Nove anni dopo il lungo congelamento della
contrattazione collettiva il suo riavvio appare tutt’altro che innovativo e
capace di segnare un nuovo tracciato per la pubblica amministrazione.
Anche i tweet ed i comunicati
entusiastici sulla sottoscrizione della preintesa appaiono eccessivi. La
maggior parte di essi sono rivolti ad evidenziare il “risultato” raggiunto,
appunto dopo quasi un decennio. Ma, ci sarebbe da ricordare:
1)
che il Governo difficilmente può intestarsi questo
“risultato”, poiché dei 9 (non 10) anni trascorsi senza contratto, 4 sono
direttamente (l’ultimo) e indirettamente (i famosi 1000 giorni) esattamente
alla compagine governativa formatasi a febbraio 2014 e quasi integralmente
riconfermata l’indomani dello scossone dato dall’esito del referendum del 4
dicembre 2016;
2)
che in realtà la stipulazione della preintesa giunge ad oltre
due anni e mezzo dalla sentenza della Corte costituzionale 178/2015, secondo la
quale il congelamento della contrattazione si è rivelato incostituzionale, sia
pure non con portata retroattiva.
Dunque, il Governo altro non ha
fatto se non adempiere, con ritardo, alle imposizioni della Consulta. Un
ritardo di circa 3 anni dovuto alle difficoltà estreme di reperire le risorse
necessarie. Che, ricordiamo, ammontano a 2,8 miliardi, che però sono stati
finanziati solo per i comparti delle funzioni centrali. Mancano all’appello
altri 2,5 miliardi circa, necessari perché si stipulino anche i contratti di
regioni ed enti locali, nonché del servizio sanitario nazionale: dovranno
essere questi enti a finanziare la gran parte delle risorse con i propri
bilanci e l’impresa, certamente possibile, non è affatto semplice. Si è ancora
a metà di un guado che, comunque, sarà sicuramente percorso per intero tra
breve.
Sul piano economico, il contratto
non recupera i 9 anni di congelamento, perché avrà effetti solo a partire dal
2016 e solo per il 2018 consente il famoso incremento medio di 85 euro.
Sul piano giuridico ed
ordinamentale, l’intesa si rivela estremamente timida e priva di particolari
slanci di fantasia e di semplificazione per l’evidente causa della fretta che
ha condizionato le parti (sia quella pubblica, sia le organizzazioni sindacali)
a sottoscrivere la preintesa, in modo che entro marzo giungessero nelle buste
paga almeno gli arretrati: sottoscrivere contratti collettivi, che riguardano
circa 3,2 milioni di persone (e loro famiglie ed entourage), nei pressi delle
elezioni, senza nemmeno provare a ricavare un “dividendo” elettorale, era
impensabile.
Il risultato, quindi, è da
caratterizzare con l’abusata metafora “a luci ed ombre”, ma sicuramente lo
slancio riformatore è poco percepibile. Analizziamo, dunque, di seguito alcuni
degli aspetti di maggiore rilievo, quelli che avrebbero appunto dovuto aprire
la strada ad una innovazione che, nei fatti, si dimostra ben meno profonda di
quanto non aveva indicato la riforma Madia, che della nuova stagione
contrattuale rappresenta la premessa.
Relazioni sindacali. La
preintesa del 23 dicembre relativa al comparto delle funzioni centrali sarà
certamente il modello trasversale del ridisegno delle relazioni sindacali,
stravolte dalla riforma Brunetta del 2009, senza che mai, però, fosse
intervenuta una nuova loro regolamentazione.
Sul piano strettamente tecnico, a
parte qualche novità semantica, il nuovo sistema delle relazioni sindacali è
piuttosto simile a quello antecedente la riforma Brunetta.
Si distinguono due essenziali
tipologie di relazioni:
a)
la partecipazione, a sua volta disaggregata in:
1)
informazione
2)
confronto
3)
organismi paritetici di partecipazione;
b)
la contrattazione integrativa.
