A distanza di oltre 4 anni dall’entrata
in vigore della legge 190/2012 appare evidente che il sistema “anticorruzione”
introdotto dalla norma è ben lontano dall’aver colto gli obiettivi prefissati
in modo soddisfacente.
E’ diffusissima la conferma di
una sensazione che chi scrive evidenziò già a suo tempo (L. Oliveri, “Ddl anticorruzione, una valanga di
burocrazia che serve a poco”, in La Settimana degli Enti Locali n. 37 del
22 ottobre 2012, ed Maggioli): si è realizzato un sistema fortemente
burocratico, che richiede una messe enorme di adempimenti e raccolta di dati,
poco capace effettivamente, però, di prevenire la corruzione.
Tra i responsabili della
prevenzione della corruzione il pensiero principale non è quello di porre in
essere azioni di contrasto alla corruzione, ma il rispetto della scadenza per
aggiornare il piano triennale, il quesito se l’aggiornamento debba passare
anche in consiglio comunale, come in modo del tutto infondato richiede l’Anac,
se il dato richiesto tra i 228 imposti dalla griglia sugli adempimenti della
trasparenza sia stato scritto per tempo, se la pubblicazione tra le decine
richieste dall’articolo 29 del d.lgs 50/2016 sia saltata. Il nuovo Moloch, ora,
è l’accesso civico, distinto in accesso civico tout court, riguardante gli atti
da pubblicare obbligatoriamente, e quello “generalizzato”, che consente l’accesso
a tutti i documenti, dati ed informazioni della PA per l’esercizio del
controllo diffuso sulla sua attività, del quale, però, non sono chiari i
confini e meno chiari ancora li hanno resi le Linee Guida Anac in consultazione;
il quesito che si pongono tutti è: che rapporto esiste tra l’accesso civico “generalizzato”
e l’accesso disciplinato dalla legge 241/1990? E, comunque, le Linee Guida
vanno giù con l’imposizione di altri adempimenti: e il registro delle istanze
di accesso, e il regolamento sull’accesso civico, che incredibilmente dovrebbe
integrare le Linee Guida, cioè, in sostanza, supplire a Linee Guida che non
guidano.
E poi vi sono le relazioni
annuali, i referti, e mille altri adempimenti, tra i quali spiccano, per la
loro sostanziale inutilità, le “analisi di contesto”, che però l’Anac richiede
con rigore, tanto da sanzionare quegli enti che non abbiano realizzato analisi
di contesto soddisfacenti (non si fa!).
Tutto un marasma che pare
guardare al dito e non alla Luna che viene indicata.
Qualche piccola dimostrazione
derivante dai fatti di cronaca di questi giorni e, in particolare, dalla
clamorosa inchiesta sul compimento di veri e propri reati di corruzione e
rivelazione di segreti per l’appalto di facility management della Consip.
Il Governo, nei giorni scorsi,
ha prorogato l’incarico di comandante generale dei Carabinieri a Tullio Del
Sette, implicato nell’inchiesta per essere sospettato di aver avvisato i
vertici della Consip dell’esistenza di “cimici” installate su ordine della
magistratura, per intercettazioni ambientali relative all’inchiesta sull’appalto
di facility management, del valore di 2,7 miliardi, il più remunerativo d’Europa.
Alla luce della normativa “anticorruzione”
era opportuna questa proroga?
Non si vuole passare per “giustizialisti”,
che intendono anticipare gli effetti di una condanna, prima che essa sia
eventualmente emessa e poi passata in giudicato. Al contrario, si esprime
fiducia ferrea sulla circostanza che il comandante dei Carabinieri uscirà
assolutamente senza macchia dall’inchiesta.
Occorre, però, avere la capacità
di distinguere la responsabilità penale, da quella amministrativa, intesa non
solo come responsabilità erariale, ma anche complessiva capacità di condurre il
proprio compito al servizio delle istituzioni senza rischi di conflitti di
interesse, che è proprio l’obiettivo della normativa anticorruzione.
Non si deve dimenticare quanto
indica, in proposito, il Piano Nazionale Anticorruzione edito nel 2013, il
primo: “il concetto di corruzione che viene preso a riferimento nel presente
documento ha un’accezione ampia.
Esso è comprensivo delle varie situazioni in cui, nel corso dell’attività amministrativa,
si riscontri l’abuso da parte di un
soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati. Le
situazioni rilevanti sono più ampie
della fattispecie penalistica, che è disciplinata negli artt. 318, 319 e
319 ter, c.p., e sono tali da comprendere non solo l’intera gamma dei delitti
contro la pubblica amministrazione disciplinati nel Titolo II, Capo I, del
codice penale, ma anche le situazioni in
cui – a prescindere dalla rilevanza penale - venga in evidenza un
malfunzionamento dell’amministrazione a causa dell’uso a fini privati delle
funzioni attribuite ovvero l’inquinamento dell’azione amministrativa ab
externo, sia che tale azione abbia successo
sia nel caso in cui rimanga a livello di tentativo”.
Il PNA del 2013 fornisce una
chiara definizione del concetto di “corruzione amministrativa”, distinta dal
reato di corruzione. La corruzione amministrativa si determina quando un’azione
anche non costituente commissione di reato comprometta l’interesse pubblico
perseguito dalla PA e lo “inquini” commistionandolo con interessi privati tali
da rendere anche solo potenziale il rischio che il risultato finale dell’azione
amministrativa possa costituire anche (o solo) un illegittimo vantaggio per il
privato.
Tra i rischi maggiormente rilevanti
ai fini della prevenzione della corruzione amministrativa vi è quello del
conflitto di interessi, cui conseguono forti obblighi di astensione imposti dal
dpr 62/2013.
