La riforma del lavoro pubblico
attivata col d.lgs 75/2017 fornisce l’importante occasione di
riattivare la contrattazione nazionale collettiva e, soprattutto, di
rivederne profondamente i criteri per la costituzione e gestione dei
fondi.
E’ noto quanto
inaccettabilmente ampio sia il contenzioso maturato nel corso dei
quasi 18 anni di piena applicazione della “privatizzazione del
rapporto di lavoro”, dovuto, certo, a una tecnica contrattuale non
sempre corretta da parte delle PA (complici richieste sindacali molto
spesso al di là di ogni possibile vincolo normativo e di spesa,
troppe volte assecondate senza tenere conto delle conseguenze, ma
anche e soprattutto all’opacità totale delle regole di gestione.
La determinazione dell’ammontare
dei fondi è un rompicapo irrisolvibile. Una serie di regole tra loro
affastellate, che si inseguono e si richiamano confusamente, ha reso
inestricabile il rebus operativo. Tanto che i gestori operativi
dovrebbero trasformarsi in molossi, che prima di permettere la
contrattazione debbono rideterminare totalmente gli ammontari, per
evitare che a distanza di anni siano poi le ispezioni a provvedere,
spesso, per altro, con modalità e conclusioni piuttosto discutibili
e per questo fonte certa di contenziosi infiniti. Che, magari, poi
sfociano in decreti urgenti, come il “salva Roma”, finalizzati a
sanatorie, che alla fine, invece, non sanano assolutamente nulla e
rendono ancora più complicata la gestione.
Si pensi alla fonte principale
della confusione estrema alla base della determinazione dei fondi: il
“monte salari”. Che vi sia tutti lo sanno, cosa sia nessun lo sa,
parafrasando il Così fan tutte di Mozart. Il primo soggetto a non
riuscire a definire in maniera chiara in cosa consista il monte
salari è l’Aran. Si legga l’orientamento applicativo SEG 046 del
2016, ad esempio: “la
nozione di “monte salari”, ampiamente diffusa nell’esperienza
applicativa di tutti i comparti di contrattazione collettiva, come
base di calcolo per la definizione delle risorse finanziarie
disponibili per i rinnovi contrattuali, ricomprende tutte le somme
corrisposte nell’anno di riferimento, determinate sulla base dei
dati inviati da ciascun ente, ai sensi dell’art. 60 del
D.Lgsn.165/2001, in sede di rilevazione dei dati per il conto
annuale, e con riferimento ai compensi corrisposti al personale
destinatario del CCNL in servizio in tale anno; tali somme
ricomprendono quelle corrisposte a titolo di trattamento economico
sia principale che accessorio, ivi comprese le incentivazioni, al
netto degli oneri accessori a carico dell’ente e con esclusione
degli emolumenti non correlati ad effettive prestazioni lavorative
(assegni per il nucleo familiare, indennità di trasferimento,
indennità di mensa, somme corrisposte a titolo di equo indennizzo,
ecc.). Come evidenziato espressamente nella Dichiarazione congiunta
n.1 allegata al CCNL del personale del Comparto Regioni-Autonomie
Locali dell’11.4.2008, sono esclusi, altresì, gli emolumenti
arretrati relativi ad anni precedenti, ove corrisposti nell’anno di
riferimento”.
Per cercare di definire
l’istituto del monte salari, l’Aran ha speso 168 parole per 1.233
caratteri.
Peccato che nei contratti
collettivi manchi totalmente una clausola che illustri in maniera
condivisa e chiara il computo da compiere per determinare la base
fondamentale del computo del salario.
Leggiamo, adesso, il nuovo comma
4-ter, dell’articolo 40 del d.ògs 165/2001, come novellato dalla
riforma: “Al fine di
semplificare la gestione amministrativa dei fondi destinati alla
contrattazione integrativa e di consentirne un utilizzo più
funzionale ad obiettivi di valorizzazione degli apporti del
personale, nonché di miglioramento della produttività e della
qualità dei servizi, la contrattazione collettiva nazionale provvede
al riordino,
alla razionalizzazione ed alla semplificazione delle discipline in
materia di dotazione ed utilizzo dei fondi destinati alla
contrattazione integrativa”.