Informazione. L’informazione,
dispone il contratto, “consiste nella trasmissione di dati ed elementi
conoscitivi, da parte dell’amministrazione, ai soggetti sindacali, al fine di
consentire loro di prendere conoscenza della questione trattata e di esaminarla”.
I dati da trasmettere debbono essere completi e coerenti, perché finalizzati a
consentire alle parti sindacali di effettuare “una valutazione approfondita
del potenziale impatto delle misure da adottare ed esprimere osservazioni e
proposte”.
L’informazione riguarda tutte le
materie per le quali il contratto preveda le relazioni del confronto o della
contrattazione integrativa e costituisce il presupposto per la loro
attivazione. Il che vuol dire che la mancata informazione costituisce lesione
dei diritti sindacali e vizio alle procedure, passibile di comportamento
antisindacale.
Confronto. Il confronto
null’altro è se non una definizione nuova di un istituto ben noto e conosciuto,
cioè la “concertazione”. E’, evidentemente, parso opportuno modificare il
termine semantico, che dà meno la sensazione di “cogestione”, ma la sostanza è
esattamente la stessa.
Con il confronto “si instaura
un dialogo approfondito sulle materie rimesse a tale livello di relazione, al
fine di consentire ai soggetti sindacali di cui all’art. 7, comma3, di
esprimere valutazioni esaustive e di partecipare costruttivamente alla
definizione delle misure che l'amministrazione intende adottare”.
Il confronto si può aprire con
due modalità:
a)
trasmissione dell’informazione sulle materie[1]
oggetto di confronto e richiesta che le organizzazioni sindacali debbono
presentare entro i successivi 5 giorni;
b)
apertura del confronto proposta d’ufficio dalla parte
pubblica, nella stessa trasmissioni dell’informazione.
Come avveniva per la
concertazione, il confronto non può durare oltre 30 giorni e al termine è
redatta una sintesi dei lavori e delle posizioni emerse. Dunque, si conferma
che se la relazione non è la contrattazione, le parti non debbono esprimere
alcun consenso su un atto contenente clausole ed obbligazioni reciproche:
basterà una relazione finale (o anche un verbale) che esponga in modo sintetico
le posizioni espresse da ciascuna delle parti sulle materie trattate.
Organismo paritetico per
l’innovazione. Elemento di novità, del quale sarà tutta da verificare
l’utilità visti i rischi di commistione e confusione operativa insiti, è
l’obbligo di istituire l’organismo paritetico per l’innovazione[2].
Un soggetto che potrebbe interessarsi di tutto o anche di nulla, a seconda di
come possa essere interpretato il rapporto tra le parti: se realmente negoziale
e, dunque, necessariamente alternativo, o se “partecipativo” e aperto alla
co-gestione.
Le finalità indicate dal Ccnl
appaiono sufficientemente generiche: “realizza una modalità relazionale
finalizzata al coinvolgimento partecipativo delle organizzazioni sindacali di
cui all’art. all’art 7, comma 3 su tutto ciò che abbia una dimensione
progettuale, complessa e sperimentale, di carattere organizzativo
dell’amministrazione”. L’organismo, inoltre, ha il compito di attivare “stabilmente
relazioni aperte e collaborative su progetti di organizzazione e innovazione,
miglioramento dei servizi, promozione della legalità, della qualità del lavoro
e del benessere organizzativo - anche con riferimento alle politiche formative,
al lavoro agile ed alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, alle
misure di prevenzione dello stress lavoro-correlato e di fenomeni di burn-out -
al fine di formulare proposte all'amministrazione o alle parti negoziali della
contrattazione integrativa”.
Insomma, abbastanza di tutto, ivi
comprese anche materie come la promozione della legalità che, stando alla
disciplina attuativa della legge 190/2012, ben poco pare possa avere a che
vedere con le relazioni sindacali.
