mercoledì 27 giugno 2018

Statali, impronte digitali ok, ma fra una timbratura e l'altra che succede?

Da diversi anni, ormai, qualsiasi coalizione di Governo ha capito che per provare una captatio benevolentiae a buon mercato deve agitare la bandiera della lotta ai "fannulloni" della PA.

I fatti di cronaca, purtroppo, danno anche molte ragioni a questo modo di agire, al quale il nuovo Ministro della funzione pubblica, Giulia Bongiorno, non si è di certo sottratta, proponendo di utilizzare, insieme col "badge" anche sistemi di riconoscimento biometrici, come le impronte digitali.
Diciamolo con chiarezza: al netto del problema dei costi per l'impianto del sistema, che occorre in qualche modo finanziare, l'idea va benissimo.
Sia le norme volute da Renato Brunetta, sia quelle impiantate da Marianna Madia, si sono incentrate eccessivamente sulla repressione, agendo poco sulla prevenzione.
L'idea del neo-Ministro apre una strada nuova e diversa, chiarendo che non è certo con la corsa affannosa a rendere il procedimento disciplinare sempre più breve (dai 120 giorni - certamente non pochi - previsti dalla riforma Brunetta, ai 30 giorni per il licenziamento ideati dalla Madia) un deterrente sufficiente.
Detto questo, rimane aperto sempre il solito problema. Tra una timbratura con impronta digitale ed un'altra, cosa produce il dipendente pubblico?
Perdura l'assenza di un'idea generale di individuazione di standard di rilevazione e misurazione delle attività, salvo rarissime eccezioni.
Quando arriverà il momento di concentrarsi su questo tema, che ha segnato il fallimento assoluto proprio della riforma Brunetta e l'irrilevanza della riforma Madia, si sarà compiuto il passo decisivo verso un'idea nuova di efficienza ed utilità della pubblica amministrazione.

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