La
legge di bilancio dello Stato per il 2019, approvata dal Senato e in attesa del
voto definitivo della Camera, interviene ancora una volta sulla questione dei
ritardi di pagamento dei debiti da parte delle pubbliche amministrazioni, dopo
che la Commissione Europea[1] lo scorso 7 giugno 2018 ha deciso di inviare al
nostro Paese un parere motivato segnalando che il diritto interno non è
conforme alla direttiva sui ritardi di pagamento, soprattutto con riguardo alle
norme del codice dei contratti pubblici –modificate dal d.lgs. 56/2017-che di
fatto estendono “sistematicamente di 30
giorni i tempi di gestione del pagamento delle fatture per stato di avanzamento
lavori negli appalti pubblici”.
E’
noto che la direttiva europea relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento
nelle transazioni commerciali prevede che le amministrazioni pubbliche paghino
i loro debiti commerciali (tra i quali rientrano anche le obbligazioni
contratte con liberi professionisti) entro 30 (o, nei casi previsti, 60) giorni
di calendario decorrenti dal ricevimento della fattura o richiesta equivalente
di pagamento. Tale direttiva è stata recepita con il d.lgs n. 231 del 2002,
successivamente modificato dal d.lgs. 192 del 2012, i cui artt. 3 e 6
stabiliscono che, in caso di violazione dei termini di pagamento, la pubblica
amministrazione è obbligata a corrispondere interessi moratori nella misura di
8 punti percentuali superiori al saggio legale (indipendentemente da un atto di
costituzione in mora), a rimborsare le spese sostenute dall’operatore economico
per il recupero del corrispettivo e a risarcire il danno con importo
forfettario pari ad € 40,00 (salvo prova di danno maggiore).
Il
legislatore, nel tempo, è intervenuto con una serie organica e strutturale di
misure finalizzate al rispetto dei tempi di pagamento e ad evitare il
riformarsi di uno stock di debito
scaduto e non pagato.
In
primo luogo, il decreto legge n. 35 del 2013, prendendo atto di una situazione
patologica delle gestioni territoriali che non si erano curate di allineare le
possibilità di spesa alle risorse realmente disponibili, ha introdotto
l’anticipazione di liquidità con la finalità di consentire alle amministrazioni
territoriali pagamenti per spese già effettuate, con conseguente consegna di
beni e servizi da parte dei fornitori, ma senza corresponsione del prezzo
pattuito, perché le coperture formalmente previste nei bilanci degli enti non
avevano trovato effettiva realizzazione. L’istituto, come è stato osservato,
presenta profili di ambiguità riguardo alla natura del finanziamento; la norma,
infatti, prevede la restituzione di capitale ed interessi mediante un piano di
ammortamento che può arrivare fino a 30 anni e, quindi, non coerente con uno degli
elementi tipici, la brevità, dell’anticipazione di cassa (cfr. Corte Cost.
188/2014). Tuttavia, la Corte Costituzionale –aderendo all’interpretazione
fornita dalla Corte dei Conti (cfr. Sez. Aut. n. 19/2014/QMIG)- ha ritenuto,
dando atto che il fenomeno del debito verso i fornitori e dei ritardi di
pagamento aveva assunto dimensioni rilevanti tali da aggravare una situazione
del sistema produttivo nazionale già pesantemente compromessa dal quadro
congiunturale, che “un’interpretazione
sistematica e costituzionalmente orientata
delle norme statali porta a concludere che le anticipazioni di liquidità
altro non costituiscono che anticipazioni
di cassa di più lunga durata temporale rispetto a quelle ordinarie. La loro
ratio, quale si ricava dalla genesi
del decreto legge e dai suoi lavori preparatori[2],
è quella di riallineare nel tempo la cassa degli enti strutturalmente
deficitari con la competenza, attraverso un’utilizzazione limitata al pagamento
delle passività pregresse unita a contestuali risparmi nei bilanci futuri,
proporzionati alle quote di debito inerenti alla restituzione dell'anticipazione
stessa così da rientrare dai disavanzi gradualmente ed in modo temporalmente e
finanziariamente proporzionato alla restituzione dell’anticipazione” ( cfr.
sent. 181/2015, 89/2017; vedi anche sent. n. 49/2018). Le anticipazioni di
liquidità sono state finanziate dai d.l. 35/2013, 102/2013, 66/2014 e 78/2015.