Come si nota, il comitato
potenzialmente potrebbe essere la sede per l’elaborazione di vere e proprie
piattaforme contrattuali condivise. Se ben utilizzato, dunque, il comitato
potrebbe essere funzionale all’attivazione della contrattazione in tempi
finalmente celeri ed utili, per evitare i frequentissimi stalli delle
trattative o l’altrettanto (incredibilmente) frequente totale assenza di
contratti per anni e anni a livello decentrato.
L’organismo sarà destinatario di
informazioni per specifiche materie:
- i
dati sui contratti a tempo determinato,
- i
dati suicontratti di somministrazione a tempo determinato,
- i
dati sulle assenze di personale.
Contrattazione integrativa.
La preintesa torna a definire le materie[3]
della contrattazione integrativa con un elenco chiaro ed esaustivo, eliminando,
così, i margini di incertezza che perduravano dal 2009.
Come si nota, ancora una volta la
contrattazione collettiva nazionale ribadisce che il consenso tra le parti, per
il grosso delle materie da trattare, non riguarda la definizione specifica del
“quantum”, bensì la concordia sui “criteri” in base ai quali, poi, le quantità
vengono determinate.
Quindi, non si negozia
sull’ammontare delle risorse disponibili da ripartire, bensì sui criteri da
rispettare per ripartirle; non si negozia sui premi da attribuire, ma sui
criteri per ripartirli; e così via.
Particolarmente rilevanti
appaiono le seguenti materie:
-
le misure di salute e sicurezza del lavoro: la
contrattazione obbliga le amministrazioni a coinvolgere pienamente le
organizzazioni sindacali ed a contrarre obbligazioni operative, che spesso
saranno connesse a risorse da reperire sul bilancio, necessarie per attuare le
misure contrattate;
-
la possibilità di elevare la percentuale massima dei
contratti di lavoro a tempo determinato e di somministrazione di lavoro a tempo
determinato, fissata in generale nel 20% del totale dei dipendenti a tempo
indeterminato.
Non particolarmente utile, invece, sembra lasciare
alla contrattazione decentrata i criteri per determinare la misura di indennità
legate a rischio o disagio, perché si ripropone il problema dell’assenza di una
specifica indicazione degli ammontari, nel passato causa di interpretazioni non
concordanti tra singole amministrazioni e servizi ispettivi, con l’esplodere di
contenziosi molto diffusi.
Tempi e procedure della
contrattazione. La preintesa, per questo aspetto, ha l’indubbio merito di
chiarire meglio la tempistica e le conseguenze connesse.
Nella nota 3 abbiamo distinto tra
le materie soggette ad obbligo a stipulare e materie soggette ad obbligo di
contrattare. Mentre le prime (quelle che incidono in modo più rilevante sul
trattamento economico) impongono alle parti di stipulare un contratto, le
seconde, invece, richiedono di adempiere all’obbligo di intavolare le
trattative, senza che ne debba discendere necessariamente un’intesa da
stipulare.
Infatti, con riferimento alle
materie soggette ad obbligo a contrattare “qualora, decorsi trenta giorni
dall’inizio delle trattative, eventualmente prorogabili fino ad un massimo di
ulteriori trenta giorni, non si sia raggiunto l’accordo, le parti riassumono le
rispettive prerogative e libertà di iniziativa e decisione, sulle materie di
cui all’art. 7, comma6, lettere i), k), l), m), n), o), p), q), r), s), t), u),
v)”.
Occorre ricordare che questa
previsione, contenuta nell’articolo 8 dell’ipotesi di Ccnl, si collega con
l’articolo 9, in materia di clausole di raffreddamento. Tale ultima norma prevede
tre precetti:
a)
il sistema delle relazioni sindacali è improntato a principi
di:
a.
responsabilità,
b.
correttezza,
c.
buona fede
d.
trasparenza dei comportamenti
e.
ed è orientato alla prevenzione dei conflitti;
b)
nel rispetto dei suddetti principi, entro il primo mese del
negoziato relativo alla contrattazione integrativa le parti non assumono
iniziative unilaterali né procedono ad azioni dirette; compiono, inoltre, ogni
ragionevole sforzo per raggiungere l’accordo nelle materie demandate;
c)
durante il periodo in cui si svolge il confronto le parti non
assumono iniziative unilaterali sulle materie oggetto dello stesso.
