Nel disegno di legge delega di
riforma della PA (qualcosa di molto diverso dalla “concretezza” minimale alla
quale l’inquilina di Palazzo Vidoni aveva pur dichiarato di ispirarsi) riemerge
un’idea già altre volte ipotizzata e, per fortuna, mai realizzata: eliminare il
nulla osta come condizione della mobilità.
Si tratta di un’idea del tutto
insensata, per quanto goda di larghi favori nella pubblica amministrazione,
tendenzialmente da due tipologie di soggetti:
a)
i vertici, tanto politici quanto tecnici, delle
amministrazioni, che così si esentano dal dover effettuare procedure
concorsuali e inoltre possibilmente riescono ad “orientare” le mobilità così da
scegliere chi meglio loro aggradi; e non sempre la scelta risulterebbe
orientata verso i migliori, ma alte sarebbero le possibilità di designazioni dovute
a “comune sentire” politico;
b)
molti dipendenti, per i quali si aprirebbe la
possibilità di andare da un ente all’altro con piena libertà, aspetto non secondario
quando per qualsiasi ragione la sede di lavoro non risulti pienamente gradita o
soddisfacente.
Queste ragioni sono puramente speculative
ed “egositiche”. Per quanto rispettabili, infatti, sono guidate da interessi
esclusivamente circoscritti alla sfera dell’ente “ricevente” o a quella
personale del dipendente. E’ molto da dubitare, però, della possibilità di
attribuire a queste ragioni anche dignità di perseguimento di interessi
pubblici collettivi.
Non v’è, infatti, dubbio che la “liberalizzazione”
della mobilità comporti lesioni molto forti alla stabilità organizzativa delle
amministrazioni pubbliche. Se un’amministrazione “ricevente”, per le ragioni
viste sopra, si può considerare soddisfatta dal sistema “liberalizzato”,
simmetricamente l’amministrazione dalla quale proverrebbe il dipendente si
ritroverebbe priva di una pedina lavorativa e con la necessità di ripristinare
l’organico. Magari, ricorrendo a quel punto a sua volta a procedure di mobilità,
che inciderebbero sull’organizzazione di una terza amministrazione e così via.
Ogni principio di programmazione
dei fabbisogni e delle assunzioni salterebbe per aria. Nessuna amministrazione
avvierebbe la gestione operativa con un minimo di certezza sulle necessità del
proprio organico, perché da un momento all’altro uno o più dipendenti
potrebbero andar via grazie alla mobilità “liberalizzata”.
Il sistema previsto dal disegno
di legge confida, evidentemente, su un’altra riforma, per altro anticipata dalla
legge di bilancio 2019: la realizzazione di “concorsi unici” nazionali, che
creino graduatorie molto ampie per profili professionali omogenei. Laddove
questo sistema funzionasse, per le amministrazioni sarebbe possibile rimediare
al vuoto di organico cagionato dalla mobilità “liberalizzata” non solo, quindi,
attivando a propria volta una chiamata per mobilità, ma anche attingendo alla
mega graduatoria nazionale.
Non è chi non veda, però, i
gravi rischi organizzativi sottesi a questa eventualità. Infatti, per un verso
occorre avere la prova nei fatti che il sistema dei concorsi unici nazionali
sia capace di funzionare davvero presto e bene. L’esperienza sin qui vista per
i simili strumenti di aggregazione degli appalti non conforta. Appalti enormi,
per importi ed estensione territoriale, spesso si inchiodano per una singola
vertenza di una ditta e non se ne esce. Da anni i soggetti aggregatori non sono
in grado, ad esempio, di attivare una convenzione per gli arredi scolastici.
Basterebbe, quindi, il ricorso
anche di un solo concorrente del concorso unico, per bloccare la procedura anche
per anni: nel frattempo, le amministrazioni come potrebbero coprire il posto
vacante? Solo con altra mobilità, innescando a catena altri disagi per altre
amministrazioni.
In ogni caso, anche se il
concorsone unico funzionasse, sarebbe necessario che la struttura centralizzata
fosse capace di individuare tutte, ma proprio tutte, le figure professionali
omogenee individuate dai fabbisogni delle pubbliche amministrazioni, per evitare
buchi o scoperture. Cosa non semplice, visto che manca totalmente un data base
dei profili professionali, risultando anche assente ancora una direttiva chiara
su come determinarle; si aggiunga che la contrattazione collettiva ha – come era
facile aspettarsi – mancato del tutto l’obiettivo posto dalla riforma Madia di
rivedere i profili, con l’eccezione delle figure certamente non indispensabili
connesse alla comunicazione istituzionale.
Sarà davvero capace una struttura
centrale di indire concorsi per centinaia di figure professionali, soddisfacendo
davvero i fabbisogni delle amministrazioni, in tempi rapidi, senza ricorsi e
con piena efficacia?
La domanda è evidentemente
retorica. Non vi è alcun dubbio che i tempi saranno lunghi, i ricorsi
molteplici, gli stalli inevitabili.
