I quotidiani del 21 giugno
riportano, senza il minimo accento critico, né una ricerca di rispondenza coi
fatti, dati degli effetti della spending review, riportati in un rapporto (http://www.mef.gov.it/inevidenza/documenti/Relazione_Commissario_20_Giugno_2017.pdf)
dal commissario Gutgeld, che se fossero reali, avrebbero già reso l’economia
italiana splendente come mai: si parla di 30 miliardi di risparmi.
Peccato, però, che tra il dire ed
il fare, come sempre, c’è di mezzo la realtà. Come dimostra la tabella
seguente, tratta dall’articolo de Il messaggero “Spending review da 30 miliardi l’anno”, il conteggio dei
mirabolanti risultati è effettuato sul dato lordo della riduzione di capitoli
di spesa del bilancio dello Stato, disposti da una serie di leggi di bilancio:
Ma, leggendo i dati
dell’aggiornamento al Def (Documento di Economia e Finanza) del 2015 e quelli
del Def del 2017, si nota che:
1) la spesa pubblica aumenta, invece di
diminuire;
2) voci come quelle per consumi intermedi
(appalti) e pensioni, continuano ad aumentare;
3) il totale delle spese correnti continua ad
aumentare.
Insomma, dei 30 miliardi
“risparmiati” non si ha traccia. Meno che mai se si guarda la voce “interessi
passivi”.
La ragione di ciò è semplice: un
risparmio è tale se si tratta di una spesa che non viene più effettuata. Invece
di spendere 1000, spendo 999, così me ne resta 1. Se, però, la mia spesa è
1000, ne taglio 30, ma ne spendo 31, alla fine mi ritrovo con una spesa totale
di 1001.
Lo ha già spiegato un ex
commissario alla spending review, Roberto Perotti, nell’intervista rilasciata
al Corriere della sera il 3 settembre 2016 dal titolo “Spesa pubblica, Perotti: «Dalle partecipate ai troppi sussidi, ecco
perché le riforme hanno fallito»”. Domanda dell’intervistatore Federico
Fubini: “Il presidente del Consiglio, il
ministro dell’Economia e il commissario alla “spending review” ripetono che la
spesa pubblica è stata ridotta dal 2014 di 25 miliardi. Non è una cifra banale,
è quasi 2% del Pil”. Risposta di Perotti: “Questa non è un’affermazione inesatta ma è altamente ingannevole, nel senso i capitoli che sono stati
ridotti, se si mettono insieme, lo sono stati per circa 25 miliardi. Poi ce ne sono stati altri che sono stati
aumentati in maniera equivalente. Quindi, al netto, la spesa pubblica non è
diminuita. Poi si può discutere se la riduzione da 25 miliardi sia stata
una buona cosa per fare spazio a misure più utili. Su quello ognuno ha la sua
opinione”.
Le tabelle del Def sono la
dimostrazione palese della correttezza del ragionamento di Riberto Perotti:
nella realtà, non c’è alcun risparmio e, anzi, la spesa pubblica continua a
crescere, come cresce il debito pubblico, come continua a crescere il deficit.
I media, indifferenti alla realtà
completamente diversa dal rapporto di Gutgeld, poi insistono su tre “fonti” di
risparmio assolutamente fuori mira.
Si attribuiscono, infatti, alla
spending review i meriti per il calo della spesa pubblica conness alla spesa
del personale: peccato, però, che la pensata del tetto al turn over non sia né
di Gutgeld, né sia recente: risale al 2003 e, in effetti, produce l’unica curva
discendente delle voci disaggregate della spesa pubblica, come dimostrano le
tabelle pubblicate sopra.
La spesa per consumi intermedi
(appalti di forniture e servizi), invece, è in salita tendenziale. Strumenti
come l’aggregazione delle stazioni appaltanti non servono per nulla a
diminuirla. Né la Consip
ha alcuna efficacia: si continua a parlare di “risparmi” prodotti dalla società
pubblica di appalto, puntando alla presunta riduzione dei “prezzi unitari” dei
loro appalti, quando, invece, occorrerebbe capire quale sia il valore
complessivo della spesa. Per altro, i fatti di cronaca dovrebbero aver fatto
capire che la Consip
proprio non è in grado di assicurare realmente nessun risparmio vero di spesa,
specie sugli appalti di grandi dimensioni.
Poi, c’è sempre il ritorno al
populismo della riforma delle province. Quella grazie alla quale ci avevano
detto che si sarebbero risparmiati miliardi e miliardi. Quanti? Sono state
sparate negli anni le cifre più assurde. La Confesercenti nel
marzo 2014 stimò 4,5 miliardi di risparmi (http://www.confesercenti.it/blog/province-confesercenti-auspichiamo-approvazione-ddl-ma-sia-solo-primo-passo-da-soppressione-totale-delle-province-possibili-45-miliardi-di-risparmi/);
sui media addirittura qualcuno pensò che la “abolizione” delle province, che
all’epoca dell’avvio della sciagura che è stata ed è la legge Delrio avevano
una spesa complessiva di circa 12 miliardi, potesse produrre appunto una
riduzione della spesa pari a 12 miliardi: come se, cancellato l’ente che
gestisce alcuni servizi, si cancellassero i servizi stessi, come se sparissero
le scuole superiori (oltre 5.000 edifici), le strade provinciali (oltre 130
mila chilometri), la rete dei trasporti provinciali, la rete dei servizi
scolastici.
Non era, ovviamente, così. Né
l’intervento sulle province produce risparmio alcuno: è solo una partita di
giro. Infatti, la legge 190/2014, che regola la disciplina della spesa di
questi enti, impone loro di ridurre la spesa corrente di 3 miliardi a regime a
partire dal 2017; ma, come qualsiasi cittadino dovrebbe aver capito, questi 3
miliardi non corrispondono ad un taglio di spesa e simmetrica diminuzione delle
tasse. Le tasse provinciali (prevalentemente addizionali su polizze Rc auto e
compravendita di veicoli) non sono per nulla diminuite: il gettito delle
entrate delle province è rimasto identico, solo che dei finanziamenti raccolti
dai cittadini, le province debbono impiegarne 3 miliardi da dare allo Stato,
che poi li spende per i propri fini.
Dunque, i risparmi “miliardari”
semplicemente non potevano esserci. Ora, il rapporto di Gutgeld afferma che vi
sarebbero 843 milioni di risparmio l’anno, direttamente derivanti dalla riforma
delle province. Ammettendo che ciò sia corretto, si tratterebbe dello
stratosferico risultato di riduzione della spesa pubblica di ben lo 0,1%! Roba
che si risanano i conti non solo dell’Italia, ma dell’intero orbe terracqueo.
Il rapporto non spiega come si
sarebbero determinati gli 843 milioni di risparmio. Anche fossero realmente
stati conseguiti, c’è da ricordare che la SoSe , società che ha dato manforte ai conteggi
realizzati all’epoca della riforma Delrio sulla “sostenibilità” del prelievo
forzoso dei 3 miliardi descritto prima, ha rifatto i conti e si è accorta solo
di recente che, in realtà, la riforma ha prodotto per le sole province un buco
di 651 milioni.
La somma algebrica, quindi, evidenzia che anche per le province
il fantasmagorico risparmio dello 0,1% della spesa pubblica è solo oggetto di
fantasia e di articoli giornalistici molto, troppo, refrattari all’analisi dei
fatti.
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