Tra le varie ipotesi di soluzione
al rebus post elettorale una, secondo molti osservatori, appare possibile: la
prosecuzione dell’attuale Governo per lo svolgimento di compiti di ordinaria
amministrazione, mentre si traghetta il Paese o verso nuove elezioni o verso la
soluzione del rebus.
L’espressione “ordinaria
amministrazione” manca nel lessico politico ma molto, troppo tempo. Sono ormai
decine di anni che, regolarmente, si parla di “cambiamento” e di “riforme”
immancabilmente “strutturali” e molto spesso anche “epocali”. E di conseguenza
si è dato vita ad una corsa senza sosta, senza fiato, spesso senza la dovuta
riflessione, a riforme che si inseguono, si doppiano, si avviluppano, si
riformano nuovamente, con un moto perpetuo, ma disordinato identico a quello di
certe fosse di serpenti.
Si tratta della “riformite”, la
compulsione a produrre in continuazione “riforme”, per altro spesso dettate
dall’urgenza e scritte con urgenza, passando per decreti legge convertiti a
seguito di proposizioni di voti di fiducia, oppure per deleghe legislative
conferite in fretta e furia dal Parlamento al Governo, che poi sta anni per
attuarle e produce i decreti legislativi regolarmente allo scadere della
delega, saltando passaggi, ignorando pareri del Consiglio di stato, scrivendo
in modo altrettanto raffazzonato contenuti che finiscono per rendere ogni
riforma più difficoltosa, complicata, meno efficace e più costosa (se non in
termini finanziari, quanto meno per la maggiore complessità) della precedente.
Allora una “ordinaria
amministrazione”, a fronte di decenni di questo modo di produrre riforme spesso
controproducenti, sarebbe, forse, il modo per ripensare profondamente il ruolo
ed i compiti di Parlamento, Governo e pubblica amministrazione (riducendo a
questo ambito le riflessioni che qui si propongono).
Il Governo, da troppo tempo, ha
assunto un ruolo di promotore e gestore del processo legislativo. Il
Parlamento, di conseguenza, si è trasformato in un convertitore di decreti
legge o un produttore di deleghe al Governo.
Ciò, lungi dal rallentare la
produzione delle norme (uno dei grandi equivoci della mancata riforma della
Costituzione), l’accelera, con deleterie conseguenze. Il Parlamento di fatto si
priva del suo ruolo, mentre il Governo vi supplisce, ma, intento più a produrre
norme che misure necessarie per attuarle, lascia spazi operativi ed
interpretativi oscuri ed aperti, poi, ad interventi surrogatori di mille
soggetti: authorities, sezioni regionali della Corte dei conti, Aran, agenzie.
Talmente ampio ed insostenibile è l’operato normativo, che il Governo ha finito
anche per “subappaltarlo”, come dimostra la soft law concessa all’Anac,
dotata, mediante le Linee Guida, di un vero e proprio potere normativo di terzo
grado, non previsto dalla Costituzione, che modifica ed integra le regole
normative, ma spesso sulla base di mere posizioni interpretative che non sempre
convincono la giurisprudenza. Così, sentenze contraddittorie con le regole interpretative
adottate dagli enti che si insinuano negli spazi vuoti lasciati dal Governo,
rendono ancora “straordinaria” un’amministrazione che, di fatto, è
sostanzialmente caotica.
Certo, bisogna intendersi.
Un’ordinaria amministrazione sarebbe davvero utile non solo se capace di
sospendere (meglio sarebbe, porre fine) questa coazione a produrre leggi e
norme senza ponderazione, ma soprattutto se sapesse proprio mettere “ordine” al
caos.
Pochi esempi. Il codice dei
contratti è, probabilmente, uno dei simboli più chiari della sciagurata
“riformite”: ha bloccato gli appalti, ha reso le procedure più complicate,
entra in dettagli operativi che dovrebbero essere regolati dalle singole
stazioni, cede spazi di regolazione alla soft law creando ulteriori
situazioni di incertezza, è già stato modificato in modo ampio due volte ed
ancora non ha trovato il suo assetto, il suo scopo, la sua utilità.
Un’ordinaria amministrazione
potrebbe essere la sede per intervenire. Un’ordinaria amministrazione non
attenta alla necessità di lanciare nei media il carattere “epocale” di una
riforma potrebbe partire dall’esperienza, leggasi contrasti interpretativi tra
Anac e giurisprudenza e tra la stessa giurisprudenza, per inserire tasselli
chiari: sul deleterio principio di rotazione negli inviti, sul ruolo del
responsabile unico del procedimento, sulla corretta percentuale del subappalto,
sulla questione incredibilmente lasciata ancora aperta dalla lobby degli
avvocati connessa all’attrazione degli incarichi ai legali nell’alveo della concorrenza,
sulla composizione delle commissioni di gara (abbandonando il sistema bizantino
previsto dal codice, che farà perdere mesi solo per nominare le commissioni),
sulla forma dei contratti, sulle regole per la compartecipazione pubblica alle
concessioni.
Perché il ruolo di
un’amministrazione, specie se ordinaria, è quello di una “manutenzione
ordinaria”: non si demolisce l’edificio, ma si consente alle porte di aprirsi
senza cigolare, ai rubinetti di far scendere l’acqua calda, all’impianto
elettrico di rispondere ai comandi, eliminando i guasti, i rallentamenti, le
disfunzioni.
Un’amministrazione ordinaria, di
per sé slegata alle impellenze della rielezione, potrebbe e soprattutto
dovrebbe intervenire per dirimere una volta per tutte i contrasti interpretativi,
specie quelle che inquinano la gestione di ogni giorno. Come, ad esempio,
l’incredibile storia della riconduzione degli incentivi per le funzioni
tecniche degli appalti nel tetto delle risorse contrattuali decentrate, cosa
che ha bloccato moltissimi contratti decentrati e si presenta come impedimento
a corrette relazioni sindacali proprio mentre si è riaperta la stagione
contrattuale. Oppure, gli incredibili contrasti tra Corte dei conti e giudici
del lavoro sull’erogazione dei diritti di rogito ai segretari comunali di
qualifica A e B negli enti privi di dirigenza.
Per la pubblica amministrazione
un periodo di moratoria all’iperlegislazione, alla “riformite” ed ai contrasti
sarebbe, questa sì, una occasione “epocale” da non perdere, nel tentativo di
riordinare competenze, funzioni, ruoli, azioni.
E’ chiaro che questo si svela più che un programma operativo di un
Governo della durata di pochi mesi, un vasto programma di legislatura e forse
addirittura di più legislature. La realtà rivelerà, molto probabilmente, che l’ordinaria
amministrazione sarà solo un breve segmento fin troppo connesso ai fini della
politica e che le esigenze di pulizia, limatura, grassatura, consolidamento e
correzione verranno messe da parte non appena le Istituzioni saranno insediate
nei loro pieni poteri.
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