Dunque, nei primi trenta giorni
il deve prevalere il fai play e l’intento di pervenire comunque ad un
accordo che, comunque, per le materie soggette al solo obbligo a contrattare
può anche venire a mancare, sicchè, sempre nel rispetto dei principi enunciati
sopra, la parte datoriale ha la possibilità di procedere anche in assenza di un
accordo.
Invece, per le materie soggette
ad obbligo a stipulare, occorre sempre necessariamente concludere la
negoziazione con un atto che regoli i criteri per distribuire le risorse del
fondo. Questo atto è auspicabile che sia sempre un contratto, sottoscritto da
entrambe le parti e, dunque, condiviso.
Tuttavia, per la prima volta la
contrattazione collettiva introduce nella procedura per la contrattazione due
principi prima solo evidenziabili ma non espressamente desumibili:
1)
la durata contenuta della sessione;
2)
la possibilità di rimediare alla mancata concordia delle parti
con un atto unilaterale datoriale, in presenza di pregiudizi che possano
derivare dal mancato accordo.
E’ l’articolo 8 comma 5 della
preintesa a delineare questa parziale innovazione, che recepisce i contenuti
dell’articolo 40, comma 3-ter[4],
del d.lgs 165/2001, come modificato dal d.lgs 75/2017.
Ecco il testo dell’articolo 8,
comma 5, della preintesa: “Qualora non si raggiunga l'accordo sulle
materiedi cui all’art. 7, comma 6, lettere a), b), c), d), e) f), g) h), j) ed
il protrarsi delle trattative determini un oggettivo pregiudizio alla
funzionalità dell'azione amministrativa, nel rispetto dei principi di
comportamento di cui all’art. 9, l'amministrazione interessata può provvedere,
in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo, fino alla
successiva sottoscrizione e prosegue le trattative al fine di pervenire in
tempi celeri alla conclusione dell'accordo. Il termine minimo di durata
delle sessioni negoziali di cui all’art. 40, comma 3-ter del d. lgs. n.
165/2001 è fissato in 45 giorni, eventualmente prorogabili di ulteriori 45”.
Partiamo dalla fine. L’articolo
40, comma 3-ter, precisa che “I contratti collettivi nazionali possono
individuare un termine minimo di durata delle sessioni negoziali in sede
decentrata, decorso il quale l'amministrazione interessata può in ogni caso
provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo”.
Con la preintesa, si è attuata la
facoltà concessa dalla legge che consiste appunto nell’individuazione di un
termine minimo di durata della sessione negoziale, che è di 45 giorni; le parti
possono decidere di prorogarlo di altri 45 giorni.
Si deve comprendere se il termine
“minimo” di 45 giorni sia da considerare “massimo” se ad esso di somma
l’ulteriore proroga di 45 giorni, sì da considerare che le sessioni negoziali
debbono concludersi entro 90 giorni; oppure se il termine minimo di 45 non
possa essere comunque modificato in sede di intesa tra le parti e, ad esempio,
portato a 60 giorni, più gli altri 45 di proroga consentiti dal contratto nazionale.
Sulla questione si aprirà sicuramente un’accesa disputa, vista la posta in
gioco molto alta.
I sindacati hanno ovviamente
tutto l’interesse a proporre un’interpretazione estensiva. Oggettivamente,
anche se la formulazione dell’articolo 8, comma 5, non appare precisissima,
sembra che l’intento delle parti, attutivo della norma di legge espressamente
richiamata, sia quello di definire un termine massimo di 90 giorni:
sufficientemente lungo per una contrattazione approfondita sui criteri relative
alle materie soggette ad obbligo a stipulare, ma anche necessariamente breve
per evitare le conseguenze pregiudizievoli alla funzionalità dell’azione
amministrativa di cui parlano sia l’articolo 40, comma 3-ter, del d.lgs
165/2001, sia la stessa preintesa, quali presupposto per l’adozione da parte
della parte datoriale di un atto unilaterale provvisoriamente suppletivo alla
mancata intesa.
