lunedì 23 marzo 2020

Profili di inapplicabilità dell’ordinanza della regione Lombardia 22 marzo n. 515.



Tra i molti problemi che discendono dalle misure di contenimento dell’epidemia da Covid-19, si pongono anche quelli di coordinamento tra norme.
In particolare, il dedalo è costituito dall’accavallarsi di decreti legge, decreti del Presidente del consiglio dei Ministri, ordinanze ministeriali e ordinanze regionali.
Tra queste, spicca l’ordinanza della regione Lombardia 515/2020, che pone una serie di problemi a causa di contrasti piuttosto chiari con una serie di regole disposte dall’assetto normativo, molto complesso e affastellato, disposto dallo Stato.

In particolare, la questione concerne il rapporto tra questa ordinanza, il Dpcm 22 marzo 2020 e le disposizioni dell’articolo 87 del d.l. 18/2020.
In particolare, il provvedimento della regione Lombardia:
1.      ordina la sospensione dell’attività amministrativa in presenza presso le rispettive sedi e uffici decentrati delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2 del d.lgs 165/2001, nonché dei soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative di cui all’art. 1 della legge 241/1990, fatta salva l’erogazione dei servizi essenziali e di pubblica utilità per i quali sia assolutamente necessaria e imprescindibile la presenza fisica nella sede di lavoro, nell’ambito di quelli previsti dalla legge 146/1990;
2.      dispone che le attività non indicate nei punti successivi siano svolte con la modalità di lavoro agile;
3.      considera, per gli enti locali, come servizi essenziali, e quini da non svolgere in lavoro agile i seguenti, ai sensi dell’articolo 1 della legge 146/1990:
a.       anagrafe, stato civile e servizio elettorale;
b.      igiene, sanità ed attività assistenziali;
c.       attività di tutela della libertà della persona e della sicurezza pubblica;
d.      produzione e distribuzione di energia e beni di prima necessità, nonché la gestione e la manutenzione dei relativi impianti, limitatamente a quanto attiene alla sicurezza degli stessi;
e.       raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani e speciali;
f.        trasporti;
g.      protezione civile;
h.      tutela ambientale;
i.        servizi informatici e di rete ICT;
j.        funzioni di stretto supporto amministrativo a consigli e giunte degli enti locali qualora non sia possibile adottare le misure previste dall’art. 73 del Decreto legge n. 18/2020 nonchè delle Regioni e degli organismi collegiali di altre istituzioni;
k.      eventuali ulteriori funzioni non specificamente individuate ai punti precedenti e strettamente correlate ai predetti servizi o ad altri servizi ritenuti strettamente essenziali, sulla base di espressa individuazione da parte delle singole amministrazioni e che non possono essere garantite mediante la modalità di lavoro agile.
Come rilevato prima, queste disposizioni appaiono fortemente caratterizzate da ultroneità, illegittimità e inapplicabilità, per una serie di ragioni che di seguito si espongono.
Il tutto parte dall’equivoco sull’esercizio delle competenze regionali in tema di ordinanze in materia di igiene e salute pubblica, ai sensi dell’articolo 32, comma 3, della legge 833/1978. Vediamo il contenuto dell’intero articolo:
Art. 32. (Funzioni di igiene e sanita' pubblica e di polizia veterinaria)
Il Ministro della sanita' puo' emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanita' pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia estesa all'intero territorio nazionale o a parte di esso comprendente piu' regioni.
La legge regionale stabilisce norme per l'esercizio delle funzioni in materia di igiene e sanita' pubblica, di vigilanza sulle farmacie e di polizia veterinaria, ivi comprese quelle gia' esercitate dagli uffici del medico provinciale e del veterinario provinciale e dagli ufficiali sanitari e veterinari comunali o consortili, e disciplina il trasferimento dei beni e del personale relativi.
