domenica 2 febbraio 2020

Il dovere di far fruire le ferie d'ufficio. Le non condivisibili indicazioni del Tar Val d'Aosta


Il parere formulato dal Consiglio di stato conferma l’erroneità della sentenza del Tar della Valle d’Aosta, 17.1.2020, n. 17.

Questa conclude, nella sostanza, per la possibilità che il dipendente perda il diritto alle ferie se non ne fruisca, nonostante l’ente lo abbia messo nelle condizioni di valersene.
Il Tar della Val d’Aosta afferma: “in un equilibrato contemperamento di principi ed istanze assiologiche di pari rango, il rispetto di tale onere derivante dall’art. 7 della direttiva 2003/88 non può estendersi fino al punto di costringere quest’ultimo a imporre ai suoi lavoratori di esercitare effettivamente la fruizione delle ferie annuali retribuite. Egli deve limitarsi soltanto a consentire ai lavoratori di godere delle stesse dando altresì prova di aver esercitato tutta la diligenza necessaria affinché essi potessero effettivamente di esercitare tale diritto”.
La mancata fruizione delle ferie, però, costituisce un problema estremamente rilevante, nel caso di richiesta di motivazione.
Occorre sottolineare che la pronuncia del Tar della Val d’Aosta si innesca in un rapporto di lavoro pubblico non contrattualizzato, nell’ambito del quale la giurisdizione è appunto del giudice amministrativo, che ha una visione ed una lettura delle regole di natura speciale.
Nell’ambito del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, invece, la giurisdizione è del giudice del lavoro, che mai o in rarissimi casi giungerebbe ad affermazioni simili a quelle poste dal giudice aostano.
Il Consiglio di stato qualifica – correttamente – ferie come diritto fondamentale del lavoratore di natura inderogabile, alla luce della normativa interna e comunitaria, con esplicito riferimento alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, Sezione X, del 20 luglio 2016 (causa C-341/15). L’articolo 7, comma 2, della Direttiva 2003/88 dispone: “Il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un'indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro”.
Palazzo Spada ricorda che la Corte di giustizia nella richiamata sopra fornisce la seguente chiave di lettura del citato articolo 7, comma 2: “l’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88, come interpretato dalla Corte, non assoggetta il diritto a un’indennità finanziaria ad alcuna condizione diversa da quella relativa, da un lato, alla cessazione del rapporto di lavoro e, dall’altro, al mancato godimento da parte del lavoratore di tutte le ferie annuali a cui aveva diritto alla data in cui tale rapporto è cessato;
- ne consegue, conformemente all’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88, che un lavoratore, che non sia stato posto in grado di usufruire di tutte le ferie retribuite prima della cessazione del suo rapporto di lavoro, ha diritto a un’indennità finanziaria per ferie annuali retribuite non godute”.
Il diritto alle ferie, quindi, risulta pieno. La mancata fruizione di esse e l’accumulo che ne consegue, espone le amministrazioni ad azioni per il riconoscimento della monetizzazione, laddove nell’anno di pensionamento il dipendente si ritrovi a non averne fruito.
I giudici del lavoro molto probabilmente prenderebbero come riferimento fondamentale le disposizioni dell’ordinamento europeo, volte a tutelare il diritto insopprimibile alle ferie, non limitandosi, come il Tar Val d’Aosta a riscontrare una semplice messa a disposizione delle ferie da parte del datore. Questo, non può solo limitarsi ad una sorta di “offerta” di ferie, ma deve fare tutto quanto il possibile per consentire l’esercizio delle ferie, a pena di incorrere nelle sanzioni previste dall’articolo 10 del d.lgs 66/2003.