Un primo
auspicio,
dunque, è che finalmente il concetto di “monte salari” trovi una
disciplina consensuale tra le parti, che vincoli qualsiasi
interprete, ispettore e giudice e risulti assolutamente chiara,
blindata e priva di equivoci.
Allo scopo, sarebbe più che mai
opportuno la produzione di un kit informatico, concordato tra Aran e
sindacati, sulla scorta del kit prodotto unilateralmente dall’Aran
qualche anno fa, per il computo e la destinazione del fondo.
Un
secondo auspicio
riguarda, a questo punto, la determinazione del fondo, di parte
stabile e di parte variabile.
Sarebbe largamente opportuno
chiudere per sempre i contenziosi, stabilendo consensualmente che i
fondi:
a) sono consolidati nell’importo
determinato nel 2004 a valere sul 2003, prevedendo che, qualora vi
siano ispezioni con esito negativo e/o contenziosi in atto sul
merito, si sia corso ad una sorta di “ravvedimento operoso”, che
blocchi la prosecuzione delle procedure; insomma, una revisione delle
maldestre sanatorie del “salva Roma” e della stessa riforma
Madia, che metta a carico dei fondi la correzione dei surplus di
spesa rispetto alla corretta costituzione dei fondi, ma a partire
dalla prima produzione del kit Aran, cioè il 2014. Soltanto da
quella data, infatti, si è consolidato e cristallizzato un metodo
“certo” (per altro, non concordato con i sindacati) per
determinare il fondo; per gli anni dal 2003 al 2013, non resterebbe
che concordare una forfettizzazione. E’ ovvio che questo
costituirebbe una deroga alle disposizioni normative vigenti, ma la
riforma Madia ha attribuito ai contratti un rinnovato potere
derogatorio, che potrebbe essere ben utilizzato allo scopo;
b) per la parte variabile, siano
quantificati in modo estremamente semplice, evitando i barocchismi
inaccettabili attualmente vigenti.
Andiamo, quindi, al terzo
auspicio:
la cancellazione del devastante articolo 15, commi 2 e 5, del Ccnl
1.4.1999.
Non può seguitare a produrre
effetti una norma confusa, contraddittoria, imprecisa, al punto da
aver determinato gran parte dei contenziosi che, a migliaia, sono
sorti.
Occorre specificare con estrema
chiarezza che la parte variabile è finanziata da:
-
ciò che non è destinato proveniente dalla parte fissa;
-
residui non utilizzati l’anno precedente (col divieto di utilizzarli per gli anni successivi);
-
incrementi facoltativi, stabiliti discrezionalmente da ciascuna amministrazione, semplicemente da quantificare su una percentuale determinata della spesa corrente, posta come tetto massimo; nella sostanza si tratta di eliminare la deleteria previsione del comma 5 dell’articolo 15 ed ampliare, invece, gli effetti del più chiaro comma 2. Nel caso di incrementi della dotazione organica, è opportuno indicare che aumenta la parte stabile, per una percentuale da definire in rapporto al monte salari, da controllare sempre mediante kit vincolante per tutti, ispettori e giudici contabili compresi.
Andiamo al quarto
auspicio,
sempre relativo alla parte variabile del fondo. Come è noto, esiste
un legame tra articolo 15, articolo 17, comma 2, lettere a) e h),
nonché articolo 18 del Ccnl 1.4.1999.
Anche
quest’ultima norma, in particolare, è oggetto di grandissima
confusione e fonte di contenzioso. E’ intrisa, infatti, di presunte
modalità operative ed applicative che, al contrario, danno spazio
infinito alle interpretazioni più fantasiose e suggestive. Come, in
particolare, la qualificazione necessaria degli “obiettivi
sfidanti”, senza che possa esistere parametro certo e definito
alcuno per stabilire quando, perché e sotto quale aspetto un
obiettivo possa essere qualificato come “sfidante”, se non ai
soli occhi del datore di lavoro. Oppure, la questione della
“ripetibilità” degli obiettivi. O, ancora, la pretesa di
connettere al risultato lo svolgimento di prestazioni “aggiuntive”.