D’altra
parte, è stato creato un sistema di monitoraggio accentrato dei
pagamenti delle fatture da parte delle pubbliche amministrazioni attraverso la
Piattaforma elettronica per i crediti commerciali (PCC), e
contemporaneamente si è puntato sulla
responsabilizzazione delle pubbliche amministrazioni in materia di ritardi dei
pagamenti, introducendo l’obbligo in capo alle stesse di attestare formalmente
i tempi di pagamento dei debiti commerciali e di pubblicare a cadenza
trimestrale ed annuale un apposito indicatore di tempestività dei pagamenti.
L’art.
7-bis del d.l. 35/2013 (introdotto dall’art. 27 del d.l. 66/2014), nel
prevedere che nel caso di fatture elettroniche i dati di tali fatture
“comprensivi delle informazioni di invio e ricezione” sono acquisiti
automaticamente dalla PCC, ha introdotto due obblighi, la cui violazione è
pesantemente sanzionata:
a) l’obbligo
di comunicare, entro il 15 di ciascun mese, tramite la PCC i dati relativi ai
debiti certi, liquidi ed esigibili, per i quali nel mese precedente sia stato
superato il termine europeo di pagamento ( comma 4);
b) l’obbligo
di immettere nella PCC, contestualmente al pagamento, i dati relativi
all’ordinazione stessa ( comma 5).
Il
comma 8 della norma richiamata prevede un rigido
e severo apparato sanzionatorio per la violazione degli obblighi di
comunicazione indicati, che si sostanzia nella responsabilità
dirigenziale e disciplinare del dirigente responsabile ai sensi degli artt.
21 e 55 del d.lgs. 165/2001, ed implica la rilevanza del comportamento
omissivo ai fini della misurazione e valutazione della performance individuale del
medesimo dirigente. A vigilare sulla corretta attuazione di tale obblighi
procedimentali è chiamato l’organo di controllo di regolarità amministrativa e
contabile. Va, tuttavia, chiarito che i dati dei pagamenti effettuati dalle
amministrazioni pubbliche tramite SIOPE+ sono automaticamente acquisiti dal
sistema PCC e, di conseguenza, tutte le funzionalità riferite ai pagamenti,
successivi alla data di adesione della Pa a Siope+, sono state disabilitate, e
restano attive solo quelle necessarie a registrare/modificare in tale
piattaforma i dati di pagamenti effettuati antecedentemente all’adesione al
nuovo sistema[3].
Restano, invece, vigenti tutti gli obblighi di registrazione nel sistema PCC
delle informazioni inerenti alla gestione contabile delle fatture sui propri
sistemi e alla comunicazione mensile dei debiti scaduti[4].
L’art.
41 del d.l. 66/2014 ha, inoltre, introdotto l’obbligo di allegare alla
relazione sul rendiconto un prospetto –sottoscritto dal sindaco e dal responsabile
del servizio finanziario- attestante l’importo complessivo dei pagamenti per
transazioni commerciali effettuati dopo la scadenza dei termini “europei”
nonché l’indicatore annuale di tempestività dei pagamenti previsto dall’art. 33
del d.lgs. 33/2013. La norma prevede che, ove risultino superati i termini di
pagamento di cui all’art. 4 del d.lgs. 231/2002, la relazione deve anche
indicare le misure organizzative adottate o previste per consentire la
tempestiva effettuazione dei pagamenti[5]. Anche su tale adempimento
è chiamato a vigilare l’organo di controllo di regolarità amministrativa e
contabile. L’art.33 del d.lgs. 33/2013[6] ha, infine, introdotto
vari obblighi di pubblicazione nella sezione del sito istituzionale denominata
“amministrazione trasparente” relativi ai pagamenti dei debiti commerciali; il contenuto
di tali obblighi è stato chiarito dal par. 7.2 della deliberazione Anac n.
