lunedì 19 agosto 2019

Il pateracchio delle nuove regole su assunzioni e trattamento accessorio


Le nuove regole su assunzioni, spesa di personale e spesa per il trattamento accessorio del personale in regioni, sistema sanitario ed enti locali è un pastrocchio molto complesso ed intricato.

Nella seguente tabella proponiamo il confronto tra la norma contenuta nell’articolo 1, commi 1 e 2, del d.l. 35/2019, convertito in legge 60/2019 e quella prevista dall’articolo 33, comma 2, del d.l. 34/2019, convertito in legge 58/2019:

Art. 11, commi 1 e 2, d.l. 35, convertito in legge 60/2019
Art 33, c. 2, d.l. 34/2019, convertito in legge 58/2019
A decorrere dal 2019, la spesa per il personale degli enti del Servizio sanitario nazionale di ciascuna regione e Provincia autonoma di Trento e di Bolzano, nell'ambito del livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato e ferma restando la compatibilita' finanziaria, sulla base degli indirizzi definiti da ciascuna regione e Provincia autonoma di Trento e di Bolzano e in coerenza con i piani triennali dei fabbisogni di personale, non puo' superare il valore della spesa sostenuta nell'anno 2018, come certificata dal Tavolo di verifica degli adempimenti di cui all'articolo 12 dell'Intesa 23 marzo 2005 sancita in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, o, se superiore, il valore della spesa prevista dall'articolo 2, comma 71, della legge 23 dicembre 2009, n. 191. I predetti valori sono incrementati annualmente, a livello regionale, di un importo pari al 5 per cento dell'incremento del Fondo sanitario regionale rispetto all'esercizio precedente. Tale importo include le risorse per il trattamento accessorio del personale, il cui limite, definito dall'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 27 maggio 2017, n. 75, e' adeguato, in aumento o in diminuzione, per garantire l'invarianza del valore medio pro-capite, riferito all'anno 2018, prendendo a riferimento come base di calcolo il personale in servizio al 31 dicembre 2018. Dall'anno 2021, il predetto incremento di spesa del 5 per cento e' subordinato all'adozione di una metodologia per la determinazione del fabbisogno di personale degli enti del Servizio sanitario nazionale, in coerenza con quanto stabilito dal decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, e con l'articolo 1, comma 516, lettera c), della legge 30 dicembre 2018, n. 145.
2. Ai fini del comma 1, la spesa e' considerata, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'imposta regionale sulle attivita' produttive, per il personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, a tempo determinato, di collaborazione coordinata e continuativa e di personale che presta servizio con altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni. La predetta spesa e' considerata al netto degli oneri derivanti dai rinnovi dei contratti collettivi nazionali di lavoro successivi all'anno 2004, per personale a carico di finanziamenti comunitari o privati e relativi alle assunzioni a tempo determinato e ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa per l'attuazione di progetti di ricerca finanziati ai sensi dell'articolo 12-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502.
A decorrere dalla data individuata dal decreto di cui al presente comma, anche per le finalita' di cui al comma 1, i comuni possono procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato in coerenza con i piani triennali dei fabbisogni di personale e fermo restando il rispetto pluriennale dell'equilibrio di bilancio asseverato dall'organo di revisione, sino ad una spesa complessiva per tutto il personale dipendente, al lordo degli oneri riflessi a carico dell'amministrazione, non superiore al valore soglia definito come percentuale, differenziata per fascia demografica, ((della media delle entrate correnti relative agli ultimi tre rendiconti approvati)), considerate al netto del fondo crediti dubbia esigibilita' stanziato in bilancio di previsione. Con decreto del Ministro della pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dell'interno, previa intesa in sede di Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono individuate le fasce demografiche, i relativi valori soglia prossimi al valore medio per fascia demografica e le relative percentuali massime annuali di incremento del personale in servizio per i comuni che si collocano al di sotto del predetto valore soglia. I predetti parametri possono essere aggiornati con le modalita' di cui al secondo periodo ogni cinque anni. I comuni in cui il rapporto fra la spesa di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico dell'amministrazione, e ((la media delle predette entrate correnti relative agli ultimi tre rendiconti approvati)) risulta superiore al valore soglia di cui al primo periodo adottano un percorso di graduale riduzione annuale del suddetto rapporto fino al conseguimento nell'anno 2025 del predetto valore soglia anche applicando un turn over inferiore al 100 per cento. A decorrere dal 2025 i comuni che registrano un rapporto superiore al valore soglia applicano un turn over pari al 30 per cento fino al conseguimento del predetto valore soglia. Il limite al trattamento accessorio del personale di cui all'articolo 23, comma 2, del ((decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75,)) e' adeguato, in aumento o in diminuzione, per garantire l'invarianza del valore medio pro-capite, riferito all'anno 2018, del fondo per la contrattazione integrativa nonche' delle risorse per remunerare gli incarichi di posizione organizzativa, prendendo a riferimento come base di calcolo il personale in servizio al 31 dicembre 2018.

