domenica 18 marzo 2018

Missione impossibile: diversificare i premi




Da anni, ma si direbbe da sempre, il problema dei problemi nella PA è la valutazione delle prestazioni.

Esso si scompone, poi, in tre questioni fondamentali:
  1. come valutare;
  2. cosa valutare;
  3. come assicurare una rilevante differenziazione delle valutazioni e conseguentemente di premi, così da assicurare la valorizzazione del merito.
Sul “cosa” valutare, che appare la questione fondamentale, la soluzione sarebbe semplicissima: basterebbe individuare pochi e determinati obiettivi, noti e facilmente gestibili.
Sono stati versati fiumi di inchiostro e costruita un’intera riforma della PA, il d.lgs 150/2009, per restare ancora al nulla di fatto. Non si riesce a creare un sistema standard e semplice per scegliere cosa fare e cosa valutare di conseguenza. I sistemi delle PA sono, di conseguenza, o assolutamente carenti o troppo arzigogolati e in nessuno dei due casi capaci davvero di indicare con chiarezza quali obiettivi sono perseguiti e con che grado di capacità.
Eppure non mancherebbero i modi, anche rifacendosi a norme già esistenti proprio dedicate alla valutazione. Ad esempio, il decreto del Ministero del lavoro 25 marzo 2016, attuativo dell’articolo 1, comma 182, della legge 208/2015, che ha reintrodotto gli sgravi appunto per il salario “di produttività”. Detto decreto in allegato approva una scheda di monitoraggio delle caratteristiche dei contratti aziendali, per valutare se essi abbiano i requisiti perché le aziende possano accedere agli sgravi. La Sezione 6 di questo modulo, titolata “Indicatori previsti nel contratto” è molto istruttiva, perché contiene 19 possibili indicatori. Eccoli:
1) Volume della produzione/n. dipendenti
2) Fatturato o VA di bilancio/n. dipendenti
3) MOL/VA di bilancio
4) Indici di soddisfazione del cliente
5) Diminuzione n. riparazioni, rilavorazioni
6) Riduzione degli scarti di lavorazione
7) % di rispetto dei tempi di consegna
8) Rispetto previsioni di avanzamento lavori
9) Modifiche organizzazione del lavoro
10) Lavoro agile (smart working)
11) Modifiche ai regimi di orario
12) Rapporto costi effettivi/costi previsti
13) Riduzione assenteismo
14) N. brevetti depositati
15) Riduzione tempi sviluppo nuovi prodotti
16) Riduzione dei consumi energetici
17) Riduzione numero infortuni
18) Riduzione tempi di attraversamento interni lavoraz.
19) Riduzione tempi di commessa.
Si potrebbero scegliere 5-6 degli indicatori visti sopra, molti dei quali corrispondono per altro a previsioni normative già vigenti (customer satisfaction, rispetto dei tempi, modifiche dell’orario, riduzione dei tempi, etc) per stabilire questi standard.
Altrettanto utile, specie per gli obiettivi dell’organizzazione, potrebbe essere – negli enti locali – fare riferimento ai paramdetri indicatori dello stato di crisi finanziaria.1