1310/2016 e dall’allegata griglia riepilogativa. Il legislatore, in pratica,
ritiene che la trasparenza costituisca uno strumento utile alla emersione e
alla riduzione del fenomeno dei ritardati pagamenti delle pubbliche
amministrazioni. Gli obblighi di pubblicazione riguardano:
1) l’indicatore
di tempestività dei pagamenti, da calcolare e pubblicare a cadenza trimestrale
ed annuale (entro la fine del mese successivo alla scadenza di ciascun
periodo); per la determinazione di tale indicatore si fa riferimento agli artt.
9 e 10 del Dpcm 22 settembre 2014[7], che ne prevede il calcolo
come tempo medio dei pagamenti delle transazioni commerciali rispetto al
termine di 30 giorni[8];
2) l’ammontare
complessivo dei debiti scaduti e del numero delle imprese creditrici, da
pubblicare a cadenza annuale entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello
di riferimento.
Su
tale assetto normativo interviene la legge di bilancio dello Stato per il 2019.
A. In
primo luogo, i commi 1015, 1016 e 1017 riconoscono agli enti locali che
rispettano gli obblighi sostanziali e formali attualmente vigenti in materia di
tempestività dei pagamenti la facoltà di stanziare nel bilancio di
previsione per il 2019 un valore pari all’80% dell’accantonamento relativo al
Fcde, in luogo dell’85% previsto dall’art. 1, comma 882 della legge n.
205/2017, così liberando maggiori risorse verso la parte corrente del bilancio.
Le condizioni che debbono essere rispettate per poter fruire di tale
agevolazione sono le seguenti:
a) l’indice
annuale di tempestività dei pagamenti riferito all’anno 2018 deve essere
rispettoso dei termini previsti dall’art. 4 del d.lgs. 231/2002 e le fatture
ricevute e scadute nell’esercizio 2018 debbono essere state pagate per un
importo complessivo superiore al 75% del totale delle stesse;
b) lo
stock di debito commerciale residuo,
rilevato al 31.12.2018, deve risultare inferiore di almeno il 10% rispetto a
quello del 2017, oppure deve essere costituito esclusivamente da debiti oggetto
di contenzioso o contestazione, oppure deve essere nullo.
La
norma prevede, inoltre, che la facoltà di ridurre l’accantonamento al Fcde può
essere esercitata anche dagli enti che, pur non soddisfacendo i criteri di cui
alle superiori lett. a) e b), rispettino le seguenti condizioni:
c) l’indice
di tempestività dei pagamenti, calcolato al 30 giugno 2019, rispetti i termini
di cui all’art. 4 del d.lgs. 231/2002 e le fatture ricevute nel semestre
gennaio-giugno 2019 risultino pagate per un importo di almeno il 75% del totale
delle stesse;
d) lo
stock di debito commerciale residuo
al 30 giugno 2019 si è ridotto del 5% rispetto a quello calcolato al
31.12.2018, oppure sia costituito da debiti oggetto di contenzioso o
contestazione, ovvero sia nullo.
Tuttavia,
il legislatore ha chiarito che tale facoltà di riduzione dell’accantonamento al
Fcde non si applica agli enti che, con riferimento agli esercizi 2017 e
2018, non hanno assolto agli obblighi di
pubblicazione, entro i termini di legge, degli indicatori concernenti
i tempi di pagamento e l’ammontare del debito commerciale residuo e che, con
riferimento ai mesi precedenti l’avvio di SIOPE+, non hanno trasmesso alla PCC le comunicazioni relative al pagamento
delle fatture[9].