Si dimentica, tra le suggestioni
di mega sistemi centralizzati troppo grandi per poter funzionare senza intoppi
e le istanze di tutelare presunti diritti alla mobilità dei lavoratori pubblici,
che questi ultimi possono essere perseguiti dai dipendenti, senza alcuna forzatura
ai sistemi e senza ledere i minimi principi di buona organizzazione. Nessuno,
infatti, impedisce a ciascun dipendente pubblico che intenda avviare una nuova
esperienza di lavoro nella PA di partecipare ai concorsi pubblici. In questo modo,
il dipendente che risulti vincitore non ha bisogno di nessuna autorizzazione
dell’ente di appartenenza: basta che si dimetta e prenda servizio presso quello
nel quale ha vinto il concorso.
Allo scopo, forse, invece di
inventare sistemi che finirebbero per indurre le amministrazioni a “rubarsi” i
dipendenti tra loro, rendendo, si ribadisce, impossibile la programmazione e anche
la stessa gestione in particolare negli enti di piccole dimensioni e con logistiche
non fortunatissime (si pensi al problema irrisolto e quasi irrisolvibile delle
sedi di segreteria dei comuni di piccole dimensioni), si potrebbe, ad esempio, pensare
a sistemi di priorità nelle valutazioni di dipendenti pubblici che partecipino
a concorsi pubblici per profili professionali simmetrici a quelli in godimento.
L’idea, invece, della mobilità senza
nulla osta resta quello che è e che è sempre stata: un’insensatezza, come ha
anche dovuto prendere atto chi ha preceduto l’attuale Ministro della Funzione
Pubblica, quando nel 2014 fortunatamente recedette dall’idea di liberalizzarla.
Un’idea assurda e dannosa, che però evidentemente a Palazzo Vidoni continua ad
aleggiare.
Concordo che la mobilità liberalizzata è dannosa. Occorre pero' altresì stabilire dei criteri oggettivi nella concessione di nulla osta (anzianità di servizio? Non piu' di un tot di dipendenti l'anno e relative liste di attesa?) per evitare che la completa discrezionalità leda il principio di imparzialità (d'accordo, la concessione del nullaosta non è un atto amministrativo ma un atto del "datore di lavoro privatizzato" ma in ogni caso bisogna impedire che possano verificarsi situzioni in cui si da il nulla osta a Tizio perche' è simpatico al Dirigente/Segretario e non a Caio perche' magari è antipatico o per altri motivi); peggio ancora le amministrazioni che danno il nulla osta ai lavoratori peggiori "per levarseli dai piedi" e trattengono con la forza i piu' meritevoli creando una sorta di meritocrazia al contrario in cui il lavoratore è incentivato a lavorare male per potersi trasferire piu' vicino a casa.
RispondiEliminaPurtroppo ciò che si verifica oggi, prevalentemente, è proprio quanto evidenziato nel precedente commento: la mobilità viene concessa agli amici e ai lavoratori più scarsi, con la conseguenza di minare il clima organizzativo interno e trattenere con la forza - assecondando peraltro una visione (errata) di pubblica amministrazione "proprietaria" dei suoi dipendenti - persone capaci, che però diventano scontente e gioco forza finiscono per ridurre la loro produttività. Detto questo, concordo pienamente con l'idea che la disciplina della mobilità vada rivista nel suo insieme. Non si può parlare di liberalizzazione senza introdurre contestualmente adeguati correttivi che garantiscano il buon andamento delle amministrazioni, ma in mancanza di una "riforma di sistema" in tale direzione è quantomeno necessario introdurre norme che indirizzino la discrezionalità degli enti prevedendo per esempio i casi in cui la mobilità può essere senz'altro concessa, ad esempio quando l'ente dispone di graduatorie in corso di validità coerenti con il profilo da ricoprire.
RispondiEliminaUna soluzione al problema dovrebbe essere quella di rivedere il concetto di mobilità neutra e invece stabilire che la cessazione per mobilità genera capacità assunzionale e l'assunzione per mobilità erode capacità assunzionale.
RispondiEliminaQuesto consentirebbe agli enti di consentire più facilmente ai dipendenti di cambiare ente avendo questi la possibilità di attingere a graduatorie.
Viceversa renderebbe meno appetibile agli enti l'assunzione per mobilità erodendo questa la capacità assunzionale.
Si potrebbero anche predisporre delle linee guida e dei criteri in base ai quali l'amministrazione concede o meno in nulla osta.
EliminaPerò devo farti una domanda forse banale. Se un ente ha una propria graduatoria ancora vigente può attingere da essa senza erodere capacità assunzionale?
A proposito di proposte... per il diritto al trasferimento nel pubblico impiego ( ma con criteri ) ecco una petizione
RispondiEliminahttps://www.change.org/p/commissione-permanente-lavoro-pubblico-e-privato-previdenza-sociale-diritto-al-trasferimento-nel-pubblico-impiego?recruiter=1010828412&utm_source=share_petition&utm_medium=copylink&utm_campaign=share_petition&utm_term=Search%3ESAP%3EIT%3EBrand%3EGeneral%3EExact&fbclid=IwAR0irblO5zifRY1Ebb1XCi0FyxbnJWtcqe2IDmI2XuvOFctQh20gj9Rp6E4