Visioni del tutto erronee e
fuorvianti, molto presenti nelle interpretazioni fornite dalla Corte
dei conti, che a proposito dell’utilizzo del salario accessorio ha
indicato, tra gli altri, questi criteri (Sezione regionale di
controllo per il Veneto, parere 4 maggio 2016, n. 263):
-
ai maggiori stanziamenti per il fondo siano accompagnati maggiori servizi;
-
che i miglioramenti dei servizi non siano generici, ma che siano conseguiti risultati concreti;
-
in conseguenza della seconda condizione, occorrono risultati verificabili attraverso standard, indicatori e/o attraverso i giudizi espressi dall’utenza;
-
è necessario che si conseguano risultati “difficili” attraverso un ruolo attivo e determinante del personale interno.
Sono tutte indicazioni derivate
dall’articolo 18 del Ccnl 1.4.1999, come modificato dal Ccnl
22.1.2004, ma erronee e fuorvianti.
Il nuovo Ccnl deve chiarire che
la gestione per risultati ed i conseguenti premi non può essere
concepita come realizzazione di servizi “maggiori”, con
“prestazioni ulteriori” lavorative e gradi di difficoltà non
parametrabili.
La gestione per risultati non
chiede né servizi, né prestazioni aggiuntivi: impone che l’attività
lavorativa, sempre la stessa, migliori nella sua qualità e sia
orientata a garantire risultati utili per la popolazione
amministrata.
La contrattazione farà bene a
specificare con clausole semplici e dai contenuti simili a quanto
evidenziato poco sopra in cosa consista il risultato. Questo
consentirà di considerare normale ed accettabile la ripetizione di
progetti miranti a risultati ripetitivi nel tempo, da prevedere,
comunque, espressamente nel Ccnl.
Si
può, a questo punto, formulare un quinto
auspicio:
il Ccnl prevda:
-
l’espressa nullità di progetti basati esclusivamente sul computo delle ore prestate: quello è l’input, i progetti debbono indicare l’output, il risultato, per essere qualificati come tali;
-
l’espressa nullità di ogni progetto che remuneri l’ora di lavoro svolta in misura superiore a quella prevista dalla contrattazione nazionale: ciò consentirà finalmente ai comuni di avere la forza per respingere i pericolosissimi progetti “obiettivo”, spesso presentati dalla polizia municipale, che pretendono di pagare prestazioni orarie “extra” con tariffe orarie elevatissime, in spregio alla previsione che l’importo della remunerazione è esclusiva spettanza della contrattazione collettiva nazionale ed è inderogabile.
Il sesto
auspicio
riguarda ancora l’incentivazione al risultato. La riforma Madia ha
modificato il testo dell’articolo 40 del d.lgs 165/2001, in
particolare nel seguente periodo: “la
contrattazione collettiva integrativa assicura adeguati livelli di
efficienza e produttività dei servizi pubblici, incentivando
l'impegno e la qualità della performance,
destinandovi, per l'ottimale perseguimento degli obiettivi
organizzativi ed individuali, una quota
prevalente delle risorse finalizzate ai trattamenti economici
accessori comunque denominati
ai sensi dell'articolo 45, comma 3”.
Occorre chiarire che le risorse
destinate alla valorizzazione del risultato sono esclusivamente:
a) quelle stabili, non
specificamente destinate ad altri istituti;
b) quelle di parte variabile, che
per loro natura non possono che essere destinate in via esclusiva al
premio per il risultato.
A ben vedere, in effetti, la
disposizione della riforma Madia vista prima è inutile: per forza va
destinata al risultato la quota prevalente delle risorse destinate ai
trattamenti accessori. Va, infatti, destinata, allo scopo, l’intera
quota disponibile, secondo quanto visto poco sopra alle lettere a) e
b).
