Il parere formulato dal Consiglio di stato conferma l’erroneità
della sentenza del Tar della Valle d’Aosta, 17.1.2020, n. 17.
Questa conclude, nella sostanza, per la possibilità che il
dipendente perda il diritto alle ferie se non ne fruisca, nonostante l’ente lo
abbia messo nelle condizioni di valersene.
Il Tar della Val d’Aosta afferma: “in un equilibrato
contemperamento di principi ed istanze assiologiche di pari rango, il rispetto
di tale onere derivante dall’art. 7 della direttiva 2003/88 non può estendersi
fino al punto di costringere quest’ultimo a imporre ai suoi lavoratori di
esercitare effettivamente la fruizione delle ferie annuali retribuite. Egli
deve limitarsi soltanto a consentire ai lavoratori di godere delle stesse dando
altresì prova di aver esercitato tutta la diligenza necessaria affinché essi
potessero effettivamente di esercitare tale diritto”.
La mancata fruizione delle ferie, però, costituisce un
problema estremamente rilevante, nel caso di richiesta di motivazione.
Occorre sottolineare che la pronuncia del Tar della Val d’Aosta
si innesca in un rapporto di lavoro pubblico non contrattualizzato, nell’ambito
del quale la giurisdizione è appunto del giudice amministrativo, che ha una
visione ed una lettura delle regole di natura speciale.
Nell’ambito del rapporto di lavoro pubblico
contrattualizzato, invece, la giurisdizione è del giudice del lavoro, che mai o
in rarissimi casi giungerebbe ad affermazioni simili a quelle poste dal giudice
aostano.
Il Consiglio di stato qualifica – correttamente – ferie come
diritto fondamentale del lavoratore di natura inderogabile, alla luce della
normativa interna e comunitaria, con esplicito riferimento alla sentenza della
Corte di giustizia dell’Unione Europea, Sezione X, del 20 luglio 2016 (causa
C-341/15). L’articolo 7, comma 2, della Direttiva 2003/88 dispone: “Il
periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un'indennità
finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro”.
Palazzo Spada ricorda che la Corte di giustizia nella richiamata
sopra fornisce la seguente chiave di lettura del citato articolo 7, comma 2: “l’articolo
7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88, come interpretato dalla Corte, non
assoggetta il diritto a un’indennità finanziaria ad alcuna condizione diversa
da quella relativa, da un lato, alla cessazione del rapporto di lavoro e,
dall’altro, al mancato godimento da parte del lavoratore di tutte le ferie
annuali a cui aveva diritto alla data in cui tale rapporto è cessato;
- ne consegue, conformemente all’articolo 7, paragrafo 2,
della direttiva 2003/88, che un lavoratore, che non sia stato posto in grado di
usufruire di tutte le ferie retribuite prima della cessazione del suo rapporto
di lavoro, ha diritto a un’indennità finanziaria per ferie annuali retribuite
non godute”.
Il diritto alle ferie, quindi, risulta pieno. La mancata fruizione
di esse e l’accumulo che ne consegue, espone le amministrazioni ad azioni per
il riconoscimento della monetizzazione, laddove nell’anno di pensionamento il
dipendente si ritrovi a non averne fruito.
I giudici del lavoro molto probabilmente prenderebbero come
riferimento fondamentale le disposizioni dell’ordinamento europeo, volte a
tutelare il diritto insopprimibile alle ferie, non limitandosi, come il Tar Val
d’Aosta a riscontrare una semplice messa a disposizione delle ferie da parte
del datore. Questo, non può solo limitarsi ad una sorta di “offerta” di ferie,
ma deve fare tutto quanto il possibile per consentire l’esercizio delle ferie,
a pena di incorrere nelle sanzioni previste dall’articolo 10 del d.lgs 66/2003.
Su questo punto appare molto chiaro quanto afferma l’Aran nel
proprio parere Ral 1424: l’istituto delle ferie “non dipende, nelle sue
applicazioni, esclusivamente dalla volontà del dipendente. L'art. 2109
c.c. espressamente stabilisce che le ferie sono assegnate dal datore di
lavoro, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del
lavoratore. L'applicazione di tale disciplina, pertanto, nel caso di inerzia
del lavoratore o di mancata predisposizione del piano ferie annuale, consente
all'ente anche la possibilità di assegnazione di ufficio delle ferie.
