personale in servizio, di
quello cessato, di quello andato o rientrato dal part time, della somma eventualmente
residuale dell’anno precedente effettivamente affluente alla parte variabile e
delle altre variabili. Del resto, sono esattamente le medesime operazioni che
il responsabile deve compiere proprio allo scopo di determinare l’ammontare del
fondo da appostare nell’appropriato capitolo di bilancio.
In assenza di bilancio di
previsione approvato entro gennaio- febbraio, per avviare e chiudere in tempo
la contrattazione, allora sarà necessario un atto dirigenziale. Successivamente
all’approvazione del bilancio, il fondo sarà definitivamente costituito.
Spetterà alla giunta (e successivamente al consiglio con la ratifica) disporre
eventuali variazioni di bilancio volte ad incrementare il fondo, avvalendosi
della facoltà consentita dall’articolo 15, commi 2 e 5, del Ccnl 1.4.1999.
6. Stipulazione in assenza del bilancio? Occorre, allora, chiedersi
se sia possibile avviare le trattative e stipulare il contratto in assenza del
bilancio, sia pure con la costituzione del fondo in via provvisoria disposta
con atto dirigenziale.
La risposta è affermativa per
una ragione semplicissima: la costituzione del fondo è necessaria solo per gli
aspetti giuscontabili, ma non ha alcuna rilevanza per quelli giuslavoristici,
cioè per gli effetti giuridici sul rapporto di lavoro.
Non bisogna incorrere
nell’errore di ritenere che compito del contratto sia stabilire la “quantità”
delle risorse da destinare, nonostante questo errore sia, invece, diffusissimo.
Oggetto del contratto decentrato
non è né costituire il fondo, né stabilire quanta parte di esse vada assegnata
a ciascuna destinazione. L’articolo 4, comma 2, lettera a), del Ccnl 1.4.1999 è
chiarissimo nel disporre: “In sede di
contrattazione collettiva decentrata integrativa sono regolate le seguenti
materie:
a) i criteri per la ripartizione
e destinazione delle risorse finanziarie, indicate nell’art. 15, per le
finalità previste dall’art. 17, nel rispetto della disciplina prevista dallo
stesso articolo 17”.
Oggetto del contratto collettivo
decentrato, quindi, non sono affatto le somme, ma solo i criteri per ripartire
il fondo. Il contratto, dunque, può essere negoziato ed anche stipulato anche
in assenza dell’approvazione del bilancio di previsione che costituisce in modo
definitivo il fondo. La ripartizione e destinazione delle risorse finanziarie,
approvato il bilancio, non potrà che essere automatica applicazione dei criteri
stabiliti dalla contrattazione decentrata.
Avendo presenti queste
indicazioni provenienti direttamente dalle leggi e dalla contrattazione
collettiva, si nota come sia possibile/doveroso stipulare il contratto senza
dover attendere l’approvazione del bilancio e come siano erronei assunti che
sono, da anni, dati come assoluti, quali quelli sulla necessità che il fondo
sia costituito sempre e necessariamente con un atto diverso dal bilancio di
previsione e che il contratto debba ripartire risorse determinate. E’ bene
anche ricordare quanto prevede l’articolo 1346 del codice civile: “L'oggetto del contratto deve essere
possibile, lecito, determinato o
determinabile”. A parte il fatto che i criteri, una volta stabiliti,
sono determinati e, quindi, un contratto decentrato che fissi i criteri dispone
di un oggetto perfettamente aderente ai requisiti imposti dal codice civile,
comunque, esso risponderebbe egualmente ai requisiti considerando che gli
importi delle risorse destinate ai vari istituti restano comunque
“determinabili” in applicazione appunto dei criteri.
7. Ultrattività dei contratti. L’articolo 5 del Ccnl 1.4.1999, come
sostituito dall’articolo 4 del Ccnl 22.1.2004, al comma 4 dispone: “I contratti collettivi decentrati
integrativi devono contenere apposite clausole circa tempi, modalità e
procedure di verifica della loro attuazione. Essi conservano la loro efficacia fino alla stipulazione, presso ciascun ente,
dei successivi contratti collettivi decentrati integrativi”.
Sul punto, il parere della
Sezione Veneto è laconico. In via del tutto incidentale, rilevando che il
comune istante non aveva stipulato il ccdi afferma che il contratto, per la
mancata stipulazione “manca del tutto in
quanto non sottoscritto (ove ovviamente non si voglia aderire alla tesi
sostenuta da una parte della dottrina sull’ultrattività di quello
esistente: ipotesi quest’ultima la cui rilevanza e sussistenza con ha
costituito oggetto di attenzione in questa sede)”.