Ne consegue che il comma 1017 della legge di bilancio per il 2019 introduce una
vera e propria “sanzione” per la violazione da parte degli enti territoriali
degli obblighi di pubblicazione di cui all’art. 33 del d.lgs 33/2013 nonché per
la violazione degli obblighi di comunicazione alla PCC previsti dall’art. 7-bis
del d.l. 35/2013 e smi. E’, dunque, verosimile che il controllo politico legato
all’approvazione del bilancio di previsione renda effettivo il controllo degli
organi interni sul corretto assolvimento da parte del responsabile del servizio
finanziario degli obblighi procedimentali illustrati, tenuto conto che la loro
violazione comporta un maggior accantonamento di risorse al Fcde e, quindi, una
minore capacità di spesa.
B. In
secondo luogo, la legge di bilancio rifinanzia
le anticipazioni di liquidità e introduce nuove misure strutturali che costituiscono delle vere e proprie
sanzioni per gli enti che non rispettano la direttiva europea sui pagamenti,
riducendo la capacità dei bilanci di tali enti di autorizzare spesa corrente,
con l’obiettivo di garantire quell’allineamento tra capacità di spesa ed entrate
effettive che avrebbe già dovuto assicurare il nuovo sistema contabile
armonizzato e che, nei fatti, non è stato in grado di assicurare.
B.1 In primo luogo, i commi 849-856 della
legge ampliano le possibilità per gli enti territoriali di richiedere anticipazioni
di liquidità finalizzate al pagamento di debiti, maturati (certi, liquidi ed
esigibili) alla data del 31 dicembre 2018, relativi a transazioni commerciali (somministrazioni,
forniture, appalti e obbligazioni per prestazioni professionali). La norma
espressamente prevede che l’anticipazione può essere finalizzata anche al
pagamento di debiti fuori bilancio purchè essi siano stati riconosciuti: la
formulazione letterale del comma 849 non brilla per chiarezza in quanto fa
riferimento al mero riconoscimento del debito e non anche alla sua copertura
finanziaria; tuttavia, gli approdi della giurisprudenza costituzionale e
contabile di cui si è dato conto non lasciano spazi per interpretazioni che
trasformino l’anticipazione in risorse aggiuntive, sottraendola dalla funzione
di mero ausilio di cassa. La norma prevede (comma 850) che il limite massimo
dell’anticipazione concedibile è pari ai 3/12 delle entrate accertate nel 2017
(dati del rendiconto) afferenti i primi tre titoli dell’entrata del bilancio; essa
va richiesta entro il 28 febbraio 2019 e restituita entro il 15 dicembre 2019
(853 e 855); come ha sottolineato il Servizio di Bilancio nel dossier sui
profili finanziari del disegno di legge “l’adempimento
dell’obbligo di restituzione a fine anno potrebbe non essere praticabile
qualora l’ente versi in una situazione strutturale di liquidità o nella
necessità di rientro da situazioni di squilibrio finanziario”. E’
espressamente previsto che le anticipazioni non costituiscono indebitamento
(851) e che a fronte della concessione gli enti debbono rilasciare una
delegazione di pagamento (852) e pagare tutti i debiti inseriti nella richiesta
di concessione entro 15 giorni dall’effettiva erogazione delle somme (853 e
854). La richiesta di anticipazione deve essere effettuata mediante la PCC. Si
richiama l’attenzione sulle disposizioni del comma 857, a mente del quale per
gli enti che non hanno richiesto l’anticipazione di liquidità pur avendo debiti
scaduti al 31.12.2018 o che pur avendola richiesta non hanno pagato i debiti
entro 15 giorni dall’erogazione delle risorse “nell’anno 2020 le misure di cui ai commi 862, 864 e 865 sono
raddoppiate”: si tratta del nuovo obbligo di accantonamento di cui parleremo
più avanti. La norma solleva dubbi interpretativi in quanto l’anticipazione di
liquidità sembra dover essere richiesta in caso di presenza di debiti
commerciali non pagati tempestivamente, indipendentemente dal fatto che la
carenza di liquidità sia temporanea ovvero strutturale; in quest’ultimo caso, l’ente
per evitare di dover accantonare nel 2020 un Fondo di garanzia per debiti
commerciali di valore doppio rispetto agli enti che non si trovano al
31.12.2018 con debiti commerciali scaduti e non pagati potrebbero trovarsi
nell’impossibilità di restituire a fine anno l’anticipazione richiesta.
