Ancora una volta si deve
registrare il dato sconfortante che in Italia la “lotta alla corruzione” altro
non è se non forma e carico burocratico insopportabile, ma pochissima sostanza.
Ne è dimostrazione lampante la
paradossale questione normativa posta dal d.lgs 50/2016 e dalle Linee Guida
Anac 3/2016 relativamente alla composizione delle commissioni di gara.
L’assunto è, sostanzialmente, che
delle commissioni, obbligatorie quando il criterio di gara è quello
dell’offerta economicamente più vantaggiosa, debbano fare parte delle
“vestali”, vergini di ogni partecipazione alle procedure di formazione della
documentazione tecnica e con la mente totalmente sgombra da qualsiasi
cognizione tecnica allo scopo realizzata e, soprattutto, da ogni
condizionamento.
Quella parte della giurisprudenza
che ha abbracciato questo concetto così radicale e fideistico
dell’anticorruzione non ammette zone grigie o necessità organizzative. Sicchè,
di recente il Tar Puglia-Lecce, Sezione II, con la sentenza 29 giugno 2017, n.
1074 è giunto alla più estrema delle conclusioni radicali: nonostante le chiare
previsioni dell’articolo 107, comma 3, del d.lgs 267/2000, il dirigente o
responsabile del servizio competente a gestire il contratto non può e non deve
mai (mai e poi mai) presiedere la gara.
E’ il Tar Lecce a spiegare il
perché: “E’ invece emerso, come correttamente dedotto dalla difesa
dell’associazione, che il Presidente della Commissione, dottor […], nominato in
tale veste con determina dirigenziale n. 642 del 15 settembre 2016 ha redatto,
approvato e sottoscritto l’Avviso Pubblico di indizione della gara, di cui alla
determina n. 423/2016 del 22 giugno 2016, e tanto nella distinta veste di Dirigente
al Patrimonio.
La preventiva redazione
dell’atto inditivo della gara controversa è tale da determinare la
situazione di incompatibilità che la norma sopra richiamata ha inteso scongiurare.
E’ infatti evidente la
finalità, perseguita dall’art. 77 comma 4 citato, di evitare che uno
dei componenti della Commissione, proprio per il fatto di avere svolto in
precedenza attività strettamente correlata al contratto del cui affidamento si
tratta, non sia in grado di esercitare la delicatissima funzione di giudice
della gara in condizione di effettiva imparzialità e di terzietà rispetto
agli operatori economici in competizione tra di loro.
Ritiene il Collegio di dover
precisare, sul punto, che il principio di imparzialità dei componenti del
seggio di gara va declinato nel senso di garantire loro la cd virgin
mind, ossia la totale mancanza di un pregiudizio nei
riguardi dei partecipanti alla gara stessa.
Tale pregiudizio può essere
agevolmente rintracciato in un caso come quello qui in esame, posto che la predisposizione,
da parte del Presidente della Commissione di gara, addirittura delle c.d.
regole del gioco può influenzare la successiva attività di arbitro della gara”.
Come si nota, il Tar è davvero
alla ricerca di “menti vergini”, proprio come le “vestali” cui si alludeva
prima, certamente spinto verso questa concezione dalle previsioni normative,
l’articolo 77, comma 4, del codice dei contratti, da un lato, e le Linee Guida
3/2016, dall’altro.
Se, tuttavia, il richiamo alle
norme può in qualche misura convincere della decisione assunta dal Tar
Puglia-Lecce, le ragioni addotte appaiono totalmente infondate e debolissime.
Non c’è dubbio che il legislatore
ritenga di dover assicurare imparzialità assoluta nell’operato della
commissione di gara. Ma, il problema della garanzia di tale imparzialità non
consiste certo nella circostanza che della commissione possa far parte il
presidente o il Rup per ciò solo.
Il Tar si limita ad enunciare
(qui sostanzialmente rifacendosi in modo acritico alle indicazioni astratte del
codice) che la predisposizione di qualsiasi documento di gara potrebbe
costituire un “pregiudizio” nei confronti dei partecipanti alla gara. Ma, il
Tar non fornisce alcuna risposta alla domanda lecita, che riguarda anche il
contenuto dell’articolo 77, comma 4, del codice: perché mai l’aver predisposto
atti di gara espone ad un conflitto di interessi?
Il ragionamento che l’aver
scritto le “regole del gioco” possa influenzare la successiva funzione di
arbitro fa acqua da tutte le parti: è un postulato indimostrato e
indimostrabile.
