domenica 24 dicembre 2017

Caravaggio a S. Luigi dei Francesi: San Matteo e l'angelo

Abbiamo già parlato della Vocazione di San Matteo  (insieme con le storie della realizzazioni della cappella Contarelli) e del Martirio di San Matteo. La terza opera straordinaria che completa il ciclo di san Matteo nella cappella Contarelli di San Luigi dei Francesi è la bellissima pala d'altare San Matteo e l'angelo, olio su tela del 1602.




Come molte opere a committenza pubblica del Merisi, San Matteo e l'angelo ebbe una storia molto complessa e combattuta.
Intanto, quel meraviglioso quadro non avrebbe dovuto essere lì. Al suo posto, infatti, l'esecutore testamentario del cardinale Matteo Contarelli (al secolo, Mathieu Cointrel) aveva incaricato di realizzare il Matteo e l'angelo ad uno scultore fiammingo, Jacob Cobaert. Il quale, più esperto orafo che scultore di grandi opere pubbliche, si mise all'opera probabilmente con la consapevolezza di non disporre dell'esperienza e dei mezzi necessari per realizzare un'opera degna della cappella.
Infatti, continuò a rimandare la consegna della sua opera, tanto che alla fine non venne mai installata in San Luigi dei Francesi, ma è visibile, invece, nella chiesa S.S. Trinità dei Pellegrini


I parenti del cardinale Contarelli rifiutarono l'opera del Cobaert, della quale era stato, del resto, lo stesso scultore a dubitare.
Dunque, nel 1600, anno santo, la cappella aveva finalmente ricevuto l'ornamento bellissimo dei due laterali dipinti dal Caravaggio, ma ancora mancava della pala d'altare (non era nemmeno stato realizzato l'affresco con Matteo e l'angelo che aveva immaginato il Contarelli nel suo progetto musivo).
Per questo motivo, i parenti del Contarelli decisero di chiudere il ciclo di San Matteo rivolgendosi nuovamente al Merisi, che proprio dopo i due laterali aveva ottenuto fama e celebrità assolute ed era in quel momento l'unico artista davvero degno di finire l'opera.
Il lavoro del Caravaggio, che in quel momento era nel pieno della maturità artistica, non fu, ovviamente, semplice. Doveva realizzare un'opera degna dei due laterali, che tanta ammirazione e tanto consenso stupito avevano ricevuto.
Poichè i parenti del Contarelli non avevano più la pazienza di attendere la conclusione di un'opera che richiese decenni, Caravaggio dipinse una prima versione di Matteo e l'angelo, quella, purtroppo, andata perduta a Berlino nel corso della seconda guerra mondiale, del quale ci resta solo una fotografia in bianco e nero



La sostituzione di questa pala con quella oggi visibile fu all'origine della narrazione secondo la quale col Matteo e l'angelo il Caravaggio sarebbe andato incontro al primo dei molti e grandi rifiuti delle sue opere. I suoi biografi, Giovanni Baglione, Le vite de pittori, scultori et architetti dal pontificato di Gregorio XIII fino a tutto quello d'Urbano VIII,  1642, e Giovanni Pietro Bellori, Le vite de' Pittori, Scultori et Architetti moderni, 1672, raccontano concordemente (ma, molte delle indicazioni del Bellori sono tratte dai racconti del Baglione, che fu contemporaneo e grande rivale del Merisi) del rifiuto, dovuto sostanzialmente a ragioni di mancata accettazione della dirompente innovazione pittorica caravaggesca, rispetto ai canoni per così dire dell' "accademia", cioè del modo di dipingere convenzionale ancora all'inizio del '600, figlio del tardo manierismo cinquecentesco.
Il Baglione riferisce: "“il quadro d’un certo San Matteo, che prima [Caravaggio] havea fatto per quell’altare di San Luigi, e non era veruno piaciuto, egli [cioè il marchese Vincenzo Giustiniani] per esser’opera di Michelagnolo, s’el prese; ed in questa opinione entrò il Marchese per li schiamazzi, che del Caravaggio, da per tutto, faceva Prosperino delle Grottesche". Il Baglione, in sostanza, racconta che la prima versione non piacque a nessuno e per questo venne tolta da sopra all'altare e presa come opera privata dal marchese Giustiniani, grande ammiratore e mecenate del Caravaggio.
Le indicazioni del Bellori sono ancora più nette: "Qui avvenne cosa che pose in grandissimo disturbo e quasi fece disperare il Caravaggio in riguardo della sua riputazione; poiché, avendo egli terminato il quadro di mezzo di San Matteo e postolo su l’altare, fu tolto via dai preti, con dire che quella figura non aveva decoro, né aspetto di Santo, stando a sedere con le gambe incavalcate e co’ piedi rozzamente esposti al popolo. Si disperava il Caravaggio per tale affronto nella prima opera da esso publicata in chiesa, quando il marchese Vincenzo Giustiniani si mosse a favorirlo a liberollolo da questa pena, poiché, interpostosi con quei sacerdoti, si prese pe sé il quadro e gliene fece fare un altro diverso, che è quello si vede ora su l’altare".
Nella realtà, le recenti ricerche storiche hanno dimostrato che il rifiuto raccontato dal Baglione e dal Bellori altro non è che solo una leggenda, in gran parte dovuta alla circostanza che i due biografi, per quanto in generale si siano dimostrati piuttosto oggettivi e precisi nel raccontare la vita e le opere del Merisi, non ne condividevano la poetica pittorica ed, anzi, la avversavano.
Baglione era stato gravemente oltraggiato da Caravaggio e dal gruppo dei suoi amici artisti "scavezzacollo", Orazio Gentileschi, Onorio Longhi e Filippo Trisegni, con due poesie piene di insulti che erano state diffuse per Roma dagli autori, dopo che al Baglione medesimo era stato assegnato un riconoscimento ufficiale, una catena d'oro, per il suo dipinto Amor divino e, soprattutto, dopo che la pala d'altare sulla Resurrezione del Baglione incontrò pochi favori, tra il popolo e, soprattutto, tra il gruppo di Caravaggio.
Il Baglione nel 1603 per queste poesie oltraggiose querelò Caravaggio, che rischiò seriamente una dura condanna.
Sicuramente, dunque, tra Baglione e Caravaggio non correva buon sangue. Dunque, per il Baglione raccontare della storia di un rifiuto del Matteo e l'angelo, visto che comunque altre opere del Merisi vennero rifiutate (si pensi alla Morte della Vergine o alla Madonna dei Palafrenieri) era una piccola  vendetta, tanto verosimile doveva comunque apparire la sua versione. Che, infatti, venne presa per buona dal Bellori, il quale arrucchì il racconto con valutazioni critiche sul "decoro" dell'opera, poco consono alla concezione artistica del biografo, che apprezzava ben di più i canoni manierisitici o le espressioni pittoriche gentili e delicate di un Reni, rispetto al crudo realismo ed alle luci contrastanti e forti del Caravaggio.
Sta di fatto che, invece, l'opera andata distrutta altro non fu se non una piccola pala devozionale, provvisoria mente issata sull'altare,  mentre Caravaggio era dedito alla versione definitiva.
Sul rigetto dovuto ai  piedi rozzamente esposti al popolo si deve fortemente dubitare. Tantissime sono le opere nelle quali Caravaggio espone piedi e parti del corpo poco nobili riprodotte dal vero, senza cancellare sudiciumi e callosità.
Ma, l'iconografia di San Matteo e l'angelo da sempre aveva la caratteristica di questi piedi "esposti" al popolo.
A riprova che Caravaggio realizzò la prima versione come chiusura provvisoria del ciclo di San Matteo, possiamo confrontarla con il Matteo e l'angelo del suo primo maestro, Simone Peterzano, dipinto alla Certosa di Garegnano


