Il legislatore italiano dimostra
un’ostinazione degna di miglior causa nel tentare da anni di introdurre nel
corpo del codice dei contratti norme che impongano l’impossibile scorporo del
lavoro dalle offerte.
E’ una storia, ormai, tanto
lunga quanto stucchevole. Inizia con l’articolo 4, comma 2, lettera i-bis, del
citato d.l. 70/2011, convertito in legge 106/2011, che introdusse nell’articolo
81 del d.lgs 163/2006 il seguente comma 3-bis: “L’offerta migliore è altresì determinata al netto delle spese relative
al costo del personale, valutato sulla base dei minimi salariali definiti dalla
contrattazione collettiva nazionale di settore tra le organizzazioni sindacali
dei lavoratori e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale, e delle misure di adempimento delle
disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”.
Una norma impossibile da attuare
e guardata con ostilità dalla giurisprudenza, che ha da subito elaborato una
tesi secondo la quale il costo del lavoro possa essere valutato esclusivamente
nell’ambito delle procedure di verifica della congruità delle offerte e non con
meccanismi forzati come quelli imposti dalla prima versione della norma.
L’acclarata inattuabilità della
previsione ricordata sopra le fece fare una vita molto breve. Infatti, venne
abolita dall’articolo 44, comma 2, del d.l. 201/2011, convertito in legge
214/2011.
Però, come rilevato prima, il
Legislatore è ostinato e non poco. Non passano nemmeno 2 anni e ritroviamo la
stessa norma in una versione leggermente differente, introdotta sempre nel
corpo dell’ormai abolito d.lgs 163/2016 dall’articolo 32, comma 7-bis, del d.l.
69/2013, convertito in legge 98/2013 che disponeva: “Il prezzo più basso è
determinato al netto delle spese relative al costo del personale, valutato
sulla base dei minimi salariali definiti dalla contrattazione collettiva
nazionale di settore tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le
organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul
piano nazionale, delle voci retributive previste dalla contrattazione
integrativa di secondo livello e delle misure di adempimento alle disposizioni
in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”.
Insomma, la riedizione della
disposizione introdotta e subito abolita nel 2011, ma limitata alle gare basate
sul criterio del solo massimo ribasso.
Tale criterio, quello del
massimo ribasso, è visto come la causa principale della possibile lesione dei
diritti dei lavoratori, in quanto eccessivi ribassi possono, in linea astratta,
comportare anche l’alterazione dei rapporti contrattuali di lavoro ed impedire
la regolare retribuzione.
Per queste ragioni, il nuovo
codice dei contratti, il d.lgs 50/2016, giunge ad una scelta molto radicale,
per altro non imposta dalle direttive europee che intende attuare: rendere il
criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa sostanzialmente quello
principale, relegando il massimo ribasso (ridenominato, al contrario, “minor
prezzo”) a casi residuali, che richiedono comunque sempre una specifica
motivazione.
Non solo: il criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, ai sensi dell’articolo 95, comma 7, del codice,
può essere elaborato in modo che l'elemento relativo al costo assuma la forma
di un prezzo o costo fisso sulla base del quale gli operatori economici
competeranno solo in base a criteri qualitativi.
Dunque, il nuovo codice dei
contratti, limitando molto la possibilità di utilizzare il criterio del massimo
ribasso da un lato, potenziando l’offerta economicamente più vantaggiosa, dall’altro
e addirittura consentendo espressamente che tale criterio non attribuisca alcun
punteggio all’elemento del prezzo, ha già rimediato ai possibili pericoli di dumping del costo del lavoro, ferma
restando, per altro, comunque la possibilità (e in certi casi la doverosità) di
attivare la valutazione dell’eventuale anomalia dell’offerta. Non a caso, il comma
10 del citato articolo 95 impone agli operatori economici di indicare nell’offerta
i propri costi aziendali concernenti l'adempimento delle disposizioni in
materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Per queste ragioni, il d.lgs
50/2016 ha opportunamente abolito le previsioni del vecchio codice dei
contratti in merito allo scorporo del costo del lavoro.