La commissione di gara potrebbe
formarsi un “pregiudizio” sui partecipanti, alla luce del fatto che alcuni
componenti della commissione abbiano scritto le regole del gioco, solo ove si
dimostrasse che detti componenti:
1)
abbiano scelto discrezionalmente i partecipanti alla gara
stessa;
2)
abbiano violato segreto d’ufficio, principi di riservatezza,
concorrenzialità, parità di condizioni e tutte le regole del Piano Nazionale
Anticorruzione, del piano triennale del singolo ente e del dpr 62 /2013,
commettendo reati, violazioni amministrative e disciplinari.
Stando così le cose, i modi per
porre rimedio ai pericoli gestionali delle gare potrebbero essere molteplici:
1)
vietare in modo assoluto e inderogabile che nelle commissioni
di gara possano esser presenti soggetti che a qualsiasi titolo non abbiano
redatto gli atti, ma abbiano, invece, identificato in via discrezionale gli
operatori economici da invitare: in questo caso, infatti, il rischio di fuga di
notizie o di turbativa d’asta per aver scelto esattamente le ditte inidonee a
far vincere “l’amico” è elevatissimo. Ovviamente, questo tipo di rischio viene
ridotto in modo drastico nel caso delle procedure aperte o ristrette o quando
per la selezione di operatori economici anche nelle procedure regolate
dall’articolo 36 del codice non ci si affidi alla discrezionalità, ma si
utilizzino avvisi per la manifestazione di interesse, oppure metodi di scelta
di chi invitare del tutto sganciati da un’attività positiva di chiunque, come
l’estrazione a sorte da un albo;
2)
prevedere un’espressa presunzione di propensione a delinquere
di dirigenti o responsabili di servizio e Rup e stabilire, in ogni caso e
sempre, qualsiasi siano sistemi di gara e criteri di gara, un divieto totale ed
inderogabile di far parte della commissione.
Il Tar Puglia Lecce pare convinto
che la seconda soluzione possibile sia in effetti vigente. Ma, allo scopo, la
sentenza non ha tenuto conto che la conclusione radicale adottata si va a
scontrare frontalmente col già ricordato articolo 107, comma 3, del d.lgs
267/2000, ai sensi del quale ai dirigenti o ai responsabili di servizio si
assegna la responsabilità delle procedure di gara.
Ora, occorre intendersi sul
concetto di “responsabilità”. In qualsiasi organizzazione privata, la qualifica
di “responsabile” costituisce un incarico gratificante: consente, infatti,
l’esercizio di poteri operativi e decisionali, nonché di spesa. Il
“responsabile” assume le decisioni afferenti il ramo organizzativo ad esso
sottoposto.
Troppe volte, invece,
nell’organizzazione pubblica la qualificazione di qualsiasi incarico come
“responsabile” assume un valore solo formale. Il “responsabile” nella PA non è
tanto o solo chi è preposto a dirigere strutture o, comunque, a gestire
procedimenti, ma soprattutto chi risponde al giudice penale, civile e
contabile. L’impostazione organizzativa dell’intreccio paradossale delle leggi
italiane, però, talvolta giunge al paradosso che l’agnello sacrificale del
“responsabile” in certi casi non debba poter svolgere le funzioni per le quali
si giustifica la propria responsabilità: nel caso degli appalti, esattamente
quella di condurre la procedura, assumendosi appunto la responsabilità di
redigere atti di gara accurati, di conoscerne a fondo i contenuti e la ratio e
di utilizzare le regole del gioco ben note, allo scopo di garantire un
funzionamento efficiente della commissione di gara.
E’ questo il fine evidente
dell’articolo 107, comma 3, del d.lgs 267/2000. Il quale, ha, tuttavia, un
altro fine più implicito: quello della razionalizzazione organizzativa.
Il legislatore, l’Anac e certa
parte della giurisprudenza evidentemente (ed incredibilmente) non hanno ancora
preso atto moltissimi enti locali (ma anche tante altri enti) sono
amministrazioni di modeste dimensioni, con poco personale disponibile. La
grandissima parte dei comuni italiani difficilmente giunge ad avere un organico
di 30 dipendenti; tra questi, le figure dei responsabili di servizio sono
poche, spesso debbono coincidere per ragioni organizzative con i Rup e, comunque,
poiché si tratta di competenze settorializzate, le disponibilità di restanti
dipendenti, fatti fuori vertice del servizio e Rup, per comporre in modo
competente e “dignitoso” le commissioni, sono ridotte al lumicino; tanto che
avvalersi di altri dipendenti (sempre che ne esistano dotati delle necessarie
competenze) estranei al servizio che ha redatto gli atti, significa
distoglierli da altre attività correnti, creando buchi organizzativi e
lavorativi irrimediabili.
