domenica 11 novembre 2018

Raggi: il fatto non costituisce reato. Ma è un metodo illegittimo sul piano amministrativo



Che le affermazioni del sindaco Raggi di aver condotto personalmente la pratica per l’incarico dirigenziale conferito a Renato Marra, fratello di Raffaele Marra all’epoca dirigente del personale del comune di Roma, siano un fatto che costituisce reato di falso era piuttosto facile aspettarselo.

Oggettivamente, una volta archiviata l’ipotesi di abuso d’ufficio, l’insistenza sul reato di falso era fondata sull’argilla: la presupposizione che il sindaco mentì rispetto al ruolo svolto da Raffaele Marra (qualificato come limitato alla sola redazione di atti contenenti decisioni adottate esclusivamente dal sindaco) “per non dimettersi in base al codice etico del Movimento 5 stelle”. Un “movente” davvero di poca consistenza.
Rilevato che l’incarico né abbia dato vita al reato di abuso d’ufficio, né al reato connesso di falso, due osservazioni sono opportune.
La prima riguarda ciò che verosimilmente sarebbe accaduto se il sindaco di Roma fosse stato condannato: si sarebbe riaperta con estrema velocità la corsa a riformare la dirigenza pubblica nel solco della devastante riforma Madia, allo scopo di sottrarre per sempre gli organi di governo da qualsiasi tipo di responsabilità. E’ da ricordare che la micidiale riforma Madia nella sostanza intendeva legittimare incarichi arbitrari, affidati “pescando” da ruoli unici senza alcuna particolare motivazione rispetto al soggetto scelto, così legittimando incarichi legati prevalentemente se non esclusivamente a comunanza d’intenti, amicizia, collaborazione nella campagna elettorale, affinità politiche. Non è, comunque, detto che lo scampato pericolo non consigli comunque di provare a ripercorrere una riforma che a quanto pare al Ministro Bongiorno non dispiace molto, ma che non è mai stata espressamente osteggiata nemmeno dal partito di maggioranza relativa in Parlamento.
La seconda concerne, invece, un fatto estraneo al processo penale, ma molto rilevante sul piano amministrativo. Sebbene non vi sia stato alcun reato, la violazione delle misure previste dalla normativa anticorruzione (in particolare il dovere di astensione imposto dagli articoli 6 e 7 del dpr 63/2013) e delle regole per definire gli incarichi dirigenziali costituiscono illegittimità amministrative tanto evidenti, quanto passate del tutto inosservate.
Per molti osservatori, specie dei media non specializzati, sarebbe stato ed è un bene che il sindaco di Roma venisse e sia stato assolto, perché “un sindaco deve avere il diritto di incaricare persone di propria fiducia”.
Ecco, questo assunto è totalmente sbagliato, contrario all’attuale assetto della Costituzione ed alle norme che presidiano gli incarichi dirigenziali.
Il sistema non prevede in alcun modo la fiducia come presupposto per l’assegnazione degli incarichi dirigenziali. Lo chiariscono le norme a presidio:
Articolo 19, commi 1, 1-bis, e 2 del d.lgs 165/2001
Articolo 109, comma 1, d.lgs 267/2000
1. Ai fini del conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale si tiene conto, in relazione alla natura e alle caratteristiche degli obiettivi prefissati ed alla complessità della struttura interessata, delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente, dei risultati conseguiti in precedenza nell'amministrazione di appartenenza e della relativa valutazione, delle specifiche competenze organizzative possedute, nonché delle esperienze di direzione eventualmente maturate all'estero, presso il settore privato o presso altre amministrazioni pubbliche, purché attinenti al conferimento dell'incarico. Al conferimento degli incarichi e al passaggio ad incarichi diversi non si applica l'articolo 2103 del codice civile.
1. Gli incarichi dirigenziali sono conferiti a tempo determinato, ai sensi dell'articolo 50, comma 10, con provvedimento motivato e con le modalità fissate dal regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, secondo criteri di competenza professionale, in relazione agli obiettivi indicati nel programma amministrativo del sindaco o del presidente della provincia e sono revocati in caso di inosservanza delle direttive del sindaco o del presidente della provincia, della giunta o dell'assessore di riferimento, o in caso di mancato raggiungimento al termine di ciascun anno finanziario degli obiettivi assegnati nel piano esecutivo di gestione previsto dall'articolo 169 o per responsabilità particolarmente grave o reiterata e negli altri casi disciplinati dai contratti collettivi di lavoro. L'attribuzione degli incarichi può prescindere dalla precedente assegnazione di funzioni di direzione a seguito di concorsi.

Come si nota, nessuna delle due norme (la seconda specificamente dedicata all’ordinamento degli enti locali) fa riferimento minimo a rapporti di fiducia tra sindaco e dirigenza; al contrario, entrambe sono orientate ad una proceduralizzazione rivolta a vincolare l’organo di governo ad indirizzare le proprie scelte sulla base della valutazione delle capacità tecniche e professionali.
Il problema è la totale assenza di controlli esterni e preventivi di legittimità sugli atti. Appalti, assunzioni, incarichi, contributi a terzi, provvedimenti concessori sono qualificati espressamente come ambiti a rischio di corruzione dalla legge 190/2012. Le misure per prevenire i molti pericoli corruttivi e di legittimità previsti dalla normativa anticorruzione, però, sono insufficienti ed inefficienti. Si tratta di una miriade di meri adempimenti, centinaia di pubblicazioni di atti, o di complessi documenti come i piani triennali di prevenzione della corruzione, che restano lettera morta e non hanno fin qui mai avuto la capacità né di prevenire, né di scovare nessun comportamento corruttivo o illegittimo.
La trasparenza, la pubblicità, sono benvenute e utili. Ma, per “prevenire” occorrono strumenti che “prevengano”, capaci. Cioè di evitare che un atto illegittimo o corruttivo produca i suoi effetti.
Gli incarichi dirigenziali, visto che non sono né devono essere atto di vassallaggio nella disponibilità del feudatario, debbono essere sottoposti a controlli preventivi di legittimità da parte di autorità terze, per evitare che i fatti di Roma, che per altro si verificano trasversalmente sempre in tutti gli altri 8.100 comuni italiani, si ripeteranno. Non c’è reato, ma illegittimità amministrativa sì.

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