L’art.2109 c.c. espressamente stabilisce che le ferie sono assegnate dal datore
di lavoro, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del
lavoratore. L’ applicazione di tale disciplina, pertanto, nel caso di inerzia
del lavoratore o di mancata predisposizione del piano ferie annuale, consente
all’ente anche la possibilità di assegnazione di ufficio delle ferie. Si veda,
su tale materia, anche l’art.10, comma 2 del D.Lgs.n.66/2003”.
Poiché la mancata fruizione delle ferie espone i datori
pubblici alla responsabilità erariale discendente dall’eventuale riconoscimento
in sede giudiziale del diritto alla monetizzazione delle ferie (poiché la
giurisprudenza della Corte di giustizia non rende sicura la preminenza del
divieto di monetizzazione posto dall’articolo 5, comma 8, del d.l. 95/2012,
convertito in legge 135/2012), pare di dover affermare, all’opposto di quanto conclude
il Tar Val d’Aosta, che il datore di lavoro pubblico ha il dovere preciso di
porre d’ufficio in ferie il dipendente che non si disponga a fruirne.
D’altra parte, occorre una lettura più ponderata dell’articolo
5, comma 8, del d.l. 95/2012, a mente del quale “Le ferie, i riposi ed i
permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale,
delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della
pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di
statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre
2009, n. 196, nonché delle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione
nazionale per le società e la borsa (Consob), sono obbligatoriamente fruiti
secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun
caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi”.
La legge, quindi, dispone di un preciso obbligo di
fruizione, che si affianca al diritto. Quindi, per i dipendenti le ferie sono
un diritto/dovere; per il datore è obbligatorio disporre una programmazione dei
servizi tali da permettere la fruizione di tale diritto/dovere.
La possibilità di disporre le ferie d’ufficio, evidenziata
dall’Aran, consente al datore di evitare di subire richieste di ferie inconciliabili
con le necessità del servizio, da un lato, e di assicurare comunque la fruizione
delle ferie al lavoratore, anche in periodi che magari possano non essere di
specifico gradimento del singolo soggetto. Evitando, quindi, che il singolo
dipendente decida di non fare ferie nei periodi non graditi, accumulando quindi
giorni per poi chiedere eventuali monetizzazioni.
L’obbligatorietà delle ferie dal lato del datore deve, inoltre,
indurre gli enti ad organizzare i servizi in modo che esse siano concretamente
fruibili, a prescindere dalle dimensioni. Molti comuni di piccole dimensioni si
ritrovano spessissimo in estrema difficoltà, per aver tollerato che i pochi
dipendenti di fatto fossero considerati sempre nell’impossibilità di andare in
ferie per ragioni di servizio, trovandosi poi con richieste di monetizzazione
molto rilevanti.
Sempre l’Aran nel parere Ral 1424 chiarisce: “le
situazioni di accumulo nel tempo di diversi giorni di ferie non godute con
conseguente richiesta di monetizzazione all’atto della cessazione del rapporto
di lavoro, devono considerarsi aspetti patologici della disciplina
dell’istituto. Infatti, occorre ricordare che nella vigente
regolamentazione, fermo restando la necessità di assicurare la fruizione del
diritto da parte del dipendente, l’ente, in base, alle previsioni dell’art.18
del CCNL del 6.7.1995, è chiamato a governare responsabilmente l’istituto
attraverso la programmazione delle ferie”.
Accettare passivamente l’accumulo di ferie, significa
simmetricamente rinunciare alla programmazione delle ferie e, quindi, anche non
programmare correttamente le attività. E nella programmazione possono rientrare
accorgimenti sulla garanzia dell’apertura dei servizi, sui termini dei
procedimenti, ma anche la necessità di far scattare misure – che sono essenziali
all’organizzazione – per la continuità: come incarichi ad interim,
sostituzioni, o anche il ricorso a misure come l’articolo 1, comma 124, della
legge 145/2018 (o dell’articolo 14 del Ccnl 22.1.2004, al quale la norma si
sovrappone), il quale ultimo è una previsione per sua natura espressamente
volta a rimediare a situazioni temporanee di necessità.
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