Alla luce di questa disciplina,
al di là dell’eventuale dovere o opportunità del comandante Del Sette di
dichiarare un proprio conflitto di interessi anche solo potenziale a causa dell’inchiesta
in corso, appare opportuno che il Governo ne proroghi l’incarico? La scelta
della proroga, oggettivamente difficilmente conciliabile con le cautele molto
ampie anticorruzione, non appare in forte contrasto e inspiegabile?
Più di ogni pubblicazione
pignola, di ogni referto, di ogni analisi di contesto, sarebbero necessari atti
concreti e molto simbolici. Appare oggettivamente abbastanza curioso che l’Anac
insista fortemente sulla “rotazione” dei dipendenti, addirittura al punto tale
da affermare, nel PNA 2016 che per i dirigenti essa debba persino rendere
inutile la valutazione ottenuta ai fini dell’assegnazione dell’incarico (tale
visione ha certamente influenzato la pessima riforma Madia della dirigenza,
fortunatamente bloccata dalla provvidenziale sentenza 251/2016 della Consulta),
ma nessuna “rotazione” sia stata prevista dal Governo nel caso del comandante
dei Carabinieri. Nemmeno per la prudenza che il coinvolgimento nell’inchiesta
sulla Consip indubbiamente avrebbe imposto.
La sensazione, dunque, che l’anticorruzione
costituisca più un mare di burocrazia nel quale finiscono per annegare
soprattutto i comuni ed i segretari comunali “di campagna”, più che alti
vertici amministrativi, è fortissima.
Ed è rimasto un vulnus
gravissimo, caratterizzante la riforma sin dalla sua concezione: la normativa
sulla corruzione “amministrativa” prende di mira solo i dipendenti pubblici, ma
non gli organi di governo.
Forse è tempo, dopo gli anni
trascorsi, di un amplissimo intervento correttivo, volto ad eliminare la
valanga di burocrazia e teso a dare sostanza reale ad interventi reali e
concreti, quali un’efficace lotta ai conflitti di interessi. Che passa, per
prima cosa, da incarichi dirigenziali o “esterni” assegnati senza concorsi o
solo per ragioni di appartenenza politica o di “immagine”. Quegli incarichi
assegnati, ad esempio, dall’ex sindaco di Milano, Letizia Brichetto Moratti,
per i quali è stata condannata dalla Sezione d’Appello della Corte dei conti a
risarcire oltre 500 milioni. Tra detti incarichi, 11 nomine a dirigenti
pubblici destinate a persone persino prive di laurea.
La risposta a queste forme di “corruzione”
amministrativa, intesa come sviamento dai fini pubblici che richiedono, nel
caso di specie, una selettività profonda e seria nell’individuazione di chi è chiamato
a guidare settori della PA, non può essere una riforma come quella ipotizzata
dalla legge Madia, volta ad accrescere il potere di arbitrio della politica;
deleteria è stata, nel caso di specie, la prima riforma Madia, il d.l. 90/2014,
che come è noto, intervenendo sull’articolo 90 del d.lgs 267/2000, ha
legittimato proprio la chiamata di persone non laureate negli “staff” politici,
ammettendo che il trattamento economico di costoro possa essere “parametrato” a
quello dei dirigenti veri e propri.
Dietro questo modo di intendere
gli incarichi vi sono pericoli corruttivi enormi: non solo la creazione di una
dirigenza dequalificata, impreparata e selezionata solo per la tessera
politica, ma anche il pericolo che i lauti compensi siano in parte restituiti,
in forme opache, al king maker, come forme di finanziamento nuove ed illecite.
La disciplina anticorruzione
richiede un pronto e necessario rodaggio, anzi una revisione urgente, per
alleggerire la ridda pesantissima ed inaccettabile di adempimenti e concentrare
l’attenzione sui problemi davvero rilevanti, tra i quali la necessità di non
lasciare i responsabili della prevenzione della corruzione da soli: occorre
supportarli con strutture terze ed indipendenti (L. Oliveri, “Ma un segretario
comunale può arginare la corruzione?” in La Voce.info http://www.lavoce.info/archives/35824/ma-un-segretario-comunale-puo-arginare-la-corruzione/).
La sensazione è che il piano anticorruzione e molti altri adempimenti siano uno altro strumento per allontanare funzionari scomodi ma onesti e mantenere quelli comoodi e servizievoli all'interesse del politico da cui dipende il futuro del responsqbile anticorruzione. Nella mia amministrazione ci sono funzionari in aree a rischio da 13 anni e altri per cui dopo meno di 2 anni è opportuna una rotazione. Allo stesso modo questi adempimenti formali e non sostanziali saranno un altro strumento per colpire chi lavora in modo corretto (più si fa più si sbaglia e questa è un'affermazione scientifica, non un'opinione). Quindi massima trasparenza e pubblicità degli atti, ma no ragionato ad adempimenti inutili, anche se poi li facciamo lo stesso perchè così si deve fare.
RispondiEliminaAnticorruzione. un sistema di norme studiato ad uso e consumo di chi deve "aggirarle".
RispondiEliminaIl problema è sempre lo stesso. Chi deve compiere atti "illegittimi" sa come farlo e struttura un rete di connivenze per raggiungere il fine.
Chi "piccolo pesce", per una serie di motivi, finisce nella rete dell'anticorruzione ne pagherà pesantemente le conseguenze, vista la sua "inesperienza".
Intanto ci mettiamo il vestito nuovo, appena stirato e facciamo bella figura (marea di atti, relazioni etc..)..ma sotto il vestito non ci laviamo da mesi....