Semmai, questo l’auspicio, è
opportuno che i contratti diano indicazioni sulla ripartizione della
quota del salario accessorio destinata al risultato, tra premi
individuali e premi collettivi per l’organizzazione, stabilendo,
per esempio, che il primo debba essere finanziato con una certa
percentuale (il 30%) minima del totale.
E’ conseguente il settimo
auspicio:
nella parte relativa alla definizione delle relazioni sindacali, il
Ccnl chiarisca in modo inequivocabile che la relazione della
contrattazione non è ammessa mai per:
-
la determinazione delle risorse di parte variabile;
-
la la loro destinazione, che è vincolata necessariamente al risultato;
-
la ripartizione delle risorse tra risultato individuale e collettivo, che può essere solo oggetto di concertazione, poiché transita nel sistema di valutazione permanente;
-
la definizione dei risultati e dei progetti connessi e del personale da coinvolgere.
In questo modo, si riuscirebbe a
chiarire una volta e per sempre un ambito non ammesso alla
contrattazione e renderla, finalmente, più spedita.
A
proposito: è il caso, finalmente, di dare concreta attuazione alle
previsioni dell’articolo 40 del Tupi, ai sensi del quale i
contratti collettivi:
-
prevedono le procedure negoziali;
-
definiscono il termine delle sessioni negoziali (e alla scadenza e parti riassumono le rispettive prerogative e libertà di iniziativa e decisione);
-
individuano un termine minimo di durata delle sessioni negoziali in sede decentrata, decorso il quale l'amministrazione interessata può in ogni caso provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo.
Ne consegue l’ottavo
auspicio:
sia finalmente definita la procedura per la contrattazione, nei tempi
e nelle modalità.
Si chiarisca che:
-
la sessione negoziale deve attivarsi entro il mese di ottobre precedente l’anno di riferimento;
-
la costituzione del fondo, elemento sempre rischiosissimo e foriero di problemi anche per effetto dei principi contabili, sia automaticamente determinata nella determinazione della consistenza del fondo prevista nel bilancio pluriennale, riferita all’anno di riferimento della contrattazione, in modo da evitare il problema (prevalentemente formale e burocratico) della mancata costituzione del fondo; con la precisazione che in corso d’anno esso possa essere modificato e rettificato col bilancio e successive variazioni necessarie;
-
si inserisca un principio di decremento ed aumento automatico del fondo, connesso all’andamento del turn over;
-
si precisi che il fondo è disposto in via esclusivamente unilaterale da parte dell’ente, che non confluisce nell’accordo contrattuale e che è messo solo in visione alle parti sindacali, precisando ancora che il fondo non può costituire allegato al contratto;
-
la contrattazione si concluda obbligatoriamente entro il febbraio dell’anno di riferimento; in assenza, è attivabile l’atto unilaterale.
Il nono
auspicio
è che il Ccnl intervenga anche a chiarire quale sia l’oggetto del
contratto collettivo decentrato: esclusivamente i criteri per
destinare le risorse annualmente costituite, col divieto di
determinare le somme ed individuare singolarmente dipendenti
destinatari.
Il decimo
auspicio
è più complesso. Agendo sui contenuti del ccdi, la contrattazione
collettiva deve dirimere alcuni dei problemi suscitati da discutibili
rilievi in sede ispettiva, per altro molto sovente smentiti dal
giudice del lavoro.
Dunque
è necessario che il Ccnl chiarisca che il fondo va comunque
necessariamente destinato in modo congruo agli opportuni istituti se
sul piano organizzativo l’amministrazione abbia deciso di attivare
strumenti organizzativi per turni o mediante reperibilità. Ancora,
va determinata in un ammontare certo l’indennità di disagio. Va
chiarita l’espressa possibilità di cumulare indennità di rischio
e disagio in casi definiti dal Ccdi, permettendo il di cumulo di
queste indennità con quella di vigilanza ed altre connesse al
profilo professionale.
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