Sorge, dunque, molto forte
l’impressione che questo modo di intendere profondamente radicale l’assunta
incompatibilità tra responsabile di servizio e/o Rup ed incarico di componente
delle commissioni sia un modo per forzare comunque gli enti ad avvalersi delle
centrali uniche d’appalto o dei soggetti aggregatori, così da raggiungere
l’obiettivo da anni sempre evidenziato della riduzione drastica del numero
delle stazioni appaltanti. Per altro, proprio le Linee Guida relative al Rup,
che richiedono requisiti professionali e titoli di studio troppo elevati perché
in enti di piccole dimensioni sia possibile reperirli in numero sufficiente,
nonché il sistema ancora non avviato della qualificazione delle stazioni
appaltanti, appaiono l’approdo ad un sistema finalizzato ad espropriare di ogni
autonomia gli enti, ed affidarsi appunto solo alle centrali di committenza. Con
la scommessa che poche decine di soggetti si rivelino davvero capaci nel futuro
di gestire appalti per conto di decine di migliaia di amministrazioni
richiedenti: scommessa persa in partenza, anche se occorrerà ovviamente
aspettare anni perché i dati confermino questo semplicissimo vaticinio.
La cosa che maggiormente desta
sconforto nell’analizzare posizioni interpretative come quelle del Tar
Puglia-Lecce è la consapevolezza che il radicalismo ivi presente si scontra
oltre tutto con norme ed interpretazioni attuative che vorrebbero a loro volta
essere assolute, tetragone ed in scalfibili, ma assolutamente tali non sono e
per questo scatenano infinite questioni interpretative, tali che in
giurisprudenza si formino filoni totalmente opposti a quello del Tar
Puglia-Lecce. Con la conseguenza esiziale che il contenzioso sia destinato a
lievitare sempre e comunque.
Non è da sottovalutare che, a
proposito della possibilità che il Rup faccia parte delle commissioni (e
ricordiamo che anche il dirigente o responsabile di servizio può rivestire la
qualifica di Rup) il “correttivo” al codice, dimostrando quanto incerto,
ondivago e dubitabondo sia il legislatore, ha modificato proprio l’articolo 77,
comma 4, del codice, il cui ultimo periodo dispone: “La nomina del RUP a
membro delle commissioni di gara è valutata con riferimento alla singola
procedura”. Dunque, è lo stesso legislatore a contraddire l’assunto del Tar
Puglia-Lecce, secondo il quale ciascuna amministrazione dovrebbe dotarsi di un
tempio sacro, nel quale sacerdoti e sacerdotesse vergini magari non solo nella
mente siano allevati per darsi, a seguito di sacra invocazione, all’opera in
una commissione di gara: il Rup, che certamente svolge funzioni o incarichi
tecnici ed amministrativi nella procedura, non è vero che sia in assoluto ed in
modo inderogabile escluso dalla possibilità di far parte della commissione. La
legge ora assegna alle singole stazioni appaltanti il compito di “valutare” se
ricorrano di volta in volta presupposti perché il Rup faccia parte della
commissione.
Una norma, questa introdotta dal correttivo, che nel
dimostrare la debolezza complessiva degli assunti radicali della
incompatibilità tra componente delle commissioni e partecipante alla fase
preparatoria degli atti di gara, sarà comunque foriera di ulteriori
cortocircuiti. Infatti, rimette alla motivazione delle amministrazioni la
tenuta sul piano della legittimità degli incarichi ai Rup come commissari: non
vi è il minimo dubbio che la completezza, profondità e correttezza delle
motivazioni costituiranno altra carne da mettere al fuoco dei ricorsi e
dell’infinito contenzioso.
Ma, in
proposito è da ricordare che nemmeno l’Anac si era dimostrata così convinta che
il Rup, in effetti, dovesse restare sempre e soltanto estraneo alla
commissione. Ricordiamo quanto dispongono le Linee
Guida 3 al punto 2.2., ultimo periodo: “Il ruolo di RUP è, di regola,
incompatibile con le funzioni di commissario di gara e di presidente della
commissione giudicatrice (art. 77, comma 4 del Codice), ferme restando le
acquisizioni giurisprudenziali in materia di possibile coincidenza”.