Come si nota, le disposizioni sono molto simili tra di loro (il comma 2 dell’articolo 33 del d.l. 34/2019 è a sua volta similissimo al comma 1 del medesimo articolo). Ma, purtroppo, non sono uguali. Vi sono importanti differenze che creano un sistema lacunoso, frutto del convulso sistema di produzione delle norme, la cui confusione appare tanto meno comprensibile visto che nell’attuale Legislatura il Parlamento non può certo considerarsi “ingolfato” da una iper produzione normativa.
Abbiamo evidenziato in blu una prima parte comune: entrambe le norme fissano un tetto alla spesa del personale.
Nel caso dell’articolo 11 del d.l. 35/2019, tale spesa è ben qualificata come generale e specifica per il personale nel suo complesso.
Nel caso dell’articolo 33, comma 2, del d.l. 34/2019, invece, non si fissa un tetto alla complessiva spesa del personale, bensì un tetto alla spesa per le assunzioni. In realtà, si supera il concetto di un tetto alla spesa per assunzioni tendenzialmente fisso, perché il rapporto tra spesa di personale e media delle entrate correnti relative agli ultimi tre rendiconti approvati, considerate al netto del fondo crediti dubbia esigibilità stanziato in bilancio di previsione, fa sì che incrementi delle entrate o riduzioni del fondo crediti di dubbia esigibilità dei comuni (si badi: la norma si riferisce solo ai comuni, non alle province, non alle città metropolitane, non alle unioni di comuni) possano portare anche ad una crescita tendenziale del totale delle spese di personale; anche se, comunque, pure i comuni virtuosi potranno in ogni caso assumere entro le “percentuali massime annuali di incremento del personale in servizio” di cui parla la norma.
Una seconda parte comune, ancora più simile, è quella scritta in rosso. Nel caso dell’articolo 11 del d.l. 35/2019 è molto più chiara la circostanza che la spesa per il salario accessorio è ovviamente parte della spesa complessiva del personale.
Purtroppo, l’articolo 33, comma 2, del d.l. 34/2019 aggiunge alla previsione molto simile a quella dell’articolo 11 del d.l. 35/2019 anche la precisazione che il valore medio pro-capite è quello del fondo per la contrattazione integrativa, “nonche' delle risorse per remunerare gli incarichi di posizione organizzativa”. Qui si crea una bella confusione. Le opzioni sono due: il valore medio comprende, quindi, la spesa per il fondo della contrattazione più lo stanziamento e da questa somma si trae la media. Oppure, opzione che appare più corretta, si fanno due medie: quella che mette in rapporto il fondo col numero dei dipendenti al 31.12.2018 e, separatamente, quella che mette in rapporto le risorse del bilancio 2018 col numero delle posizioni organizzative incaricate al 31.12.2018.
Nel caso dell’articolo 11, comma 1, del d.l. 35/2019 è assolutamente chiaro che il nuovo sistema di determinazione della spesa connessa al trattamento accessorio è immediatamente operativo. Sia perché la decorrenza dell’intera norma non è condizionata all’entrata in vigore di decreti attuativi, ma parte dall’1.1.2019; sia perché la spesa del fondo accessorio, in quanto compresa espressamente nel totale della spesa di personale, non può non essere immediatamente computata secondo il nuovo sistema.
Tuttavia, anche per il caso dei comuni la previsione contenuta nell’ultima parte dell’articolo 33, comma 2, del d.l. 34/2019 è certamente da considerare immediatamente vigente. Infatti, questa ultima parte (in rosso) è del tutto autonoma dalle previsioni precedenti. I decreti richiamati dalle parti precedenti del comma sono condizione solo per la determinazione delle facoltà assunzionali e non hanno effetto alcuno nei confronti della definizione del computo del tetto ridefinito di cui all’articolo 23, comma 2, del d.lgs 75/2017. Anzi, il fatto che tale tetto al trattamento accessorio vada computato come valore medio pro-capite che deve restare invariato, fa capire da subito, pur in assenza dei decreti attuativi, che il costo del trattamento accessorio deve “fluttuare” simmetricamente al numero dei dipendenti in servizio: se alla fine dell’anno saranno di più del 2018, il salario accessorio dovrà aumentare (manca tuttavia un chiaro strumento per determinare quando; si presume occorra un provvedimento periodico di revisione della determinazione del fondo del salario accessorio, utile però solo se gli enti avranno sottoscritto contratti decentrati che fissino criteri per la destinazione delle risorse, non indicandone gli importi); in caso contrario, dovrà diminuire, in modo che il valore pro-capite risulti inalterato.