Come si nota, la Corte dei conti
derubrica l’ultrattività a “tesi sostenuta da una parte della dottrina”. Ma, si
tratta di una chiara sottovalutazione, anzi vera e propria rimozione (non
consentita) di un dato normativo chiaramente espresso dalla vigente
contrattazione collettiva. Il parere, in questo caso, non è solo prater legem, ma chiaramente contra legem e come questo parere tutti
quegli altri dello stesso tono dell’intera magistratura contabile e del Mef,
ingiustificatamente propensi a ritenere che l’ultrattività dei contratti
decentrati non sia operante.
Al contrario, il dato normativo
è evidentissimo e inconfutabile: l’ultrattività è prevista e vigente. Per una
ragione chiarissima: perché oggetto del contratto debbono essere, come visto
sopra, i criteri e non le somme. In assenza di una modifica dei criteri per
destinare le somme, non si vede per quale ragione risulti necessario un
contratto che le riconfermi. Basta, a quel punto, la costituzione del fondo e,
allora sì, un atto ricognitivo dell’assenza di un nuovo contratto.
8. Risorse variabili. C’è poi il vastissimo tema delle risorse
variabili e del loro utilizzo.
Su questo argomento la
confusione impera ed è enorme, anche a causa di indicazioni interpretative del
tutto fuorvianti, ma ripetute ossessivamente da anni.
Il parere della Sezione dedica
molto spazio a questa questione, esordendo con la posizione del problema: “In questa sede appare necessario, richiamare
gli adempimenti ai quali le amministrazioni locali devono attenersi in sede di
appostamento delle risorse del “Fondo” atteso che, di solito, le criticità
rilevate dalla stessa Corte dei conti, dall’ARAN e dall’Ispettorato della
Ragioneria Generale dello Stato emergono soprattutto nell’ambito della
determinazione della quota variabile di detto “Fondo”. Tale quota
comprende, infatti, voci che, avendo carattere occasionale o essendo soggette a
variazioni anno per anno, non possono consolidarsi nei fondi, ma devono e
possono trovare applicazione solo nell’anno in cui sono state discrezionalmente
previste e alle rigide condizioni, da riscontrarsi anno per anno, indicate nei
CCNL di riferimento. Tra tali voci, e per quello che riguarda la richiesta
di parere formulata dal Comune di Teolo, riveste particolare importanza quella
indicata dall'art. 15, comma 5, del CCNL del 1999, e destinata all’attivazione
di nuovi servizi o all’aumento o al miglioramento di quelli esistenti”.
Le affermazioni di rilievo sono
due:
1. la
Sezione dà credito fideistico ed assoluto ai rilievi di criticità mossi dalla
giurisprudenza contabile, dall’Aran e dall’Ispettorato del Mef sul tema
dell’utilizzo delle risorse. Non risulta, tuttavia, esistere nessuna fonte del
diritto che attribuisca a questi organi nessun potere di determinare indirizzi
cogenti sulla materia;
2. l’applicazione,
cioè l’utilizzo, delle risorse variabili può avvenire solo alle “rigide condizioni, da riscontrarsi anno per
anno, indicate nei Ccnl di riferimento”. Intanto, probabilmente la Sezione
incorre in un errore: non intendeva riferirsi ai Ccnl, ma ai Ccdi, come
dimostra il riferimento alla verifica “anno per anno”. I Ccnl hanno durata
pluriennale; sono i Ccdi da stipulare anno per anno per destinare le somme. Ma,
i Ccdi non dettano alcuna condizione per l’erogazione delle risorse di parte
variabile.
8.1 Ruolo dei contratti per la parte variabile. Partiamo
dall’ultima affermazione e cerchiamo di precisarla, rispondendo alla domanda:
“qual è il ruolo della contrattazione collettiva decentrata integrativa in
merito alla parte variabile del fondo?”.
Diamo subito la risposta
sintetica, per poi argomentarla: nessun ruolo. Lo ribadiamo: nessuno.
Il Ccdi in merito alla parte
variabile non ha assolutamente alcuna funzione né le parti sono legittimate a
negoziare nulla.
Argomentazione di per sé
sufficiente ed assorbente è il già richiamato articolo 4, comma 2, lettera a),
del Ccnl 1.4.1999, ai sensi del quale in sede di contrattazione sono definiti “i criteri per la ripartizione e destinazione
delle risorse finanziarie”.