B.2 A regime, a decorrere dal 2020, i
commi 859 e segg. introducono misure più restrittive a garanzia
dell’effettività dei pagamenti nei termini europei, con norme che il comma 858
definisce “principi fondamentali di
coordinamento della finanza pubblica” ai sensi degli artt. 117, terzo comma
e 119, secondo comma, della Costituzione. E’ opportuno chiarire che secondo la
giurisprudenza costituzionale la materia del coordinamento della finanza
pubblica non può essere limitata alle norme aventi lo scopo di limitare la
spesa, ma comprende anche quelle aventi la funzione di “riorientare” la spesa
pubblica, per una complessiva maggiore efficienza del sistema (cfr. Corte Cost.
n. 8/2013 e n. 272/2015). In pratica, il legislatore consapevole della grave
criticità connessa ai ritardi nei pagamenti dei debiti da parte delle pubbliche
amministrazioni, anche al fine di bloccare la procedura di infrazione avviata
dalla Commissione Europea, ha previsto (comma 861) che i tempi di pagamento e
ritardo sono elaborati mediante la PCC, “tenendo conto anche delle fatture scadute
che le amministrazioni non hanno ancora provveduto a pagare”. Non sarà,
dunque, più possibile elaborare l’indicatore di tempestività dei pagamenti
attraverso le piattaforme in uso da parte dei vari enti o, come spesso succede,
mediante fogli di calcolo autonomi; i tempi di pagamento debbono essere elaborati
direttamente dalla PCC cui vengono
agganciate le fatture elettroniche e gli ordinativi di pagamento, emessi
attraverso l’infrastruttura Siope+. Sarà, dunque, necessario per gli uffici di
ragioneria aggiornare tempestivamente la PCC, inserendo eventuali fenomeni di
sospensione dei termini, nei casi previsti dall’art. 9 del DPCM 22.9.2014. Allo
stesso modo, il calcolo dovrà tenere conto di tutte le fatture scadute e non
pagate e non solo di quelle pagate.
La norma prevede che a decorrere dal 2020,
una volta elaborato l’indicatore di tempestività dei pagamenti riferito
all’esercizio precedente, gli enti che non rispettano i termini di cui all’art.
4 del d.lgs. 231/2002 (calcolato come termine medio complessivo per tutte
le transazioni commerciali), entro il 31 gennaio debbono procedere, con
delibera di giunta, a stanziare nel proprio bilancio un accantonamento, tra
i fondi della missione 20, denominato Fondo
di garanzia debiti commerciali, per un importo determinato in misura
percentuale degli stanziamenti del bilancio corrente per la spesa di acquisto
di beni e servizi, via via crescente[10] in base alla maggiore
consistenza dell’entità del ritardo rispetto al termine europeo di pagamento;
tale obbligo riguarda anche gli enti che non dimostrino la riduzione dello stock di debito. In particolare,
l’importo dell’accantonamento è così determinato:
a) 5%
della spesa stanziata per acquisto di beni e servizi, se lo stock di debito commerciale residuo non
sia stato ridotto di almeno il 10% rispetto all’anno precedente, o se i ritardi
nei pagamenti dell’esercizio precedente siano superiori a 60 giorni;
b) 3%
della spesa stanziata per acquisto di beni e servizi, se i ritardi nei
pagamenti dell’esercizio precedente siano compresi tra 31 e 60 giorni;
c) 2%
della spesa stanziata per acquisto di beni e servizi, se i ritardi nei
pagamenti dell’esercizio precedente siano compresi tra 11 e 30 giorni;
d) 1%
della spesa stanziata per acquisto di beni e servizi, se i ritardi nei
pagamenti dell’esercizio precedente siano compresi tra 1 e 10 giorni.
