Non solo ha bloccato per 2 anni le assunzioni, cagionato trasferimenti di personale senza alcun senso e nessuna guida, devastato i bilanci delle province, ridotto servizi ai cittadini (scuole e strade, ma anche aiuti ai disabili sensoriali), ma non ha nemmeno garantito il risparmio di nessuno dei centesimi che compongono i 3 miliardi sottratti alle province.
Quei miliardi se li è tenuti per sè lo Stato: dunque, niente riduzioni di tasse. Ma, lo Stato non poteva farlo. Per la semplice ragione che i finanziamenti sottratti alle province per la gestione delle funzioni assegnate ad altri enti (regioni in primis) dovevano essere girati a quegli enti.
La sentenza della Consulta 137/2018 (sotto lo stralcio che interessa), conferma quanto chi scrive rileva da anni. Ma soprattutto evidenzia l'insipienza assoluta di chi ha promosso e gestito una riforma dettata solo da compulsioni giornalistiche a buon mercato, senza capire che funzioni pubbliche costano, e costano quel che costano, qualsiasi sia l'ente che le gestisce.
Ovviamente, nessuno dei molti autori di questo scempio pagherà pegno.
Stralcio della sentenza della Consulta 137/2018
Nel momento in cui lo Stato avvia un processo di riordino delle funzioni non fondamentali delle province, alle quali erano state assegnate risorse per svolgerle, in attuazione dell'art. 119 Cost., questa stessa norma costituzionale impedisce che lo Stato si appropri di quelle risorse, costringendo gli enti subentranti (regioni o enti locali) a rinvenire i fondi necessari nell'ambito del proprio bilancio, adeguato alle funzioni preesistenti. L'omissione del legislatore statale lede l'autonomia di spesa degli enti in questione (art. 119, primo comma, Cost.), perché la necessità di trovare risorse per le nuove funzioni comprime inevitabilmente le scelte di spesa relative alle funzioni preesistenti, e si pone altresì in contrasto con il principio di corrispondenza tra funzioni e risorse, ricavabile dall'art. 119, quarto comma, Cost. (sentenze n. 10 del 2016, n. 188 del 2015, n. 17 del 2015, n. 22 del 2012, n. 206 del 2001, n. 138 del 1999, n. 381 del 1990), perché all'assegnazione delle funzioni non corrisponde l'attribuzione delle relative risorse, nonostante quanto richiesto dalla legge n. 56 del 2014 e dalla sentenza n. 205 del 2016 di questa Corte. La necessità del finanziamento degli enti destinatari delle funzioni amministrative, del resto, si fonda sulla «logica stessa del processo di riordino delle funzioni» (sentenza n. 84 del 2018), come è confermato dai diversi atti legislativi che hanno disciplinato conferimenti di funzioni: si vedano gli artt. 3, comma 1, lettera b), e 7, comma 1, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa); gli artt. 3, comma 3, e 7 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59); l'art. 149, comma 12, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali); l'art. 2, comma 5, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3); gli artt. 2, comma 2, lettera ll), 8, comma 1, lettera i), e 10 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione); l'art. 19, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica).
Poiché l'interpretazione accolta dalla sentenza n. 205 del 2016 di questa Corte non ha trovato riscontro nel successivo operato dello Stato, si rende ora necessario sancire il dovere statale di riassegnazione delle risorse con una pronuncia di accoglimento che dichiari illegittimo l'art. 16, comma 1, nella parte in cui - modificando l'art. 1, comma 418, della legge n. 190 del 2014 - non prevede la riassegnazione alle regioni e agli enti locali, subentrati nelle diverse regioni nell'esercizio delle funzioni provinciali non fondamentali, delle risorse acquisite dallo Stato per effetto dell'art. 1, commi 418 e 419, della legge n. 190 del 2014 e connesse alle stesse funzioni non fondamentali. Resta riservata al legislatore statale l'individuazione, nel contesto delle valutazioni attinenti alle scelte generali di bilancio, del quantum da trasferire, con l'onere tuttavia di rendere trasparenti, in sede di approvazione dell'atto legislativo di riassegnazione delle risorse, i criteri seguiti per la quantificazione (sul rilievo dell'istruttoria tecnica ai fini del controllo di costituzionalità sentenze n. 20 del 2018, n. 124 del 2017, n. 133 del 2016, n. 70 del 2015).
fatevi ridare il suffragio universale, senza il quale gli organi rappresentano solo la casta dei consigli comunali
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