E' una ricercatrice con contratto di co.co.co. a far parte dello staff che ha isolato il coronavirus, compiendo un passo importante per le connesse cure.
A rendere precaria, quindi, la vita del coronavirus, è una valente ricercatrice, a sua volta precaria. Precaria, quanto lo sono la ricerca, in Italia ai livelli minimi per spesa pubblica ed investimenti, nonchè il lavoro.
Mentre non si fa altro che parlare di meritocrazia, ricerca, innovazione, inondando di slogan vuoti i media in un coro unico che parla del vuoto, il Paese dimostra che il "merito" e le "eccellenze" sono "valorizzate" con contratti che sono solo una mortificazione del valore del lavoro e con il merito, la libertà del mercato, la crescita professionale non hanno nulla a che vedere.
Il caso è emblematico di un valore del lavoro che riesce ad esprimere professionalità e capacità elevate, anche nel campo tascuratissimo della ricerca, malgrado e non certo grazie l'apparato normativo ed imprenditoriale nel quale il Paese è ripiegato da decenni.
Fosse emigrata, come tanti altri giovani, in altri Paesi, la ricercatrice avrebbe già contratti di lavoro veri e remunerativi.
E' rimasta in Italia ed ha dato il suo contributo rilevante a questa ricerca. Da co.co.co.
E ora si apre la ricerca ben più difficile: trovare il sistema per far sì che questa ricercatrice appunto non scappi, non emigri, ma possa restare, con un lavoro vero e un trattamento economico adeguato.
La ricerca contro il virus della svalutazione del lavoro e contro il virus degli slogan ripetuti a pappagallo che nulla di buono hanno portato all'economia e alla vita sociale della Nazione, purtroppo, appare la sfida più difficile, quasi impossibile.
Sacrosante riflessioni!
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