L’accantonamento
deve essere adeguato nel corso dell’esercizio finanziario laddove risultino
variate le previsioni di spesa per acquisto di beni e servizi; al fine di
determinare l’importo dell’accantonamento non si tiene conto degli stanziamenti
di spesa finanziati da entrate con specifico vincolo di destinazione (comma
863).
Per
evitare di accantonare ulteriori risorse di parte corrente gli enti
territoriali debbono, pertanto, non solo rispettare i tempi di pagamento ma
anche ridurre di almeno il 10% annuo lo stock
di debito commerciale: il rispetto dei tempi di pagamento in assenza della
riduzione dell’ammontare complessivo del debito residuo comporta l’obbligo di
accantonamento nella misura massima del 5% (cfr. comma 859).
Sul
Fondo non è possibile assumere impegni di spesa né disporre pagamenti; esso a
fine esercizio confluisce nella quota libera dell’avanzo di amministrazione. Si
tratta, in pratica, di un accantonamento – ulteriore agli altri fondi previsti
dall’art. 167 del Tuel e dal principio contabile 4/2- che di fatto limita la
capacità di spesa degli enti locali, con l’obiettivo di garantire l’allineamento
tra la capacità di spesa e la effettiva disponibilità di cassa.
Le
medesime misure previste per gli enti non in regola con gli obblighi di
tempestività di pagamento e di riduzione del debito (creazione di un fondo di
garanzia di debiti commerciali di ammontare pari al 5% dello stanziamento di
bilancio per acquisti di beni e servizi), dal 2020 si applicano anche agli enti
territoriali che “non hanno pubblicato
l’ammontare complessivo dei debiti di cui all’art. 33 del decreto legislativo
14 marzo 2013, n.33, e che non hanno trasmesso alla piattaforma elettronica le
comunicazioni di cui al comma 867 e le informazioni relative all’avvenuto
pagamento delle fatture” (cfr. comma 868).
In
estrema sintesi, dunque, il nuovo sistema introdotto dal legislatore per
superare definitivamente il problema dei ritardati pagamenti delle pubbliche
amministrazioni è basato, da un lato, sulla concessione di nuove anticipazioni
di liquidità per pagare i debiti scaduti al 31.12.2018, e , dall’altro, su un
nuovo obbligo di accantonamento di risorse correnti, di importo crescente in
base alla gravità della violazione, applicabile a chi non rispetta gli obblighi
di riduzione dell’ammontare del debito complessivo scaduto rispetto
all’esercizio precedente, i termini europei di pagamento, gli obblighi di
pubblicazione nell’apposita sezione di amministrazione trasparente indicata da
Anac nella griglia allegata alla deliberazione n. 1310/2016, dell’ammontare
complessivo del debito scaduto e dell’elenco dei creditori, nonché a chi non
rispetta gli obblighi di trasmissione alla PCC dello stock di debiti
commerciali residui scaduti e non pagati, e le informazioni di cui all’art.
7-bis, commi 4 e 5 del d.l. 35/2013, nei limiti in cui sono ancora esigibili
dopo l’entrata in vigore del Siope+.
Per
rendere effettivo e tracciabile il nuovo sistema, la legge prevede –infatti- che
a decorrere dal 2020 tutte le amministrazioni pubbliche inserite nel conto
economico consolidato individuate dall’Istat comunicano entro il 31 gennaio di
ogni anno l’ammontare dello stock di
debiti commerciali residui scaduti e non pagati alla fine dell’esercizio
precedente tramite la piattaforma PCC; per l’anno 2019 tale comunicazione deve
essere effettuata dal 1° al 30 aprile 2019. Tuttavia, secondo le previsioni del
comma 867, tale obbligo sussiste esclusivamente fino alla chiusura
dell’esercizio finanziario nel corso del quale l’ente adotta lo standard Ordinativo Informatico di cui
all’art. 14, comma 8-bis della legge 196/2009 e smi: e, quindi, per gli
enti locali solo per il 2019 con riguardo ai debiti residui al 31.12.2018,
perché nel corso dell’esercizio 2018 tutti gli enti locali sono transitati al
Siope+. I commi 869 e 870 prevedono, inoltre, che a decorrere dal 2019 sul sito
web della Presidenza del Consiglio dei Ministri sono pubblicati ed aggiornati
per ciascuna pubblica amministrazione:
1) a
cadenza trimestrale, i dati riguardanti gli importi complessivi delle fatture
ricevute dall’inizio dell’anno, i pagamenti effettuati e i relativi tempi medi
ponderati di pagamento e di ritardo, desunti dalla PCC;
2) con
cadenza mensile i dati riguardanti le fatture ricevute nell’anno precedente,
scadute e non ancora pagate da oltre 12 mesi, desunti dalla PCC;
3) entro
il 30 aprile, l’ammontare dello stock di debiti commerciali residui scaduti e
non pagati alla fine dell’esercizio precedente.
