“La pace nel mondo”. Chissà se
questa originalissima idea sia stata considerata “vincente” dal comune di
Venezia, nell’ambito del progetto di valorizzazione del merito,
dell’efficienza, dell’efficacia, volto ovviamente a dare riconoscimenti e
prestigio al “capitale umano”, denominato appunto “idee vincenti”.
Di sicuro, le cronache rendono
noto che sono stati investiti poco più di 400.000 euro del fondo per la contrattazione
decentrata del comune, per “premiare il merito”, consistente nell’esprimere
“idee”, tra le quali:
1)
interruttori crepuscolari per la regolazione delle luci degli
uffici;
2)
stivali per l’acqua alta da vendere ai turisti, dotati del
logo comunale;
3)
il Teatro al lavoro, sistema per far emergere situazioni
conflittuali tra colleghi e simulare possibili soluzioni;
4)
una palestra per la polizia municipale;
5)
droni per la vigilanza urbana
e altro ancora.
Per carità, idee in molti casi
anche utili, come l’app per indicare ai turisti bagni pubblici e cestini per la
raccolta dei rifiuti.
Il comune di Venezia, spinto
dall’imprinting aziendalista del sindaco, titolare di un’importante
agenzia per il lavoro, ha, dunque, inteso agire “come un’azienda”, rispettando
il comandamento operante, ormai, da quasi 30 anni. Nella pubblica
amministrazione occorre essere manager, agire puntando sull’innovazione di
processo e di prodotto, mediante il miglioramento continuo dell’operato del
“capitale umano”, puntando sul “merito”.
Sicchè, l’idea è stata quella di
premiare il merito, mediante un concorso di idee: circa 600 dipendenti sono
stati premiati per aver, appunto, presentato idee, da quelle ottime, a quelle
bislacche, da quelle utili a quelle più vicine alla scoperta di continenti.
Peccato che la normativa pubblica
non consenta ai datori di lavoro pubblici di agire con la piena autonomia
propria del lavoro privato. Qualsiasi azienda può decidere di investire soldi,
che sono suoi, non della collettività, anche valorizzando le idee.
Invece, la combinazione tra le
disposizioni normative della riforma Brunetta e le norme dei contratti
collettivi nazionali di lavoro prevedono una sequenza diversa: vanno bene le
idee, ma se si traducono in progetti operativi, delineati da indicatori di risultato
quantificabili, caratterizzati dalla successiva attuazione e dalla verifica del
grado di raggiungimento dei risultati preventivati e dell’utilità per i
cittadini.
Non basta l’idea della palestra o
del teatro-laboratorio: la palestra occorre realizzarla e il teatro-laboratorio
realizzarlo e poi chiedersi se ai cittadini importi proprio qualcosa di queste
idee e, come minimo, pretendere un corpore sano in mens sana diffuso ed
evidente tra la polizia municipale e dipendenti dalla dizione perfetta di un
Carmelo Bene, per erogare i premi.
Di questo modo leggermente
ellittico di intendere il merito ed i premi si è accorto un sindacato, che ha
mandato un esposto alla Procura della Corte dei conti veneta. La quale, avendo
letto l’ipotesi di gestionemanagerialevoltaallavalorizzazionedelmeritodelcapitaleumano ha aperto immediatamente un fascicolo e, con una
nota ufficiale, ha intimato al comune di Venezia, che nel frattempo aveva
erogato i premi, di lasciar perdere, di recuperare i denari già pagati e di
ricordarsi che, appunto, i progetti debbono essere realizzati e valutati nel
grado di conseguimento dei risultati previsti. Non bastano le idee. Non basta
la “managerialità” e l’intento di “innovare” e immaginare “qualcosa di
diverso”.
Potrà non piacere, sicuramente
l’episodio conferma quanto siano strette le maglie operative e gestionali. Ma,
la pubblica amministrazione è soggetta al principio di legalità e,
contrariamente alla vulgata, poiché non è un’azienda non può e non deve essere
gestita come un’azienda. Può essere gestita solo come le norme dispongono,
evitando che “idee vincenti” siano salti nel vuoto. Non è possibile fare
filosofia, i comuni non vivono nell’Iperuranio di Platone. Specie in tempi di
ristrettezza delle risorse pubbliche, le idee è bene si traducano in fatti.
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