L'opera, conservata presso la Pinacoteca Ambrosiana di Milano è perfettamente rappresentativa di alcuni tratti fondamentali della pittura del Caravaggio.
Si attribuisce al marchese Vincenzo Giustiniani, che ospitò per qualche tempo il Caravaggio, l'affermazione secondo la quale per il Merisi "tanta manifattura gli era a fare un quadro buono di fiori, come di figure".
Insomma, per Caravaggio l'opera pittorica non è "alta" solo se il suo oggetto è la figura umana. Qualsiasi altra raffigurazione richiede tecnica e dedizione, studio della luce e capacità di resa realistica. Anche una natura morta. E con Caravaggio la natura morta assume un valore in sè che prima mai aveva avuto.
La canestra della Pinacoteca Ambrosiana è un po' rappresentativa di questa "poetica" pittorica, essendo uno sforzo di resa della natura morta davvero straordinario, nel dettaglio, tale da rivelare in pieno proprio l'abilità dell'artista nell'elaborare un "quadro buono di fiori". Con in più quel realismo schietto, concreto, quasi violento, che chiude il capitolo dell'aulicità del rinascimento e del "decoro" manierista, per portare la pittura verso approdi completamente nuovi.
Nel suo "Libro della pittura", l'artista olandese Karel van Mander (contemporaneo del Merisi) così parla del Caravaggio nel 1604: "egli dice infatti che tutte le cose non sono altro che bagatelle, fanciullaggini o baggianate - chiunque le abbia dipinte - se esse non sono fatte dal vero".
E, infatti, la frutta è dipinta tratta esattamente dal vero: fresca se lo è, ma anche bacata, consumata e anche le foglie sono riprese rinsecchite, senza rimandare all'idea della foglia, ma riprendendola esattamente com'è, nella sua realtà tangibile.
Così tangibile che il Caravaggio cerca di far entrare la canestra nello spazio dello spettatore, attraverso l'ingegnosa trovata dell'effetto sporgenza rispetto al piano del tavolo (effetto pittorico che nelle opere del Merisi si incontra molte altre volte: si pensi allo sgabello su cui poggia San Matteo nella pala d'altare della cappella Contarelli a San Luigi dei Francesi).
Il richiamo alla realtà è un altro tratto essenziale della pittura caravaggesca, che per questo aspetto si radica con ogni evidenza nella sua formazione lombarda.
Caravaggio ha avuto naturalmente modo di vedere le opere dei pittori lombardi, una volta entrato a bottega da Simone Peterzano. Ha visto e copiato, disegnato bozzetti che riutilizzerà più volte.
Non gli sarà sfuggita, dunque, la canestra dipinta dal Moretto (Alessandro Bonvicino) nel 1550 circa, contenente i panni per Gesù Bambino, nella Natività (oggi nella Pinacoteca Tosio Martinengo):
Sembra proprio, nelle trame della canestra, esattamente quella che ha dipinto il Caravaggio.
Ma anche la fruttivendola di Vincenzo Campi (Pinacoteca di Brera, 1580 circa) difficilmente sarà sfuggita allo sguardo e all'attenta riproduzione del giovane Merisi, ancora apprendista da Simone Peterzano.
E lo stesso Peterzano può aver influenzato il Caravaggio, col disegno "popolane e polli" (fonte http://www.ottoperotto.org/la-canestra-di-caravaggio/):
Dagli esempi lombardi, Caravaggio ha tratto anche la particolare idea di mettere, talvolta, in primo piano o, comunque sullo stesso piano del soggetto originale, proprio un dettaglio, come la canestra di frutta, che se non è direttamente il "soggetto" del quadro, ne è co-protagonista, come risulta ampiamente evidente nel Fanciullo con canestra di frutta (Galleria Borghese):
Ritroviamo la canestra ambrosiana, con la stessa poetica realistica, particolarmente riscontrabile nello stato visibilmente "vecchio" dell'uva (un frutto da "laboratorio" pittorico") e della foglia del tralcio.
Un'altra canestra in primo piano è stata dipinta nel Bacco conservato agli Uffizi di Firenze:
In questo caso, la trama è meno fitta, ma la resa realistica sempre coerente con la poetica del pittore. Che la riconferma nella versione della Cena in Emmaus conservata nella National Gallery a Londra:
Eccola lì: con le stesse trame fittissime della canestra di Brera e anche in questo caso posizionata al bordo del tavolo, in sporgenza verso lo spettatore, a confermare l'intento del Caravaggio di dare tridimensionalità alle sue figure, utilizzando con estrema sapienza la luce radente e la fuoriuscita, quindi, delle persone e degli oggetti colpiti dall'ombra.
E un omaggio finale alla sua formazione lombarda, al realismo, al primo piano dedicato ad oggetti e non necessariamente ai protagonisti lo si scorge nella natività conservata nel Museo regionale di Messina:
Troviamo una cesta contenente il povero cibo della Sacra Famiglia, tardivo omaggio proprio all'idea del Moretto.
Infine, un'altra annotazione. La canestra conservata alla Pinacoteca Ambrosiana è l'unico quadro pervenuto a noi nel quale il Caravaggio utilizza uno sfondo chiaro, sul giallo ocra.
A molti può venire in mente il confronto con un'altra celeberrima natura morta: i girasoli di Van Gogh, che in alcune versioni hanno uno sfondo giallo:
Van Gogh non è mai stato in Italia e ben difficilmente ha potuto vedere la canestra di frutta. Certamente avrà saputo di caravaggio, visto che il "caravaggismo" ha influenzato moltissimo la pittura olandese e fiamminga, passando per un vero e proprio "caravaggesco, come Gerrit Van Hontorst (Gerardo delle Notti)
Concerto, Galleria Borghese |
o anche per Jan Vermeer, che certo dal caravaggismo ha ripreso l'attenzione al vero e alla tridimensionalità delle figure in relazione alla fonte di luce
Lattaia, Rijksmuseum, Amsterdam |
In qualche misura, il realismo di Caravaggio e la sua attenzione estremamente innovativa per i colori, apre spazi nuovi alla pittura moderna, fino quasi a fare da ponte con l'espressionismo.
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