Infine,
il sistema si chiude con due previsioni afferenti i controlli:
a) il
comma 872 demanda all’organo di controllo di regolarità amministrativa e
contabile la verifica della corretta attuazione di tutte le misure introdotte e
qui analizzate;
b) il
comma 871 dispone che le informazioni pubblicate sul sito della Presidenza del
Consiglio dei Ministri relativamente alle fatture scadute e non pagate da più
di 12 mesi, costituiscono “indicatori
rilevanti ai fini della definizione del programma delle verifiche” da parte
dei servizi ispettivi di finanza pubblica del MEF.
Insomma,
gli enti locali sono chiamati ad una revisione complessiva dell’organizzazione
del ciclo passivo per assicurare la tempestività dei pagamenti, puntando sulla
digitalizzazione, nonché alla riqualificazione degli uffici e delle procedure
di riscossione delle entrate al fine di garantire l’allineamento dei tempi di
riscossione a quelli di scadenza delle obbligazioni. Il tutto, ovviamente, in
assenza di strumenti efficaci di riscossione coattiva, che si attendono da
oltre vent’anni.
E’
cambiato il Governo, ma la musica è sempre stessa, perché gli spartiti restano
quelli di sempre; si interviene con sanzioni e obblighi di pubblicazione e
comunicazione, mentre non viene introdotta alcuna misura concreta a tutela
della liquidità del sistema, la vera causa dei ritardi di pagamento. Non è un
caso che il Servizio Bilancio dello Stato nel dossier in cui analizza i profili
finanziari del disegno di legge nella sua versione finale segnala la necessità
di “acquisire la valutazione del Governo
circa l’eventuale aggravio e i relativi riflessi sulla funzionalità
amministrativa degli enti interessati, in relazione al complesso degli obblighi
informativi previsti dalle disposizioni in esame”.
28.12.2018
[1]
La Commissione europea, nell’ambito di una
formale procedura di infrazione, il 15 febbraio 2017 ha inviato al Governo
italiano un motivato parere ex art. 258 del TFUE dichiarando l’Italia
inadempiente agli obblighi previsti dalla normativa europea e nel luglio 2017
ha notificato una lettera di
costituzione in mora al Governo italiano “nel
quadro di un impegno costante volto a garantire la tempestività dei pagamenti a
favore degli operatori economici e a migliorare l’attuazione della direttiva
europea sui ritardi di pagamento (direttiva 2011/7/UE)”.
[2]
La sentenza
richiama espressamente il parere della Commissione affari costituzionali della
Camera dei deputati sul disegno di legge n. 676-A, il quale ha ritenuto che
l'istituto dell’anticipazione di liquidità non viola l’art. 119, comma 6 della
costituzione “in quanto nel caso di
specie si tratterebbe di un’erogazione avente natura di anticipazione di
liquidità…le somme medesime non rilevano ai fini della copertura e, per i riflessi
sui saldi di finanza pubblica, incidono solo sul fabbisogno e sul debito, ma
non sull’indebitamento…di conseguenza non si tratta di un vero e proprio
prestito da includere nel campo di applicazione dell’art. 119, comma sesto,
della costituzione, in quanto non comporta un ampliamento di copertura
finanziaria in termini di competenza, ma si
configura come mera anticipazione di liquidità, a fronte di coperture già
individuate”. Il MEF ha in seguito chiarito che l’anticipazione può
essere richiesta anche per pagare debiti fuori bilancio, a condizione che gli
stessi siano stati previamente riconosciuti e sia stata individuata una forma
di copertura finanziaria: l’anticipazione di liquidità soccorre, infatti, solo
il piano della cassa. La Corte dei Conti ha, poi, chiarito le corrette modalità
di contabilizzazione dell’anticipazione di liquidità, al fine di sterilizzarne
gli effetti sul risultato di amministrazione ( cfr. Corte Conti, Sez. Aut. n.