Il fatto stesso del prolungarsi
della sessione negoziale oltre il termine minimo di durata (90 giorni compresa
la proroga) è di per se stesso causa di pregiudizio per la funzionalità
dell’azione amministrativa. Infatti, andare oltre una ragionevole durata delle
trattative (che significa, laddove le si avviino come appare corretto e
necessario, nei primi giorni del mese di gennaio di ogni anno, concludere entro
aprile), comporta il pericolo di non giungere alla stipulazione. Il che
significa non solo problemi di ordine contabile, ma soprattutto impedire
l’attivazione nella prima parte dell’anno dei progetti finalizzati alla realizzazione
dei risultati posti alla base dell’erogazione dei premi. Avviare, infatti, i
progetti, sulla base del loro finanziamento, a fine anno o anche ben oltre la
primavera non appare congruo; del resto, questi ritardi sono sempre stati
oggetto degli strali dei servizi ispettivi.
Quindi, la preintesa per la prima
volta fissa una durata delle sessioni negoziali, superata la quale la parte
datoriale può in ogni caso provvedere unilateralmente, per la semplice scadenza
del termine minimo previsto.
L’attuazione delle indicazioni
dell’articolo 40, comma 3-ter, consente allora di indicare un procedimento
“ideale” per la contrattazione:
1)
costituzione della delegazione trattante di parte pubblica
(con un provvedimento che è opportuno abbia valenza pluriennale);
2)
costituzione del fondo delle risorse decentrate, operazione
possibile e doverosa nei primi giorni di gennaio, come specificazione delle
previsioni dello stanziamento già presente sul pluriennale, aggiornato alle
previsioni sulle possibili cessazioni e assunzioni dell’anno di competenza; la
costituzione del fondo può anche essere provvisoria, in assenza di bilancio
approvato, per consentire l’attivazione della contrattazione sui “criteri” e
giungere ad una preintesa che quanto meno sia utile per avviare con buona
definizione la gestione per progetti, evidenziano possibili premi economici,
che magari saranno precisati meglio successivamente, con l’approvazione del
bilancio e la definizione più chiara delle conseguenze economiche. C’è da dire
che negoziando esclusivamente per criteri, l’approvazione del bilancio e
l’indicazione precisa delle risorse può comunque risultare indifferente;
3)
avvio della contrattazione, possibilmente sempre entro
gennaio;
4)
svolgimento delle trattative: entro 45 giorni, con l’eventuale
proroga di altri 45;
5)
conclusione delle trattative:
a.
con la sottoscrizione del contratto, se vi è l’intesa tra le
parti;
b.
con l’adozione dell’atto unilaterale, qualora il mancato
accordo porti ad un protrarsi delle trattative oltre il termine dei 90 giorni,
compresa proroga, che di per sé comporta il potere datoriale di intervenire
unilateralmente;
6)
invio all’organo di revisione dell’ipotesi di contratto entro
10 giorni dalla sottoscrizione o dall’adozione dell’atto unilaterale;
7)
effettuazione dei controlli da parte dell’organo di revisione
che può:
a.
esprimersi esplicitamente entro il termine di 15 giorni,
approvando il contenuto dei documenti esaminati;
b.
lasciar decorrere il termine di 15 giorni, sicchè si forma il
loro silenzio-assenso;
c.
formulare entro il termine di 15 giorni rilievi;
8)
nel caso in cui l’organo di revisione formuli rilievi, la
trattativa deve essere ripresa entro i successivi 5 giorni;
9)
nel caso in cui l’organo approvi espressamente o comunque non
formuli rilievi, l’organo di governo autorizza il presidente della delegazione
trattante a stipulare il contratto o ad adottare in via definitiva l’atto
unilaterale.