Abbiamo, però, osservato che il
legislatore è ostinato. Nonostante la mitizzazione dell’offerta economicamente
più vantaggiosa come baluardo contro il pericolo di ribassi eccessivi tali da
ledere il diritto alla corretta retribuzione dei lavoratori (non tenendo conto
che comunque, anche nell’offerta più vantaggiosa esiste un ribasso, a meno che
non sia espressamente escluso in applicazione dell’articolo 95, comma 7),
evidentemente il Legislatore non è ancora contento.
E, dunque, ecco che nello schema
di decreto “correttivo” del codice dei contratti fa capolino l’ennesima
reintroduzione dello “scorporo”. E dunque, nell’articolo 16, comma 23, del
d.lgs 50/2016 si intende introdurre la seguente previsione: “Il costo della manodopera e i costi della
sicurezza sono scorporati dal costo dell’importo assoggettato al ribasso d'asta”.
Il tutto, a disdoro della giurisprudenza constante, della stessa Anac che a più
riprese ha manifestato forti perplessità sul merito, della stessa comprovata
impossibilità materiale di applicare tecnicamente simile previsione.
Sembra incredibile come Governo
e Parlamento non riescano a rassegnarsi al fatto che predeterminare un costo
del lavoro da scorporare è, da un lato, impresa impossibile, mentre dall’altro
crea evidenti distorsioni alle gare e alla concorrenza.
Se, infatti, l’amministrazione
appaltante determina direttamente col bando l’importo del costo del lavoro da
scorporare, si ingerisce impropriamente nella libera concorrenza e in dinamiche
produttive, specifiche delle modalità particolari ed individuali di ciascuna
singola impresa.
Possiamo, qui, riportare il
testo scritto ben 4 anni fa in occasione della riedizione della norma sullo
scorporo, nell’articolo “Torna la folle
norma sul costo del personale negli #appalti”, pubblicato sul Bollettino
Adapt[1] (incredibile
come considerazioni risalenti ad anni fa possano essere riprodotte praticamente
come fossero ancora attuali).
L’innnesto della disposizione citata sopra (cioè l’articolo 4,
comma 2, lettera i-bis, del citato d.l. 70/2011, convertito in legge 106/2011,
nda) avvenne contestualmente quasi
all’introduzione dell’articolo 8 del d.l. 138/2011, convertito in legge
148/2011, che attribuisce alla contrattazione aziendale il potere di derogare
ad ogni norma di legge o di contrattazione collettiva nazionale, in un
ordinamento del lavoro nel quale, per altro, esistono:
a) per ciascun settore di attività molteplici contratti collettivi
nazionali di lavoro;
b) la libertà del datore di lavoro, anche se operante in un certo
settore, di applicare Ccnl di altri settori o di non applicarlo proprio, dando
vita solo a contratti aziendali e individuali.
Era evidente che l’articolo 8 della legge 148/2011, così come le
disposizioni dell’ordinamento del lavoro, vanificassero e rendessero
impossibile applicare seriamente la novellazione a suo tempo apportata
all’articolo 81 del d.lgs 163/2006.
La norma appariva il frutto di cascami di “socialismo reale”
nell’ordinamento, frutto, cioè, dell’idea che possa esistere un sistema univoco
e regolato dall’alto di disciplina dei contratti di lavoro, senza tenere conto
che, al contrario, in un regime di libero mercato e libertà di contrattazione
tale impostazione è semplicemente impensabile, fuori tempo, profondamente
sbagliata e foriera solo di indicibili complicazioni.