33/2015/QMIG)
[3]
L’art. 1,
comma 533, della legge n. 232 del 2016 ha introdotto l’obbligo per le PA di
effettuare gli ordini di incassi e di pagamenti al proprio tesoriere
esclusivamente attraverso ordinativi informatici, emessi secondo lo standard
Ordinativo Informatico emanato dall’Agid, tramite l’infrastruttura gestita
dalla Banca d’Italia nell’ambito del servizio di tesoreria ( Siope+). I tempi
di attuazione di tale nuova funzionalità sono stati disciplinati dai decreti
del MEF del 14 giugno e del 24 settembre 2017 che, dopo un periodo di
sperimentazione, ha previsto l’avvio a regime entro il 1° ottobre 2018 per
tutti gli enti
[4] Si veda la guida
del MEF:
[5] L’obbligo di
adottare misure organizzative per consentire il rispetto dei tempi di pagamento
dei debiti commerciali era stato introdotto dall’art. 9 del d.l. 78/2009, che
prevede l’obbligo di pubblicazione delle misure adottate nel sito
istituzionale.
[8]
La norma
prevedeva una dura sanzione per gli enti che registravano tempi medi dei
pagamento superiori a regime a 60 giorni rispetto a quelli di cui al d.lgs. 231/2002,
disponendo per l’anno successivo il blocco delle assunzioni di personale a
qualunque titolo. La Corte Costituzionale con sentenza n. 272/2015, pur
evidenziando che l’introduzione di un termine aggiuntivo per il pagamento dei
debiti commerciali e la previsione di una sanzione per il loro mancato rispetto
non rappresentano strumenti incompatibili con l’autonomia costituzionale delle
regioni in quanto diretti a fronteggiare una situazione che provoca gravi
conseguenze per il settore produttivo e a favorire la ripresa economica, con
effetti positivi anche sulla finanza pubblica, ha –tuttavia- dichiarato
l’incostituzionalità dell’art. 41, comma 2 del d.l. 66/2014 in quanto si pone
in contrasto con il principio di proporzionalità, il quale deve sempre caratterizzare
il rapporto tra violazione e sanzione, soprattutto in casi come quello in esame
in cui la sanzione introdotta dalla norma statale comporti una significativa
compressione dell’autonomia organizzativa degli enti territoriali. In pratica,
la Corte ha ritenuto che la norma è incostituzionale laddove “prevede che qualsiasi violazione dei tempi
medi di pagamento da parte di un’amministrazione debitrice, a prescindere
dall’entità dell’inadempimento e dalle sue cause, sia sanzionata con una misura
a sua volta rigida e senza eccezioni, come il blocco totale delle assunzioni
per l’amministrazione inadempiente”
[9] Dalla data di
operatività in ciascun ente del SIOPE+ i dati di pagamento delle fatture
implementato automaticamente la PCC ed è, pertanto, venuto meno l’obbligo di
comunicazione manuale di ciascun pagamento.
[10]
La norma
sembra aver recepito l’obiezione che la Corte Costituzionale con la sentenza n.
272/2015 formulò avverso il comma 2 dell’art. 41 del d.l. 66/2014. Vedi nota 8.
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Ringraziamo il dott. Vito Antonio Bonanno per il pregevole contributo che ha voluto concedere a questo blog.
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