Non si può fare a meno di
rilevare che la preintesa mostra una pericolosa carenza: non è definito entro
quanto tempo debbono concludersi le trattative, qualora sia necessario
riprenderle in conseguenza di rilievi formulati dall’organo di revisione. E’
evidente che se si è ancora entro il termine dei 90 giorni, la durata (al netto
delle fasi di controllo) non dovrebbe andare oltre il termine complessivo dei
90 giorni; se si è, invece, già oltre, si è nella zona che consente in modo
sostanzialmente automatico di adottare l’atto unilaterale, qualora le
trattative riaperte in conseguenza dei rilievi dell’organo di revisione si
caratterizzino per il mancato consenso tra le parti e la inconciliabilità delle
posizioni.
Bisogna ricordare che laddove
l’amministrazione ricorra all’atto unilaterale:
1)
esso è provvisorio; non può sostituire mai, quindi,
definitivamente il contratto: l’obbligo a stipulare permane;
2)
vanno rispettati i principi di correttezza e buona fede: non
potrebbero essere inseriti nell’atto, ad esempio, contenuti mai oggetto di
informazione o negoziazione;
3)
deve contenere l’esplicitazione del pregiudizio che lo rende
necessario o, comunque, l’evidenziazione del superamento dei termini della
sessione;
4)
deve comunque proseguire nelle trattative e continuare a
convocare la parte sindacale per giungere a sostituire l’atto unilaterale col
contratto.
Durata dei contratti e loro
ultrattività. Da sempre i contratti collettivi nazionali di lavoro
contengono la clausola della cosiddetta ultrattività dei contratti collettivi
decentrati, ripresa pedissequamente anche dall’articolo 8, comma 7, della
preintesa: “I contratti collettivi integrativi devono contenere apposite
clausole circa tempi, modalità e procedure di verifica della loro attuazione. Essi
conservano la loro efficacia fino alla stipulazione, presso ciascuna
amministrazione, dei successivi contratti collettivi integrativi”.
Incredibilmente, tuttavia, sia i servizi ispettivi,
sia la Corte dei conti hanno di fatto negato effettività al principio di
ultrattività dei contratti decentrati, pretendendo che di anno in anno si desse
corso alla contrattazione decentrata di parte economica e considerando produttiva
di danno l’assenza dei contratti. Le obiezioni sulla liceità del “riporto”
dell’ultimo contratto stipulato hanno sempre prodotto solo contenziosi
infiniti.
La preintesa probabilmente pone
rimedio a questa clamorosa incongruenza e palese mancanza di rapporto
collaborativo tra istituzioni.
Per giungere a questa
conclusione, dobbiamo porre attenzione alla contrattazione nazionale ormai
scaduta, destinata ad essere sostituita dalla nuova in corso di definizione. Ad
esempio, l’articolo 5, comma 1, ultimo periodo, del Ccnl 1.4.1999 del comparto
regioni enti locali dispone: “L’utilizzo delle risorse è determinato
in sede di contrattazione decentrata integrativa con cadenza annuale”.
Servizi ispettivi e magistratura contabile, con una lettura rigorosa e non tesa
a coordinare questa previsione col principio di ultratttività visto prima,
ritengono che sia un dovere immancabile appunto determinare ogni anno la
destinazione delle risorse.
L’articolo 8, comma 1, della
preintesa, però, ha un contenuto diverso: “Il contratto collettivo
integrativo ha durata triennale e si riferisce a tutte le materie di cui
all’art. 7, commi 6 e 7. I criteri di ripartizione delle risorse tra le diverse
modalità di utilizzo di cui all’art. 7, comma 6, possono essere negoziati
con cadenza annuale”.
Sembra evidente che alla
possibilità di considerare la negoziazione annuale come un dovere, propria
della scaduta tornata contrattuale nazionale, si sostituisca una mera facoltà
di negoziazione con cadenza annuale.