Lungi, dunque,
dall’aver chiarito con una presa di posizione drastica che il Rup sia sempre e
necessariamente da escludere dal far parte delle commissioni, l’Anac, al
contrario:
1)
utilizza la formulazione sfortunatissima del “di regola”, alla
quale si fa ricorso per, sostanzialmente, affermare che la “regola” non sia
affatto tale e che, dunque, quanto da essa previsto sia solo un’indicazione non
cogente;
2)
ha accettato le indicazioni del Consiglio di stato espresse
nel parere relativo proprio alle Linee Guida poi sfociate nelle LG 3/2016, di
tenere conto della giurisprudenza di Palazzo Spada, da anni orientata a considerare
legittima la presidenza della commissione di gara da parte di dirigenti e
responsabili di servizio negli enti locali e, conseguentemente, anche del Rup.
Pertanto, la stessa normativa,
sia “hard” (il codice) sia “soft”, le Linee Giuda, non è affatto allineata su
posizioni estreme ed assolute quali quelle del Tar Puglia-Lecce, la cui
sentenza si preannuncia, quindi, come facilmente oggetto di futura profonda
revisione, se sarà appellata davanti al Consiglio di stato.
Per altro, a pochissimi giorni di
distanza, il Tar Veneto, Sezione I, con sentenza 7 luglio 2017, n. 660 è giunto
ad una decisione totalmente opposta a quella del Tar Puglia, affermando che la
legge non vada intesa nel senso che disponga un’astratta ed inderogabile
incompatibilità tra commissari di gara e ruoli di dirigente/responsabile di
servizio e Rup, ma che, al contrario, occorre la “concreta dimostrazione
dell’incompatibilità sotto il profilo dell’interferenza sulle rispettive
funzioni assegnate al RUP e alla Commissione”; in ciò il Tar Veneto si
adegua alla pregressa giurisprudenza del Consiglio di stato, indirettamente
richiamata dalle Linee Guida Anac 3/2016.
La posizione del Tar Veneto, in
conflitto frontale con quella del Tar Puglia-Lecce, per quanto da considerare
condivisibile, ponderata, corretta ed utile per superare le disfunzioni
organizzative irrimediabili determinate da letture radicali della normativa,
purtroppo non può rallegrare più di tanto. Essa conferma che il tema della
composizione delle commissioni di gara è inaccettabilmente complesso e fonte di
mille contrasti e contenziosi.
Il nuovo codice dei contratti è
stato più volte fatto passare come fonte di semplificazione delle procedure per
il “rilancio” degli appalti. Come si nota, invece, è stato ed è causa di
complicazioni infinte, anche su temi come quello della composizione delle
commissioni di gara, che sul piano della sostanza hanno incidenza pari a zero,
a meno che non si verifichino reati di turbativa d’asta, che nemmeno la
presenza di sacerdotesse votate alla verginità della mente può del tutto
scongiurare. Tutta questa inaccettabile confusione, questa complicazione,
questo contenzioso sarebbe e dovrebbe essere evitato se solo il legislatore per
una volta utilizzasse una chiarezza da sistema binario e ci dicesse in modo
incontestabile cosa è consentito e cosa no, puntando, per una volta, davvero
all’efficienza dell’organizzazione, senza limitarsi ad enunciarla.
Io sono d'accordo con il TAR Puglia. Per una questione di principio. Non è solo il TAR Puglia a pensare che noi dipendenti pubblici specie se dirigenti o responsabili di qualcosa, siamo corrotti per defonizione. Ma anche ANAC, stampa, certi professoroni universitari, molti politici (!!!). E allora perche volere svolgere gare nel dubbio che un benpensante qualsiasi ci accusi di avere interesse e faccia annullare la procedura? Io addirittura escluderei non solo la regione, ma anche il continente dove si vive. Quindi noi europei solo gare in Australia o Asia o ....perché anche leggendo i giornali si può perdere la verginità di giudizio, o leggendo sentenze amministrative anche della Corte di Giustizua, che riguardano un'impresa partecipante...
RispondiEliminaVerrebbe da dire.."tu vo fa l'americano". E' il concetto di giuria popolare del sistema americano. prendiamo l'umo della strada e facciamogli far parte della commissione. Molto più semplice. Anzi no perché poi l'anac vuole che chi en fa parte abbia un certo tipo di curriculum...Penso che l'anac non sappia più che pesci prendere, una botta a dx ed una a sx cercando di raddrizzare la rotta..
RispondiEliminaCi sarebbe poi da considerare che l'art. 107 del T.U.E.L. rappresenta normativa speciale rispetto al Codice dei Contratti, che è normativa generale sui contratti pubblici e, in virtù di tale rapporto di specialità, le disposizioni di quest'ultimo, in contrasto con il T.U.E.L., cedono. Come era già successo con la ex legge 109 sui lavori pubblici.
RispondiEliminaVorrei capire in tutto ciò il ruolo delle Centrali Uniche di Committenza
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