Su questo punto appare molto chiaro quanto afferma l’Aran nel proprio parere Ral 1424: l’istituto delle ferie “non dipende, nelle sue applicazioni, esclusivamente dalla volontà del dipendente. L'art. 2109 c.c. espressamente stabilisce che le ferie sono assegnate dal datore di lavoro, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del lavoratore. L'applicazione di tale disciplina, pertanto, nel caso di inerzia del lavoratore o di mancata predisposizione del piano ferie annuale, consente all'ente anche la possibilità di assegnazione di ufficio delle ferie. L’art.2109 c.c. espressamente stabilisce che le ferie sono assegnate dal datore di lavoro, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del lavoratore. L’ applicazione di tale disciplina, pertanto, nel caso di inerzia del lavoratore o di mancata predisposizione del piano ferie annuale, consente all’ente anche la possibilità di assegnazione di ufficio delle ferie. Si veda, su tale materia, anche l’art.10, comma 2 del D.Lgs.n.66/2003”.
Poiché la mancata fruizione delle ferie espone i datori pubblici alla responsabilità erariale discendente dall’eventuale riconoscimento in sede giudiziale del diritto alla monetizzazione delle ferie (poiché la giurisprudenza della Corte di giustizia non rende sicura la preminenza del divieto di monetizzazione posto dall’articolo 5, comma 8, del d.l. 95/2012, convertito in legge 135/2012), pare di dover affermare, all’opposto di quanto conclude il Tar Val d’Aosta, che il datore di lavoro pubblico ha il dovere preciso di porre d’ufficio in ferie il dipendente che non si disponga a fruirne.
D’altra parte, occorre una lettura più ponderata dell’articolo 5, comma 8, del d.l. 95/2012, a mente del quale “Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché delle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi”.
La legge, quindi, dispone di un preciso obbligo di fruizione, che si affianca al diritto. Quindi, per i dipendenti le ferie sono un diritto/dovere; per il datore è obbligatorio disporre una programmazione dei servizi tali da permettere la fruizione di tale diritto/dovere.
La possibilità di disporre le ferie d’ufficio, evidenziata dall’Aran, consente al datore di evitare di subire richieste di ferie inconciliabili con le necessità del servizio, da un lato, e di assicurare comunque la fruizione delle ferie al lavoratore, anche in periodi che magari possano non essere di specifico gradimento del singolo soggetto. Evitando, quindi, che il singolo dipendente decida di non fare ferie nei periodi non graditi, accumulando quindi giorni per poi chiedere eventuali monetizzazioni.
L’obbligatorietà delle ferie dal lato del datore deve, inoltre, indurre gli enti ad organizzare i servizi in modo che esse siano concretamente fruibili, a prescindere dalle dimensioni. Molti comuni di piccole dimensioni si ritrovano spessissimo in estrema difficoltà, per aver tollerato che i pochi dipendenti di fatto fossero considerati sempre nell’impossibilità di andare in ferie per ragioni di servizio, trovandosi poi con richieste di monetizzazione molto rilevanti.
Sempre l’Aran nel parere Ral 1424 chiarisce: “le situazioni di accumulo nel tempo di diversi giorni di ferie non godute con conseguente richiesta di monetizzazione all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, devono considerarsi aspetti patologici della disciplina dell’istituto. Infatti, occorre ricordare che nella vigente regolamentazione, fermo restando la necessità di assicurare la fruizione del diritto da parte del dipendente, l’ente, in base, alle previsioni dell’art.18 del CCNL del 6.7.1995, è chiamato a governare responsabilmente l’istituto attraverso la programmazione delle ferie”.
Accettare passivamente l’accumulo di ferie, significa simmetricamente rinunciare alla programmazione delle ferie e, quindi, anche non programmare correttamente le attività. E nella programmazione possono rientrare accorgimenti sulla garanzia dell’apertura dei servizi, sui termini dei procedimenti, ma anche la necessità di far scattare misure – che sono essenziali all’organizzazione – per la continuità: come incarichi ad interim, sostituzioni, o anche il ricorso a misure come l’articolo 1, comma 124, della legge 145/2018 (o dell’articolo 14 del Ccnl 22.1.2004, al quale la norma si sovrappone), il quale ultimo è una previsione per sua natura espressamente volta a rimediare a situazioni temporanee di necessità.

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