Il testo dell’articolo 8, comma 1,
della preintesa non pare lasci dubbi. Il coordinamento tra principio di
ultrattività e dovere di negoziazione è totale: poiché i contratti hanno durata
triennale, spetta alle amministrazioni scegliere se definire i criteri di
ripartizione delle risorse in modo che valgano un triennio oppure annualmente;
nel primo caso, non si porrà mai più il problema dell’assenza di una
negoziazione annuale di riparto delle risorse. Ma, anche laddove le parti non
stipulino criteri espressamente di portata triennale, la facoltà e non l’obbligo
di negoziare annualmente la ripartizione delle risorse, consente senza alcun
dubbio di considerare vigenti ed applicabili i criteri disposti l’anno prima.
Il tutto conferma che occorre
svincolare il processo della contrattazione dai numeri concreti e dall’approvazione
dei bilanci. Se si ragiona davvero su criteri che poi possano essere tradotti
in formule per calcolare le destinazioni delle risorse, qualsiasi sia il
concreto ammontare frutto della loro costituzione, è possibile stipulare sempre
per tempo contratti che consentano una gestione serena ed efficiente.
(fine prima parte)
[1] a)
l’articolazione delle tipologie dell’orario di lavoro;
b) i criteri generali di priorità per la mobilità tra
sedi di lavoro dell'amministrazione;
c) i criteri generali dei sistemi di valutazione della
performance;
d) l’individuazione dei profili professionali;
e) i criteri per il conferimento e la revoca degli
incarichi di posizione organizzativa;
f) i criteri per la graduazione delle posizioni
organizzative, ai fini dell’attribuzione della relativa indennità;
g) il trasferimento o il conferimento di attività ad
altri soggetti, pubblici o privati, ai sensi dell’art. 31 del d. lgs. n.
165/2001.
[2] Composizione
e compiti sono così indicati:
“a) ha composizione paritetica ed è formato da un
componente designato da ciascuna delle organizzazioni sindacali di cui all’art
7, comma 3, nonché da una rappresentanza dell’Amministrazione, con rilevanza
pari alla componente sindacale;
b) si riunisce almeno due volte l'anno e,
comunque,ogniqualvolta l’amministrazione manifesti un’intenzione di
progettualità organizzativa innovativa, complessa, per modalità e tempi di
attuazione, e sperimentale;
c) può trasmettere proprie proposte progettuali,
all’esito dell’analisi di fattibilità, alle parti negoziali della
contrattazione integrativa, sulle materie di competenza di quest’ultima, o
all’amministrazione;
d) può adottare un regolamento che ne disciplini
ilfunzionamento;
e) può svolgere analisi, indagini e studi, anche in
riferimento a quanto previsto dall’art.….;
f) effettua il monitoraggio dell’attuazione dei
piani di azioni positive predisposte dai comitati unici di garanzia, in
collaborazione con questi ultimi.
4. All’organismo di cui al presente articolo
possono essere inoltrati progetti e programmi dalle organizzazioni sindacali di
cui all’art. 7, comma 3 o da gruppi di lavoratori. In tali casi, l’organismo
paritetico si esprime sulla loro fattibilità secondo quanto previsto al comma
3, lett. c)”.
