Ormai è da anni che si assiste alla stessa scena di decreti legge o
decreti legislativi che passano all’esame del Consiglio dei
ministri entro una certa data allo scopo di rispettare scadenze
predeterminate, approvati “salvo intese”, ma senza che il
collegio definisca e, ancor più grave, conosca i contenuti di ciò
che è approvato.
Le vicende della “manovrina” da 3,4 miliardi e del “correttivo”
al codice dei contratti sono l’ennesima conferma di un andamento
consolidatosi nel tempo, in particolare sotto il precedente Governo.
Un modo di gestire il delicatissimo procedimento di formazione delle
norme oggettivamente opaco e, come tale, capace di per sé di
proliferare “manine” che all’apparente insaputa di tutti,
aggiungono o tolgono articoli, commi e codicilli.
Ricordiamo la “manina”, della quale mai si è saputo quale fosse
il braccio, che inserì una mega sanatoria a reati fiscali nella
finanziaria per il 2016.
Un’altra “manina” pare aver agito, senza nessun corpo e
cervello identificati che la manovrassero (come la celeberrima Mano
della famiglia Addams), per abolire il potere di “raccomandazione
vincolante” dell’Anac. Allo stesso tempo, non è dato sapere
quali e quante manine continuino, da oltre 10 giorni, a scrivere,
riscrivere, limare, puntellare la manovra da 3,4 miliardi.
I testi delle norme ed il loro sistema di approvazione divengono un
“giallo”, tale da appassionare tutte le possibili dietrologie
giornalistiche. Così da far passare in assoluto secondo piano
l’elemento sostanziale dei fatti e, cioè, il contenuto concreto
delle norme, la valutazione dei loro possibili effetti, le ragioni di
una certa decisione.
Torniamo al potere di raccomandazione vincolante dell’Anac.
Indubbiamente, la “manina” che lo ha abolito ha commesso un
errore di prospettiva.
Chi scrive lo ripeta da anni: i poteri di controllo dell’Anac vanno
certamente sburocratizzati, ma potenziati, né cancellati, né
diminuiti. L’esperienza di questi 20 anni e più di sostanziale
abolizione totale di controlli esterni preventivi di legittimità è
stata totalmente negativa. La precarizzazione dei segretari comunali,
l’eccessiva visione burocratica degli adempimenti del sistema
anticorruzione che guarda solo alla forma, impedisce la sostanza, gli
organi interni di controllo, nominati dagli stessi controllati, sono
totalmente inefficaci.
Sarebbe grandemente opportuno che l’Anac venisse in parte
modificata, in modo da svolgere non solo funzioni di autorità di
regolazione, ma anche di controllo, preventivo, esterno e di
legittimità. Ciò sarebbe di grandissimo aiuto alle amministrazioni
ed un deterrente vero, costante e continuo.
Guardiamo alla realtà. L’Anac ha acquisito e conserva ancora, ad
esempio, la competenza a ricevere le varianti relative ai contratti
di importo superiore alla soglia comunitaria, entro i 30 giorni
successivi alla loro approvazione, perché eserciti i poteri di
vigilanza e controllo fissati dall’articolo 213 del codice. In
particolare, il comma 6 di detto articolo dispone: “Qualora
accerti l'esistenza di irregolarità, l'Autorità trasmette gli atti
e i propri rilievi agli organi di controllo e, se le irregolarità
hanno rilevanza penale, alle competenti Procure della Repubblica.
Qualora accerti che dalla esecuzione dei contratti pubblici derivi
pregiudizio per il pubblico erario, gli atti e i rilievi sono
trasmessi anche ai soggetti interessati e alla Procura generale della
Corte dei conti”.
Come si nota, le “manine” che scrivono e riscrivono le leggi non
si pongono i problemi della razionalità del funzionamento dei
processi. Il potere di vigilanza dell’Anac, sorprendentemente viene
gestito su provvedimenti già adottati, a danno compiuto. Le
varianti, infatti, prima si adottano e solo poi vengono trasmesse
all’Anac, la quale deve aprire un’istruttoria per valutare se
siano legittime e trasmetterle agli organi di controllo (interni agli
enti), per sollecitare un loro intervento, mentre li può trasmettere
anche alle procure della Repubblica o della Corte dei conti.
Ora, se certamente eliminare il potere di raccomandazione vincolante
determina una riduzione dei poteri di intervento dell’Autorità,
occorre contemporaneamente ammettere che questo modo di disciplinare
i suoi poteri di vigilanza appare piuttosto farraginoso e bizzarro.