Appariva oggettivamente contraddittorio pretendere di determinare un
costo contrattuale “di base” desumibile dalle “tabelle” ministeriali, mentre
nel contempo il diritto del lavoro è stato infarcito di decine di tipologie di
contratti, tali da rendere di fatto solo una formalità le tabelle stesse. Esse
si riferiscono al lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Ma gli oneri connessi al costo del lavoro cambiano tantissimo, in
relazione ad una quantità molteplice di condizioni:
a) utilizzo o meno di straordinari;
b) incidenza della presenza di lavoratori in mobilità indennizzata, che
costano molto meno sia sul piano previdenziale, sia come stipendio (oggi,
la mobilità indennizzata non esiste più; comunque, sia la percezione della
Naspi, sia molte altre condizioni oggettive e soggettive dei lavoratori e delle
imprese, consentono una miriade di sgravi e benefici retributivi e
previdenziali[2]);
c) incidenza della presenza di apprendisti, che costano molto meno sul
piano previdenziale e possono essere anche dequalificati fino a due categorie
per almeno un certo lasso di tempo;
d) incidenza della presenza del part time;
e) possibilità dell’azienda di avvalersi di contratti a chiamata, o
ancora di lavoratori somministrati o collaboratori a progetto (oggi la
collaborazione a progetto è abolita, nda);
f) grado di esternalizzazione delle attività di produzione o di
amministrazione, mediante appalti a terzi (pulizie, stipendi, spedizioni,
magazzinaggio, eccetera).
Tutti sapevano, ma evidentemente non il legislatore, che la selva di
retribuzioni orarie, di aliquote Inps e Inail è vastissima, l’assoggettamento
ad Irap non sempre dovuto, l’onere orario economico, cioè il costo aziendale e
non quello connesso al singola appalto, variegatissimo.
E si concluse: “Insomma, è correttissimo il principio di
tutela dei lavoratori. Ma non è possibile pretendere che essa discenda dalla determinazione
meccanica di criteri posti a garantire il rispetto del costo del lavoro (si
vedrà di seguito che ciò risulta totalmente impossibile per le forniture di
beni). Solo col rafforzamento deciso dei controlli degli ispettorati del lavoro
nei cantieri e l’applicazione di sanzioni rigorose si può ottenere questo
risultato. Il resto è burocrazia e fantasia dell’orrido”.
Tutte considerazioni che possono
essere riprese ed estese anche alla norma che si intende introdurre,
improvvidamente, nel nuovo codice dei contratti. Nella speranza – molto probabilmente
vana – che il Legislatore si ravveda ed eviti di riprodurre per l’ennesima
volta una disposizione inattuabile, impossibile, inutile e fonte solo di
problemi.
[1] Reperibile al seguente
url: https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&cad=rja&uact=8&ved=0ahUKEwjuyK_oqfLSAhVGmBoKHV8vCNsQFggcMAA&url=http%3A%2F%2Fwww.bollettinoadapt.it%2Fold%2Ffiles%2Fdocument%2F22841oliveri_2013_31.docx&usg=AFQjCNHfe7P5MsXhSYzhzB9RsZa1T5_KRQ.
[2] Di seguito, un elenco,
tratto dal volume pubblicato da Anpal servizi (reperibile qui: https://www.cliclavoro.gov.it/Aziende/Incentivi/Documents/guida_incentivi_2017.pdf)
-
Agevolazione per l’assunzione di giovani registrati al
Programma Garanzia Giovani;
-
Incentivo Occupazione Sud;
-
Esonero contributivo assunzione sistema duale;
-
Contratto di apprendistato;
-
Incentivi per l’assunzione con contratto a termine o a
tempo indeterminato di donne prive di impiego da almeno 24 mesi;
-
Incentivi per l’assunzione di lavoratori over ’50
disoccupati da oltre 12 mesi;
-
Incentivi per l’assunzione di lavoratori in CIGS da
almeno 3 mesi e di dipendenti di aziende beneficiarie di CIGS da almeno 6 mesi;
-
Assunzioni agevolate di soggetti svantaggiati nelle
cooperative sociali (L. 381/1991);
-
Persone in esecuzione di pena o di misura di sicurezza
detentiva ;
-
Incentivi per lavoratori con disabilità;
-
Incentivi per giovani genitori;
-
Agevolazioni per Sostituzione di lavoratrici e lavoratori
in congedo di maternità, paternità o parentale ;
-
Deduzioni del costo del lavoro per gli anni 2016-2018,
nel caso di nuove assunzioni col Jobs Act.
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