a) i criteri di ripartizione delle risorse disponibili per la
contrattazione integrativa tra le diverse modalità di utilizzo
|
Obbligo a stipulare
|
b) i criteri per l'attribuzione dei premi correlati alla performance
|
Obbligo a stipulare
|
c) criteri per la definizione delle procedure delle progressioni
economiche
|
Obbligo a stipulare
|
d) i criteri per l'attribuzione delle indennità correlate
all'effettivo svolgimento di attività disagiate ovvero pericolose o dannose
per la salute
|
Obbligo a stipulare
|
e) i criteri per l'attribuzione delle indennità correlate
all'effettivo svolgimento di attività comportanti l'assunzione di specifiche
responsabilità
|
Obbligo a stipulare
|
f) i criteri per l'attribuzione di trattamenti accessori per i quali
specifiche leggi operino un rinvio alla contrattazione collettiva
|
Obbligo a stipulare
|
g) i criteri generali per l'attivazione di piani di welfare
integrativo
|
Obbligo a stipulare
|
h) l’elevazione delle maggiorazioni orarie per la remunerazione del
lavoro in turno previste dall’art. 19, comma 5
|
Obbligo a stipulare
|
i) l’elevazione dei limiti previsti dall’art. 19, comma 4, in merito
ai turni effettuabili
|
Obbligo a contrattare
|
j) l’elevazione della misura dell’indennità di reperibilità prevista
dall’art. 20, comma 6
|
Obbligo a stipulare
|
k) le misure concernenti la salute e sicurezza sul lavoro
|
Obbligo a contrattare
|
l) l’elevazione dei limiti previsti dall’art. 20, comma 5 per i turni
di reperibilità
|
Obbligo a contrattare
|
m) l’elevazione del contingente dei rapporti di lavoro a tempo
parziale ai sensi dell’art. 57, comma 7
|
Obbligo a contrattare
|
n) il limite individuale annuo delle ore che possono confluire nella
banca delle ore, ai sensi dell’art. 27, comma 2
|
Obbligo a contrattare
|
o) i criteri per l’individuazione di fasce temporali di flessibilità
oraria in entrata e in uscita, al fine di conseguire una maggiore
conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare
|
Obbligo a contrattare
|
p) l’elevazione del periodo di 13 settimane di maggiore e minore
concentrazione dell’orario multiperiodale, ai sensi dell’art. 22
|
Obbligo a contrattare
|
q) l’individuazione delle ragioni che permettono di elevare, fino ad
ulteriori sei mesi, l’arco temporale su cui è calcolato il limite delle 48
ore settimanali medie, ai sensi dell’art. 17, comma 2
|
Obbligo a contrattare
|
r) l’elevazione della percentuale massima del ricorso a contratti di
lavoro a tempo determinato e di somministrazione a tempo determinato, ai
sensi dell’art. 54, comma 1
|
Obbligo a contrattare
|
s) per le amministrazioni articolate territorialmente, i criteri per
la ripartizione del contingente di personale di cui all’art. 46, comma 1
(diritto allo studio)
|
Obbligo a contrattare
|
t) integrazione delle situazioni personali e familiari previste
dall’art. 19, comma 9, in materia di turni di lavoro
|
Obbligo a contrattare
|
u) elevazione del limite massimo individuale di lavoro straordinario
ai sensi dell’art. 25, comma 3
|
Obbligo a contrattare
|
v) riflessi sulla qualità del lavoro e sulla professionalità delle
innovazioni tecnologiche inerenti l’organizzazione di servizi.
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Obbligo a contrattare
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[4] 3-ter. Nel
caso in cui non si raggiunga l'accordo per la stipulazione di un contratto
collettivo integrativo, qualora il protrarsi delle trattative determini un
pregiudizio alla funzionalità dell'azione amministrativa, nel rispetto dei
principi di correttezza e buona fede fra le parti, l'amministrazione
interessata può provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del
mancato accordo fino alla successiva sottoscrizione e prosegue le trattative al
fine di pervenire in tempi celeri alla conclusione dell'accordo. Agli atti
adottati unilateralmente si applicano le procedure di controllo di
compatibilità economico-finanziaria previste dall'articolo 40-bis. I contratti
collettivi nazionali possono individuare un termine minimo di durata delle
sessioni negoziali in sede decentrata, decorso il quale l'amministrazione
interessata può in ogni caso provvedere, in via provvisoria, sulle materie
oggetto del mancato accordo. È istituito presso l'ARAN, senza nuovi o maggiori
oneri a carico della finanza pubblica, un osservatorio a composizione
paritetica con il compito di monitorare i casi e le modalità con cui ciascuna
amministrazione adotta gli atti di cui al primo periodo. L'osservatorio
verifica altresì che tali atti siano adeguatamente motivati in ordine alla
sussistenza del pregiudizio alla funzionalità dell'azione amministrativa. Ai
componenti non spettano compensi, gettoni, emolumenti, indennità o rimborsi di
spese comunque denominati.
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