Sicuramente Caravaggio vide quest'opera che influenza molto evidentemente nella sua costruzione la prima delle sue versioni di Matteo e l'angelo: le gambe incrociate ed i piedi esposti, come anche la stretta vicinanza con l'angelo dimostrano come la memoria del Merisi fosse andata all'affresco del suo primo maestro.
Caravaggio, poi,  mise ovviamente la sua originale visione: il suo San Matteo è un contadino illetterato, guidato letteralmente per mano da un bellissimo angelo, che proprio scrive, attraverso le mani del Matteo, quasi inconsapevole, i passi del Vangelo.
Ma, Caravaggio voleva andare oltre. La versione definitiva doveva essere più grande e meditata ed infatti è una delle opere più rappresentative dell'acme della carriera del pittore.
I piedi del santo continuano ad essere esposti, ma la posa, l'atteggiamento, lo sguardo di Matteo sono solenni, autorevoli. Matteo è un vecchio saggio, che è spinto a scrivere il Vangelo per divulgarlo. Ma, la sua opera non è e non deve essere solo frutto del suo intelletto, di una mano "umana". Matteo scrive spinto da Dio, che lo ispira attraverso il contatto mistico con l'Angelo, che appare dall'alto ad enumerare ad un Matteo attentissimo ed assorto le genealogie del suo primo Libro.
Un angelo bellissimo, che vola, ma del quale non si vedono le ali, metaforicamente rappresentate dallo straordinario panneggio che lo avvolge.
Le due figure del quadro si stagliano da un'oscurità profonda ed hanno la tridimensionalità di un gruppo scultoreo. I colori delle vesti di Matteo sono accesissimi; la carnagione di entrambi luccicante, illuminata dalla nota luce trasversale dall'alto che Caravaggio ormai padroneggiava in maniera perfetta, a simboleggiare la luce dell'ispirazione divina.
Guardando con attenzione, osserviamo che lo sgabello in bilico, oltre il piano del terreno, su cui si poggia Matteo è lo stesso sul quale siede uno degli armigeri del Matteo/Levi della Vocazione. Il modello utilizzato da Caravaggio per Matteo è lo stesso de Il Sacrificio di Isacco, che dipingeva in quel medesimo periodo; le stesse sono le sue vesti. E' come se Caravaggio ci facesse vedere particolari del suo atelier e ci mostrasse che il modello si spostasse da un lato all'altro dello studio, da una posa all'altra, mentre indossava ancora gli abiti di scena. Anche l'angelo del Matteo è lo stesso modello dell'angelo del Sacrificio di Isacco. Caravaggio, oltre a mostrare l'esito altissimo della sua straordinaria arte ci dà il privilegio di capirne anche le modalità di produzione.


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