Lo scopo delle funzioni di vigilanza e controllo dovrebbe consistere
nell’impedire la formazione del danno, non nello scovarlo
successivamente.
L’intervento sanzionatorio sul comportamento illegittimo già
attuato è competenza della magistratura e degli organi inquirenti.
Si è sempre detto e sostenuto, a ragione, che il sistema
“anticorruzione” di natura amministrativa ha lo scopo di
prevenire la corruzione. Appare evidentemente contraddittorio che
l’Anac, allora, eserciti i suoi poteri di vigilanza dopo che gli
atti siano adottati e non prima.
L’Autorità sostiene, a ragione, di non disporre di troppe forze
lavoro per poter svolgere una funzione pervasiva di controllo
preventivo. Infatti, ha adottato dei metodi virtuosi di
collaborazione con le amministrazioni appaltanti nei casi di appalti
di rilevante interesse: protocolli di intesa che, di fatto, appunto
anticipano i poteri di vigilanza e controllo alla verifica dei
contenuti dei capitolati, dei bandi e dei contratti, prima che siano
adottati.
Il problema, allora, è la troppo contenuta dotazione organica
dell’Anac? Ma, allora, le “manine” dovrebbero porsi e risolvere
il problema di un’estensione dell’organico o della costituzione
di uffici periferici convenzionati con l’Autorità, dotati di
poteri di controllo da esercitare sotto il coordinamento del
Consiglio di amministrazione dell’Anac e sulla base di sue
direttive, perché no in collaborazione con le sezioni regionali
della Corte dei conti.
Il comma 2 dell’articolo 211 del codice dei contratti, che l’ancora
sconosciuta manina ha incautamente abolito, invece di “correggere”
(essendo un decreto “correttivo” quello che il Consiglio dei
ministri ha approvato con non si è capito ancora quanta
consapevolezza), era, in fondo, un’altra bizzarria giuridica ed
operativa.
Si trattava di una stranissima concezione del potere di controllo,
per i seguenti motivi:
-
intanto, era solo eventuale; infatti, il comma 2 attribuiva io potere all’Anac “qualora nell’esercizio delle proprie funzioni, ritenga sussistente un vizio di legittimità in uno degli atti della procedura di gara”; ma, l’esercizio delle attività dell’Anac non è rivolto alla verifica della regolarità degli atti, che, quindi, è solo incidentale ed occasionale, mentre l’esigenza è appunto quella di controlli continuativi e preventivi;
-
il rimedio proposto dalla norma contro gli atti occasionalmente scrutinati e considerati illegittimi era del tutto originale e sconosciuto all’ordinamento; infatti, ai sensi della norma abrogata, l’Anac avrebbe dovuto invitare “mediante atto di raccomandazione la stazione appaltante ad agire in autotutela e a rimuovere altresì gli eventuali effetti degli atti illegittimi, entro un termine non superiore a sessanta giorni”; sovvertendo, dunque, la regola secondo la quale l’autotutela è un moto autonomo dell’amministrazione che ha emesso il provvedimento ritenuto viziato, in modo che la medesima amministrazionelo annulli o revochi, la previsione aveva creato in capo all’Anac il potere di imporre ad un’amministrazione autonoma l’annullamento con una sorta di autotutela indotta dall’esterno. Insomma, esattamente quella sorta di “«annullamento mascherato», non facilmente compatibile con il riparto delle competenze riconosciute alle singole amministrazioni e con il sistema delle autonomie” evidenziato dal Consiglio di stato nel parere 2777/2016, che già nel parere n. 855 del 2016, aveva espresso “motivate riserve sull’introduzione del nuovo istituto”, dovute in particolare all’anomalia “della portata effettuale, sul piano della ragionevolezza e della presunzione di legittimità degli atti amministrativi sino a loro annullamento”. In poche parole, se la funzione è di controllo di legittimità, allora la legge dovrebbe attribuire all’organo di controllo stesso un potere di annullamento. Ma, perché questo sia efficace ed utile ai fini della prevenzione, deve essere preventivo e non successivo, ovviamente;
