Il Giornale del 7 luglio 2017 torna sulla relazione dell'Anac relativa alla propria attività con l'articolo "Bella la trasparenza, ma ai burocrati piace poco".
Un titolo che riassume tutto e instilla nei lettori la certezza che la "burocrazia", cioè i dipendenti pubblici ed in particolare i loro vertici, siano contro la trasparenza.
Ed a conferma di questa impressione, l'articolo riporta alcuni passaggi virgolettati, attribuiti al presidente dell'Anac: "«Per trasformarla in un casa di vetro, nel 2016 la pubblica amministrazione è stata sottoposta ad un intervento normativo epocale», come l'obbligo alla pubblicazione dei compensi e l'aumento del numero degli enti tenuti alla prova finestra. Ma una buona parte della dirigenza della Pa, racconta il presidente dell'Anac, «si è rivoltata»".
Ora, vediamo i fatti. Secondo il vocabolario on lin della Trccani, rivolta è "L’azione e il fatto di rivoltarsi contro l’ordine e il potere costituito (è più che sommossa, ma indica azione più improvvisa e meno estesa e organizzata rispetto a rivoluzione)". L'atto rivoltoso, dunque, consiste nell'intento di violare norme e regole, con la forza, per sostituirle con altre.
E' questo quello che è accaduto? Vediamo. E' successo che la riforma Madia ha modificato la cosiddetta legge sulla trasparenza, il d.lgs 33/2013 inserendo nell'articolo 14 un comma 1-bis, che ha esteso ai dirigenti gli obblighi di pubblicazione dei loro patrimoni, già previsti a carico dei componenti degli organi politici.
Fermiamoci un attimo: il punto critico non consiste nell'obbligo di pubblicare i compensi, che esiste ed è attuato, senza rivolta alcuna, dal 2009: basta andare in giro per i siti delle pubbliche amministrazione nella sezione "amministrazione trasparente" ed è facile individuare i dati sulle retribuzioni dei dirigenti. Il punto critico riguarda, dunque, la pubblicazione dei dati patrimoniali: dichiarazioni dei redditi ed altre dichiarazioni su beni di proprietà, mobili ed immobili.
Altra precisazione: le amministrazioni pubbliche dispongono di questi dati da anni, dal 1997 almeno: i dirigenti sono tenuti a rilasciarle e depositarle. Non sono atti segreti e, quindi, il datore pubblico può accedervi per fare tutte le valutazioni che ritiene opportune. La novità del cosiddetto Foia, quindi, sarebbe consistita nel pubblicare dichiarazioni patrimoniali che i dirigenti da anni già rendono alle PA presso le quali lavorano.
Torniamo ai fatti. Avverso il citato articolo 14, comma 1-bis, del d.lgs 33/2013, alcuni dirigenti del Garante della privacy hanno proposto ricorso al Tar Lazio, che con ordinanza 2 marzo 2017, n. 1030, ha sospeso gli obblighi di pubblicazione.
Muovere ricorso ad un giudice, esercitando diritti previsti dalla Costituzione e nelle forme normativamente previste costituisce atto di "rivolta"? Diremmo di no. Specialmente se, quel giudice adito, accogliendo la sospensione, evidenzia problemi di legittimità sia delle disposizioni attuative dell'obbligo previsto dalla norma, sia di costituzionalità della norma stessa, come avvenuto nel caso di specie. O si pensa che ai dirigenti pubblici sia negato un diritto costituzionalmente garantito? Oppure, come sempre, si getta la croce addosso ai Tar?
Strana, quindi, questa presa di posizione del presidente dell'Anac che considera una "rivolta" l'azione della dirigenza, finalizzata a verificare quanto legittime siano norme che impongano la pubblicazione dei patrimoni dei civil servant.
Strana, soprattutto perchè la stessa Anac sulla tenuta costituzionale dell'obbligo previsto dall'articolo 14, comma 1-bis, del d.lgs 33/2013, si era dimostrata molto perplessa, prima ancora dell'intervento del Tar Lazio. Nella delibera dell'Autorità 8.3.2017, n. 241, contenente le Linee Guida per attuare gli obblighi di cui si parla, si legge: "Come già sopra evidenziato (cfr. § 2), l’Autorità ha espresso forti perplessità sulla disposizione in esame, specie per quel che concerne l’ostensione dei dati reddituali e patrimoniali, tenuto conto che ai dirigenti comunque si applica la norma che stabilisce la pubblicazione degli emolumenti percepiti a carico della finanza pubblica (art. 14, co. 1-ter)".
Dunque, stando ai fatti e non agli articoli dei giornali:
1) l'Anac stessa non era convinta della correttezza dell'articolo 14, comma 1-bis;
2) l'Anac stessa precisa che i dirigenti pubblici comunque erano già obbligati a pubblicare gli emolumenti (cioè gli stipendi).
La delibera 241/2017 è stata poi sospesa dall'Anac a seguito della sentenza del Tar Lazio. Ma, allora, si impongono altre considerazioni:
1) come dimostrato, a non essere per nulla convinta sulla correttezza normativa dell'articolo 14, comma 1-bis, del d.lgs 33/2013, era l'Anac stessa, prima ancora che si pronunciasse il Tar Lazio;
2) in ogni caso, se l'Anac fosse stata davvero persuasa che il ricorso al Tar dei dirigenti del Garante della privacy fosse stato un atto di rivolta contro una normativa corretta e da applicare, avrebbe certamente potuto non sospendere l'efficacia delle proprie Linee Guida e pretendere comunque l'adempimento.
Alla luce di questi fatti, provati da atti e documenti, si impone la domanda: siamo proprio sicuri che vi sia stata una "rivolta" dei dirigenti contro l'obbligo di pubblicare gli stipendi? Non sarebbe opportuno rettificare quanto pubblicato erroneamente sui giornali?
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