Racconta sul Corriere della sera del 25 marzo Pietro Ichino in un intervento intitolato "Quel lavoro «marginale» da non mettere a rischio":
"«La sapienza in tavola» è una cooperativa che organizza il lavoro dei detenuti del carcere di Bollate; alcuni di loro sono assunti stabilmente per un servizio permanente di ristorante aperto al pubblico; altri, una quindicina, beneficiando di un regime di detenzione che lo consente, vengono utilizzati occasionalmente, a rotazione, come camerieri per servizi di catering svolti dalla cooperativa fuori dal carcere. L'unico modo per retribuirli regolarmente sono i buoni lavoro. Ora che questi non ci sono più, la loro attività non è più possibile; e con essa non è più possibile per quei quindici reclusi il godimento della misura penitenziaria alternativa, che costituisce la migliore premessa per un reinserimento positivo nella società civile, quando la pena sarà stata interamente scontata. n mondo del lavoro è fatto anche di questi casi. Chiamiamolo come vogliamo: lavoro marginale, accessorio, occasionale; ma non impediamogli di esistere".
L'accento patetico e drammatico va bene. Si tratta pur sempre del lavoro per persone meno fortunate, per le quali ogni possibile forma di aiuto al reinserimento nella società è la benvenuta. Dunque, sicuramente l'abolizione radicale del lavoro accessorio, conosciuto come voucher, è stata certamente un errore poco ponderato.
Detto questo, il giuslavorista Ichino, però, dovrebbe spiegare perchè per consentire a dipendenti di una cooperativa il cui scopo è dare opportunità di lavoro a chi è in carcere "l'unico modo per retribuirli regolarmente sono i buoni lavoro".
Il problema consisterebbe nell'utilizzo a rotazione? Ma, esiste il contratto di lavoro subordinato (anche a tempo determinato) a tempo parziale di tipo verticale, per simili esigenze, sempre che, ovviamente, siano programmabili, come in effetti appare possibile e necessario.
Esiste anche uno specifico modulo contrattuale proprio per le esigenze indicate dall'Ichino; il lavoro intermittente, regolato dall'articolo 13 del mitico Jobs Act, il d.lgs 81/2015.
Non è vero, come da troppe fonti si legge, che tale tipologia di lavoro sia riservata solo agli under 24 e agli over 55. Se i contratti collettivi nazionali di categoria lo disciplinano, si estende a tutti i lavoratori. E "In mancanza di contratto collettivo, i casi di utilizzo del lavoro intermittente sono individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali", come dispone il comma 1 dell'articolo 13 del d.lgs 81/2015.
Le cooperative possono applicare il lavoro a chiamata come e quando vogliono, al posto dei voucher. Basta che lo regolino con i contratti collettivi. Oppure che si attengano alla disciplina ministeriale.
E' vero che il Ministero del lavoro, nonostante siano passati quasi due anni dall'entrata in vigore del d.lgs 81/2015 si è guardato bene dall'approvare il decreto attuativo dell'articolo 13.
Tuttavia, è ancora in vigore il decreto ministeriale 23 ottobre 2004, il cui articolo 1, comma 1, dispone: "E' ammessa la stipulazione di contratti di lavoro intermittente con riferimento alle tipologie di attività indicate nella tabella allegata al regio decreto 6 dicembre 1923, n. 2657".
Se qualcuno ha il sospetto che il decreto ministeriale, risalente al 2004 ed evocante una tabella del 1923 (quando l'Italia era un regno, la Ue non esisteva e il Jobs Act stava nell'Iperuranio), non sia più in vigore, stia tranquillo: il Ministero del lavoro stesso assicura che tutto è ancora vigente.
Tra le attività discontinue per le quali è sempre ammissibile il lavoro intermittente ve n'è qualcuna che possa fare al caso delle cooperative che vogliano impiegare detenuti in attività di ristorazione? Diremmo di sì, questa: "5. Camerieri, personale di servizio e di cucina negli alberghi, trattorie, esercizi pubblici in genere, carrozze letto, carrozze ristoranti e piroscafi, a meno che nelle particolarita` del caso, a giudizio dell'Ispettorato dell'industria e del lavoro, manchino gli estremi di cui all'art. 6 del regolamento 10 settembre 1923, n. 1955".
La conclusione da trarre è una sola: l'informazione secondo la quale per la cooperativa il voucher era l'unico modo di retribuire regolarmente i detenuti non risponde al vero, nè risponde al vero l'affermazione secondo la quale senza i voucher non è possibile per quella cooperativa far svolgere l'attività lavorativa ai detenuti come camerieri.
Non vorremmo che l'impossibiltà assunta, ma non confermata dalle norme, di utilizzare i voucher derivi esclusivamente dalla circostanza che, per molte ragioni, i voucher sono meno costosi del lavoro subordinato o intermittente, perchè non richiedono le comunicazioni obbligatorie, l'apertura di posizioni assicurative e previdenziali, i costi connessi di consulenza del lavoro ed amministrativi e costi orari contrattuali e, dunque, più corposi dei 10 euro lordi del valore facciale del buono, che molti continuano erroneamente a ritenere il valore della prestazione oraria.
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