Ma, per le risorse variabili di
cui all’articolo 15, commi 2 e 5, non c’è da definire nulla, perché:
a) la
ripartizione (così come ovviamente la quantificazione) non è decisa
negozialmente, bensì è disposta unilateralmente dall’ente, che decida di
avvalersi della facoltà di incrementare il fondo come consentito dalle norme in
commento;
b) la
destinazione è già predeterminata dall’articolo 17, comma 2, lettera a), del
Ccnl 1.4.1999, riferita alle risorse “residuali” del fondo non destinate
secondo le successive lettere: esse vanno obbligatoriamente a “erogare compensi diretti ad incentivare la
produttività ed il miglioramento dei servizi, attraverso la corresponsione di
compensi correlati al merito e all’impegno di gruppo per centri di costo, e/o
individuale, in modo selettivo e secondo i risultati accertati dal sistema
permanente di valutazione di cui all’art. 6 del CCNL del 31.3.1999”.
Quindi risulta chiaro che tutte
le risorse della parte stabile non destinate e tutte le risorse della parte
variabile, in particolare quelle previste dall’articolo 15, commi 2 e 5,
remunerano esclusivamente la produttività.
Ciò dimostra che i contratti
decentrati non possono ingerirsi sulla destinazione.
8.2 Utilizzo delle risorse di parte variabile. Tanto meno è
possibile coinvolgere i sindacati e concordare con essi il “come” spendere
queste risorse destinate necessariamente al risultato.
Alcuni ritengono che con i
sindacati sarebbe da convenire su quanti e quali dipendenti coinvolgere in
quali progetti e come determinare il valore di essi.
E’ un errore gravissimo e,
comunque, una causa di nullità assoluta delle clausole eventualmente stipulate
aventi questi effetti.
Infatti
1) spetta
in via esclusiva all’ente:
a. determinare
i progetti di miglioramento;
b. quantificare
in modo ragionevole il valore dei progetti;
c. determinare
i criteri di valutazione mediante il sistema di valutazione permanente, che non
è oggetto di contrattazione, ma al massimo di concertazione;
2) spetta
in via esclusiva ai dirigenti o responsabili di servizio decidere come
utilizzare i dipendenti, come e in che misura coinvolgerli nei progetti
assegnando loro incarichi precisi, in attuazione del potere datoriale di micro-organizzazione
che ai sensi dell’articolo 5, comma 2, del d.lgs 165/2001 sfugge a qualsiasi
relazione sindacale ed è, dunque, necessariamente unilaterale.
9. Condizioni di definizione e utilizzo. La Sezione si sofferma,
traendo spunto dall’articolo 18 del Ccnl 1.4.1999 e dalle indicazioni dell’Aran,
sulle condizioni per attivare le risorse variabili.
Le condizioni, secondo il
parere, sono:
1. che
ai maggiori stanziamenti per il fondo siano accompagnati maggiori servizi;
2. che
i miglioramenti dei servizi non siano generici, ma che siano conseguiti
risultati concreti;
3. in
conseguenza della seconda condizione, occorrono risultati verificabili
attraverso standard, indicatori e/o attraverso i giudizi espressi dall’utenza;
4. è
necessario che si conseguano risultati “difficili” attraverso un ruolo attivo e
determinante del personale interno;
5. le
risorse siano quantificate secondo criteri trasparenti e ragionevoli,
analiticamente illustrati nella relazione da allegare al contratto decentrato;
6. le
risorse debbono essere disponibili solo a consuntivo, dopo aver accertato i
risultati;
7. è
necessario che le risorse per il “fondo” siano previste nel bilancio annuale di
previsione e nel Documento unico di programmazione.
Vale la pena prenderle in
considerazione una per una, per verificare quanto tali condizioni
effettivamente siano correttamente indicate ed esplicate.
La prima è certamente erronea. L’articolo
15, comma 5, del Ccnl 1.4.1999 consente l’incremento delle risorse “In caso di attivazione di nuovi servizi o di processi di riorganizzazione
finalizzati ad un accrescimento di quelli esistenti”. Dunque, non risulta
corretto ritenere che siano sempre necessari “maggiori servizi”.
La seconda condizione è astratta
e vuota: indiscutibilmente i miglioramenti dei servizi non possono generici. La
Sezione indica, dunque, la necessità di conseguire risultati “concreti”. Ma non
spiega in cosa consistano detti risultati concreti, incorrendo in un vizio
logico-argomentativo. Se si esprime un concetto senza definirlo, come ci
insegna Socrate, non si fornisce alcun elemento valutativo e argomentativo
utile.