Certo è che nella regolazione riguardante i comuni manca la terza parte (evidenziata in giallo) invece presente nell’articolo 11 del d.l. 35/2019, che è quella sulla base della quale il computo della spesa del personale (e quindi anche del trattamento accessorio) è da considerare al netto di:
  1. oneri derivanti dai rinnovi dei contratti collettivi nazionali di lavoro successivi all'anno 2004;
  2. spese per personale a carico di finanziamenti comunitari o privati;
  3. spese relative alle assunzioni a tempo determinato e ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa per l'attuazione di progetti di ricerca finanziati all'interno del Programma nazionale di ricerca sanitaria.
L’ultima delle tre voci di cui sopra ovviamente non interessa i comuni, ma le prime due sì. Come si ricorderà, la Ragioneria generale dello Stato, nella circolare 9/2006 aveva espressamente stabilito che nella spesa del personale non fosse inclusa quella a carico di finanziamenti comunitari o privati. Ad escludere dal computo delle spese di personale gli oneri derivanti dai rinnovi contrattuali a suo tempo era stato l’articolo 1, comma 199, della legge 266/2005,
L’assenza, per i comuni, di una specificazione come quella inserita nel comma 2 dell’articolo 11 del d.l. 35/2019, crea problemi non di poco conto. L’importo di euro 83,20 euro, infatti, previsto dal Ccbl 21.5.2018 che va sul fondo a partire dal 2019 potrebbe essere considerato a carico del fondo se non escluso dal computo degli incrementi contrattuali. Una strada per considerare tale spesa comunque vigente, sia pure solo giuridicamente, dal 2018 e, quindi, da considerare già nel fondo 2018 (senza quindi conseguenze negative sul 2019) è quella di prendere atto che, appunto, giuridicamente tale spesa va imputata sin dal 31.12.2018 e quindi riferita al personale presente in servizio a quella data, avente ovviamente i requisiti previsti dal contratto.
Come si nota, se il Legislatore avesse agito in modo meno compulsivo e con maggiore ponderazione, avrebbe potuto fondere tra loro queste norme assai simili, prendendo il lato buono dell’una e dell’altra, giungendo ad una regolamentazione univoca e coordinata.
Così non è stato. Soprattutto, ancora si tiene in vita, anche se nella sostanza già modificato più volte, una vera e propria aberrazione giuridica, quell’articolo 23, comma 2, del d.lgs 75/2017 che si pone in irrimediabile contrasto con ogni intento di semplificazione della disciplina economica del personale e di valorizzazione dell’autonomia dei bilanci. Si tratta di una norma che andrebbe cancellata con estrema urgenza, anche perché pensata “nelle more” di un’armonizzazione della contrttazione collettiva che a distanza di due anni dal 2017 ancora non si è vista e che molto probabilmente non si avrà mai. E’ assurdo che il legislatore mantenga in piedi una previsione normativa che si rivela nella sostanza una condizione impossibile, però pesantissima e causa di regole estremamente complesse e bizantine.

2 commenti:

  1. Non riesco a trovare sul Suo blog, il Suo articolo del 6.08.2019 sull'obbligo di pubblicazione per ANAC dei patrimoni dei dirigenti. Domanda: ANAC estende suddetto obbligo non a tutti i diriggenti degli enti locali,ma solo a quelli apicali (ad esempio, Segretario Generale e Direttore Generale). E' corretto? In tal modo sarebbero esclusi i dirigenti di settore (uff. personale, polizia locale, lavori pubblici ecc.ecc.). Grazie

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  2. L'Anac ha prodotto un provvedimento di contenuto contrario alla sentenza della Consulta, come tale illegittimo. La sentenza ha specificato che spetta solo al legislatore indicare quali dirigenti possano essere onerati. Dunque, l'indicazione dell'Anac non va assolutamente seguita.

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