Anche per quanto riguarda il “come” valutare si brancola nel buio. Non sapendo bene cosa valutare, risulta ovviamente complicato anche stabilire strumenti di valutazione semplici ed efficaci.
La riforma Brunetta, puntando ottimisticamente sulla propria (inesistente) capacità di risolvere le due questioni del cosa e come valutare, come noto puntò molto sull’esito forzato della differenziazione in tre fasce.
Un sistema mai partito e definitivamente sepolto con la riforma dell’articolo 19 del d.lgs 150/2017, prodotta dal dlgs 74/2017. Il nuovo comma 1 dell’articolo 19 dispone: “Il contratto collettivo nazionale, nell'ambito delle risorse destinate al trattamento economico accessorio collegato alla performance ai sensi dell'articolo 40, comma 3-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, stabilisce la quota delle risorse destinate a remunerare, rispettivamente, la performance organizzativa e quella individuale e fissa criteri idonei a garantire che alla significativa differenziazione dei giudizi di cui all'articolo 9, comma 1, lettera d), corrisponda un'effettiva diversificazione dei trattamenti economici correlati.
La preintesa del Ccnl funzioni locali risponde molto parzialmente alle previsioni della norma.
In primo luogo, fissando la quota delle risorse da destinare ai risultati organizzativi ed individuali. L’articolo 68 per la verità si limita ad indicare solo la quota delle risorse da destinare al risultato individuale, che dovrà essere non meno del 30% delle risorse variabili (ma al netto del possibile incremento dell’1,2% del monte salari del 1997 esclusa la dirigenza e dell’incremento ulteriore previsto dall’articolo 67, comma 5, lettera b), della preintesa). Non sono, quindi, stati forniti criteri per determinare quante risorse destinare al risultato dell’organizzazione.
Anche sulla “significativa differenziazione” dei trattamenti economici, da correlare alla simmetrica differenziazione dei giudizi, la preintesa è rimasta sul vago. La formula è contenuta nell’articolo 69, i cui tre commi prevedono quanto segue:
1. ai dipendenti che conseguano le valutazioni più elevate, secondo quanto previsto dal sistema di valutazione dell’ente, è attribuita una maggiorazione del premi individuale di cui all’art. 68, comma 2, che si aggiunge alla quota di detto premio attribuita al personale valutato positivamente sulla base dei criteri selettivi.
2. La misura di detta maggiorazione, definita in sede di contrattazione integrativa, non potrà comunque essere inferiore al 30% del valore medio pro-capite dei premi attribuiti al personale valutato positivamente ai sensi del comma 1.
3. La contrattazione integrativa definisce altresì, preventivamente, una limitata quota massima di personale valutato, a cui tale maggiorazione può essere attribuita”.
Si tratta di qualcosa di simile a quanto già esiste dalla riforma Brunetta. Il d.lgs 150/2009 all’articolo 21 disciplina il “bonus annuale delle eccellenze” al quale evidentemente si ispira la norma dell’articolo 69, la quale prevede:
  1. che al personale è obbligatorio attribuire valutazioni differenziate (non è data alcuna indicazione, però, su come e quanto differenziare, tradendo una previsione del d.lgs 75/2017);
  2. ai dipendenti che ottengano le valutazioni più elevate si assegna un premio che si aggiunge a quello derivante già dalla valutazione ottenuta;
  3. la maggiorazione non potrà essere inferire al 30% del premio ottenuto per effetto della valutazione, calcolata sulla media pro capite dei premi assegnati al personale valutato positivamente “ai sensi del comma 1”: si dovrebbe trattare quindi del personale che consegue il diritto alla maggiorazione;
  4. la maggiorazione potrà andare a una piccola parte del personale con valutazione elevata.
Il compito delle amministrazioni consiste nei seguenti passaggi:
  1. partire dalla fine e cioè dal comma 3: cioè concordare mediante il contratto decentrato una quota massima “limitata” di personale che potrà giovarsi del meccanismo di “differenziazione” teso a premiare i più meritevoli. Solo pochi potranno ottenere la maggiorazione del risultato ottenuto del 30%;
  2. allo scopo di cui sopra, occorrerà identificare le “valutazioni più elevate” conseguite le quali scatta il premio. Spetterà alla contrattazione decentrata decidere se si tratterà di valutazioni di vertice assolute (perché superiori ad una determinata soglia) o relative (perché le più alte, di anno in anno, in relazione alla “graduatoria” delle valutazioni);
  3. reperire all’interno delle risorse decentrate di parte variabile le risorse necessarie a garantire la maggiorazione del premio spettante a coloro che ne avranno diritto.
Nella sostanza, la preintesa, tradendo l’indicazione del d.lgs 74/2017 di prevedere criteri chiari ed immediatamente applicabili per differenziare le valutazioni, finisce per proporre, ma in modo assolutamente sfumato, la logica delle “fasce”, che da tre passano a solo due, una delle quali, però, estremamente ridotta perché limitata a poche figure. La valutazione ragionata del merito è ancora lontana.
1
P1: valore negativo del risultato contabile di gestione superiore in termini di valore assoluto al 5% rispetto alle entrate correnti;
P2: volume dei residui attivi di nuova formazione provenienti dalla gestione di competenza relativi ai titoli I e III, con esclusione del fondo di solidarietà, superiori al 42% rispetto agli accertamenti di entrata agli stessi titoli I e III (escluso sempre il fondo di solidarietà);
P3: ammontare dei residui attivi provenienti dalla gestione dei residui attivi di cui ai titoli I e III superiore al 65% rispetto agli accertamenti di competenza ai medesimi titoli;
P4: residui passivi provenienti dal titolo I superiori al 40% degli impegni di spesa corrente;
P5: procedimenti di esecuzione forzata superiori allo 0,5% delle spese correnti;
P6: volume complessivo delle spese di personale rispetto alle entrate correnti dei titoli I, II, III superiore al 40% nei comuni fino a 5.000 abitanti, al 39% nei comuni da 5.000 a 29.999 abitanti, al 38% nei comuni superiori a 29.999 abitanti;
P7: debiti di finanziamento non assistiti da contribuzioni superiori al 150% rispetto alle entrate correnti negli enti che hanno un risultato di gestione positivo e superiore al 120% negli enti che hanno un risultato di gestione negativo;
P8: debiti fuori bilancio superiori all’1% degli accertamenti di entrata corrente (l’indice si considera negativo se la soglia viene superata in tutti e tre gli ultimi esercizi finanziari);
P9: anticipazioni di tesoreria non rimborsate al 31.12 superiori al 5% delle entrate correnti;
P10: ripiano squilibri in sede di provvedimento di salvaguardia con alienazione di beni e/o di avanzo di amministrazione superiori al 5% della spesa corrente.

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