La terza condizione è, invece,
corretta. In questo caso la Sezione è più chiara: “Per poter dire - a consuntivo - che c’è stato, oggettivamente, un
innalzamento quali quantitativo del servizio, è necessario poter disporre di
adeguati sistemi di verifica e controllo. Innanzitutto, occorre definire uno standard
di miglioramento. Lo standard è il termine di paragone che consente di
apprezzare la bontà di un risultato. Ad esempio: per definire lo standard di
una riduzione del 10% dei tempi di attesa di una prestazione, occorre aver valutato
a monte i fabbisogni espressi dall’utenza e le concrete possibilità di
miglioramento del servizio. In secondo luogo, è necessario misurare, attraverso
indicatori, il miglioramento realizzato. Le misure a consuntivo vanno quindi
“confrontate” con lo standard, definito a monte. Per misurare il miglioramento
realizzato, l’ente può anche avvalersi di sistemi di rilevazione della qualità
percepita dagli utenti (ad esempio: questionari di gradimento, interviste, sondaggi
ecc.)”.
La quarta condizione è
semplicemente inaccettabile e non poggiata su alcun elemento normativo.
Aderendo alle indicazioni Aran e Mef, la Corte dei conti afferma che gli
obiettivi debbono mirare a “risultati “sfidanti”, importanti, ad alta
visibilità esterna o interna. L’ottenimento di tali risultati non deve essere
scontato, ma deve presentare apprezzabili margini di incertezza. Se i risultati
fossero scontati, verrebbe meno l’esigenza di incentivare, con ulteriori
risorse, il loro conseguimento”.
Il primo necessario rilievo, già
anticipato, è che non esiste norma alcuna, né legislativa né contrattuale, che
richieda di caratterizzare i risultati come “sfidanti”, aggettivo inventato dal
nulla[1] come qualificativo dei risultati nel processo
di valutazione dei dipendenti pubblici. Inoltre, “sfidante” non vuol dire
nulla: per un’amministrazione con un significativo arretrato di lavoro può essere
“sfidante” recuperare l’arretrato. Infatti, molte volte si sente ripetere
questo come esempio di obiettivo, senza considerare l’errore di prospettiva di
considerare remunerabile un risultato che mira esclusivamente a rimettere a
pari una situazione di inadempimento e ritardo!
Abbiamo visto sopra che secondo
la Sezione può considerarsi come obiettivo valido e misurabile “una riduzione del 10% dei tempi di attesa di
una prestazione”. Perché dovrebbe essere “sfidante”, se questa riduzione è
il frutto “aver valutato a monte i
fabbisogni espressi dall’utenza e le concrete possibilità di miglioramento del
servizio”, come sempre – giustamente – richiede la stessa Sezione?
L’obiettivo non deve essere “sfidante”,
aggettivo privo di alcun senso, a meno di non intenderlo come “azzardo”. L’obiettivo
deve essere sicuramente realizzabile, altrimenti non avrebbe nessun senso
nemmeno porselo. Ma, deve richiedere la strutturazione di un progetto operativo
per realizzarlo, più o meno complesso. E’ il progetto, le risorse che richiede,
l’impegno necessario a qualificarlo, non la sua considerazione fuggevole e
soggettiva di “sfidante”.
D’altra parte, l’Aran, prima ad
utilizzare l’aggettivo per qualificare i progetti, nel già citato parere 19932
ha ritenuto ammissibili obiettivi volti a modificare l’organizzazione
istituendo turni: dove starebbero i “margini di incertezza” nel raggiungimento
di simile obiettivo, predicati dalla Sezione Veneto?
La quinta condizione pecca, come
le altre, di astrattezza e genericità. Cosa vuol dire che i criteri debbono
essere “ragionevoli” e “trasparenti”? La Sezione prova a rispondere: “la quantificazione delle risorse va fatta
con criteri trasparenti (cioè esplicitati nella relazione
tecnico-finanziaria) e ragionevoli
(cioè basati su un percorso logico e sufficientemente argomentato). E’ necessario,
innanzitutto, che le somme messe a disposizione siano correlate al grado di rilevanza ed importanza dei risultati
attesi, nonché all’impegno aggiuntivo
richiesto alle persone, calcolando, se possibile, il valore di tali prestazioni
aggiuntive (ad esempio, il costo di una nuova organizzazione per turni di
lavoro). Infine, gli incrementi devono essere di entità “ragionevole”, non tali, cioè, da determinare aumenti percentuali eccessivi del “Fondo” o vistose
variazioni in aumento delle retribuzioni accessorie medie pro-capite”.