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la vincolatività della raccomandazione stava nella successiva previsione dell’articolo 211, comma 2, ai sensi della quale si prevedeva che “Il mancato adeguamento della stazione appaltante alla raccomandazione vincolante dell’Autorità entro il termine fissato è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria entro il limite minimo di euro 250 e il limite massimo di euro 25.000, posta a carico del dirigente responsabile”. Una misura sanzionatoria piuttosto strana. Per un verso, come ha osservato il Consiglio di stato nei suoi pareri, la sanzione amministrativa finisce per colpire non l’illegittimità del comportamento della stazione appaltante, ma il “rifiuto di autotutela”, giungendo alla conseguenza obiettivamente paradossale della sanzione per un provvedimento del quale deve presumersi la legittimità, sino a prova contraria; prova acquisibile esclusivamente in sede giurisdizionale. Sicchè il sistema, osservava ancora Palazzo Spada, andava “quasi a prefigurare una inedita «responsabilità da atto legittimo»”. Per altro verso, la sanzione era indirizzata verso la persona fisica e la responsabilità patrimoniale diretta del dirigente responsabile, senza possibilità di scrutinio alcuno delle responsabilità degli organi di governo, pure fortemente influenti nelle procedure di appalto in sede di programmazione e di approvazione delle fasi preliminari della progettazione. Una sorta di responsabilità oggettiva, per altro inidonea ad eliminare comunque il provvedimento dall’ordinamento il provvedimento o l’atto ritenuto illegittimo dall’Anac;
-
infine, per rivendicare la legittimità del proprio operato, la norma avrebbe imposto alle amministrazioni di ricorrere al Tar avverso un provvedimento di invito ad agire in autotutela nei confronti di atti presunti dall’Anac come illegittimi: una stranissima vertenza, avente ad oggetto un invito dell’Autorità ad annullare un provvedimento che nessuno ha accertato, secondo le forme e procedure ordinarie dell’ordinamento, come effettivamente illegittimo. All’epoca dei Co.re.co., le amministrazioni potevano ricorrere al Tar a difesa di propri provvedimenti amministrativi: ma il ricorso riguardava l’atto di annullamento direttamente adottato dal Co.re.co., annullato il quale dal Tar automaticamente il provvedimento oggetto del visto negativo di controllo riacquisiva efficacia. Il giudizio davanti al Tar sollecitato dall’abolita previsione dell’articolo 211, comma 2, avrebbe dovuto accertare in via principale l’illegittimità della raccomandazione vincolante, qualificando in via accessoria il provvedimento oggetto della raccomandazione stessa come legittimo, per quanto il ricorso non avesse ad oggetto quel provvedimento. C’è da aggiungere che ovviamente la decisione del Tar sarebbe stata un presupposto per un’ulteriore vertenza, finalizzata all’annullamento della sanzione amministrativa.
Il Consiglio di stato, senza “manine” che agiscono nell’ombra,
ma in maniera trasparentissima e reiterata, per superare le troppe
incongruenze di una norma dagli obiettivi condivisibilissimi, ma
perseguiti in modo certamente controverso, aveva invitato, dunque, il
Governo a correggerla, ispirandosi ai poteri dell’Autorità anti
trust, che laddove accerti il mancato adeguamento delle
amministrazioni alle proprie raccomandazioni è dotata essa del
potere di ricorrere al Tar contro l’inerzia delle amministrazioni.
Una scelta possibile, certo. Ma, probabilmente, quella più lineare
ed efficace è esattamente quella di dotare l’Anac della doppia
veste di autorità di regolazione e di controllo preventivo, il che
consentirebbe un esercizio del potere di controllo lineare e molto
utile per le amministrazioni. Invece, infatti, di contare su una
“deterrenza” che per chi intende delinquere non ha alcuna utilità
(ma che alla fine rende complicata la vita a chi invece intenda
rispettare le norme e la correttezza), il potere di controllo
consentirebbe una costante e preventiva azione di sbarramento contro
gli atti illegittimi.
Allora, se invece di concentrarsi sulle dietrologie delle manine e,
soprattutto, invece di limitarsi ad approvare i titoli generali delle
norme oppure slide, il Consiglio dei ministri si concentrasse sulla
sostanza, ascoltando gli organi consultivi e, perché no,
l’esperienza di chi agisce in prima linea, forse nelle varie
riunioni del Consiglio finalmente si saprebbe il reale contenuto dei
provvedimenti. Magari si procederebbe più a rilento, con maggiore
fatica, ma con quella ponderazione necessaria ad adottare atti
redatti in modo completo, basati su valutazioni di impatto ben
realizzate, ponderando gli obiettivi politici con quelli generali e
con i vincoli imposti dall’ordinamento. Esattamente ciò che
richiede, per la verità, l’insieme delle vigenti regole di
produzione delle norme, troppo spesso allegramente bypassate da un
“salvo intese”.
Ma il Decreto correttivo chi lo ha approvato, il fantasma formaggino?
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