Un diluvio di aggettivi che non
consentono di definire una formula certa, matematica, per determinare la
quantificazione. La determinatezza e certezza “cartesiana” richiesta alle
amministrazioni non è certo presente nelle linee interpretative di chi predica
rigore e misurabilità.
Vale la pena, però, di
soffermarsi sulle ulteriori argomentazioni proposte dalla Sezione a supporto della
quinta condizione imposta: “Sul punto,
altresì si evidenzia che il contratto decentrato non ha titolo per stabilire
l’incremento delle risorse variabili, la
cui disponibilità deve essere decisa in sede di bilancio di previsione,
sulla base del progetto di miglioramento dei servizi e successivamente
formalizzata (come si dirà) nell’atto formale di costituzione del “Fondo”.
Abbiamo letto bene. La Sezione
afferma che la disponibilità delle risorse variabili deve essere decisa in sede
di bilancio di previsione, nello stesso parere nel quale si sostiene che il
bilancio di previsione, però, non costituisce il fondo…
Almeno, per fortuna, si conferma
che il Ccdi non ha titolo alcuno a stabilire la quantità delle risorse
variabili.
La sesta condizione è
sicuramente corretta e non sarebbe il caso di soffermarsi, se non vi fossero
ulteriori considerazioni degne di nota.
Secondo la Sezione è necessario “che le risorse ex art. 15, comma 5 siano sottoposte
a condizione (in tal senso, occorre prevedere una specifica clausola nel
contratto decentrato). La condizione consiste precisamente nel
raggiungimento degli obiettivi prefissati, verificati e certificati dai servizi
di controllo interno. La effettiva erogazione, pertanto, potrà avvenire solo a
consuntivo e nel rispetto delle modalità e dei criteri definiti nel
contratto decentrato”.
Notiamo:
1. prima
la Sezione, correttamente, afferma che il Ccdi non ha titolo in merito alle
risorse variabili, ma subito dopo afferma che le risorse debbono essere
sottoposte ad una condizione mediante una clausola del contratto decentrato.
Ma, allora, il Ccdi ha titolo o non ha titolo? La risposta è no. Dunque, la
clausola indicata non può e non deve essere inserita, restando evidente
comunque che il premio per il risultato possa essere erogato solo dopo aver
accertato se e in quale misura sia stato conseguito;
2. il
contratto decentrato dovrebbe fissare modalità e criteri per l’erogazione dei
premi.
Il secondo punto è un altro
errore molto grave, costantemente ripetuto da molti, Aran, Mef, interpreti ed
operatori.
Il Ccdi, come abbiamo più volte
ripetuto, ha ad oggetto esclusivamente la fissazione dei criteri di
ripartizione delle risorse. Di altro non deve interessarsi.
Le modalità ed i criteri per l’erogazione
dei premi sono determinati da tutt’altra fonte: il sistema di valutazione
permanente, previsto dall’articolo 6 del Ccnl 31.31.1999 e ulteriormente
regolato dall’articolo 7 del d.lgs 150/2009.
Quindi, il Ccdi non ha alcun
titolo per determinare né le modalità, né i criteri di erogazione del
risultato, né ha senso alcuno che Aran, Mef e Corte dei conti li cerchino nei
contratti decentrati o pensino che questi ne siano la fonte.
E’ un errore gravissimo, fonte
illegittima di contenziosi e procedimenti di accertamento di presunte
illegittimità dei contratti decentrati, fondate su rappresentazioni distorte
della realtà delle norme.
La settima condizione chiude il
cerchio: ancora una volta la Sezione cade in un’insanabile contraddizione, nell’affermare
che le risorse del fondo siano previste nel bilancio annuale di previsione e
nel Dup. Se così è, e in effetti così non può che essere, laddove il bilancio
preveda le risorse anche di parte variabile, non ha alcun rilievo l’eventuale
assenza del formalistico atto dirigenziale di costituzione.
10. Conclusioni. Soltanto prendendo coscienza delle contraddizioni
in termini e degli errori interpretativi e di prospettiva commessi dagli organi
coinvolti a vario titolo nel “controllo” della contrattazione, sarà finalmente
possibile innescare un processo virtuoso e non formalistico.
[1] Secondo l’Accademia della
Crusca nel 2013 non era nemmeno menzionato nei vocabolari: http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/questione-sfidante.
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