Nelle medesime materie sono emesse dal presidente della giunta regionale o dal sindaco ordinanze di carattere contingibile ed urgente, con efficacia estesa rispettivamente alla regione o a parte del suo territorio comprendente piu' comuni e al territorio comunale.
((COMMA ABROGATO DAL D.LGS. 15 MARZO 2010, N. 66)).
Sono altresi' fatti salvi i poteri degli organi dello Stato preposti in base alle leggi vigenti alla tutela dell'ordine pubblico”.
Come si nota, la norma circoscrive il potere di ordinanza delle regioni alla sola materia della sanità ed igiene pubblica.
Si tenga presente che il 22 marzo 2020 il Ministro della sanità ha adottato un’ordinanza tesa a limitare gli spostamenti dei cittadini da un comune all’altro, ma sottoscrivendola congiuntamente a Ministro dell’interno, proprio perché il Ministro della sanità da solo non avrebbe potuto congiungere poteri inerenti sanità e igiene pubblica, con poteri riguardanti l’ordine pubblico.
La materia dell’ordine pubblico è totalmente sottratta a qualsiasi potere di ordinanza e legislativo alle regioni.
Né il potere di ordinanza di cui all’articolo 32, comma 2, della legge 833/1978 racchiude anche poteri di disciplina dell’ordine pubblico.
Si deve, poi, osservare che i poteri di ordinanza regionali e locali nella stretta materia di igiene e sanità sono esercitabili evidentemente solo laddove non siano intervenuti provvedimenti negli stessi ambiti da parte dello Stato.
Nel caso di specie, lo Stato ha regolato già le attività da rendere in presenza nel caso di servizi indifferibili con l’articolo 87 del d.l. 18/2020, che è entrato in vigore il 17 marzo. Dunque, non solo la regione Lombardia non ha potere di intervento nell’organizzazione dell’attività lavorativa di dettaglio degli enti locali, ma anche ciò fosse, l’ordinanza 515/2020 essendo successiva al decreto del 17 marzo, per essere legittima non potrebbe che essere con esso coerente.
Il che non è. L’ordinanza, di fatto, mira ad imporre alle amministrazioni locali (ma anche alle amministrazioni centrali dello Stato, in punti successivi che qui non esaminiamo) modalità attuative del rapporto tra attività da svolgere in lavoro agile, attività invece sospese e attività che debbono essere rese in presenza, come se potesse, una regione, incidere sull’organizzazione del lavoro di altri enti.
E’ da tenere presente che la configurazione dell’attività lavorativa in lavoro agile consiste in una determinazione dell’attività lavorativa adottata nell’esercizio dei poteri datoriali. Come tale, dunque, si tratta dell’esercizio di poteri datoriali nell’ambito del rapporto di lavoro privatizzato. Il tutto è sorretto, quindi, dalla potestà legislativa dello Stato, ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettera l), che elenca l’ordinamento civile tra le materie di competenza esclusiva statale. L’articolo 87 del d.l. 18/2020 è esercitato, quindi, nell’ambito della potestà legislativa dello Stato, che in quanto esclusiva non si presta in alcun modo a nessun intervento interpretativo, interpolativo o modificativo da parte delle regioni, specie se con ordinanze che sfondano per altro i confini della competenza dalla materia di igiene e sanità verso l’ordine pubblico e la regolazione del lavoro, come la 515/2020 della regione Lombardia.
E’ del tutto evidente, dunque, che la regolazione del lavoro pubblico in modalità agile:
1.      spetta esclusivamente allo Stato;
2.      che l’ha esercitata con l’articolo 87 del d.l. 18/2020, esaurendo la materia;
3.      inibendo a qualsiasi altro ente la possibilità di interventi con norme di altro tipo;
4.      nell’inibizione sono comprese anche provvedimenti contingibili ed urgenti delle regioni, perché questi debbono limitarsi alla sola materia dell’igiene e della sanità, non potendo estendersi alla disciplina del lavoro.
Il precetto dell’articolo 87 del d.l. 18/2020: tutti i lavoratori pubblici debbono lavorare in lavoro agile, con la sola eccezione:
a)      dei pochi lavoratori da adibire alle funzioni indifferibili da svolgere in presenza, connesse alle attività materialmente necessarie per il contrasto al contagio;
b)      degli ancor più pochi lavoratori che non potendo espletare le proprie obbligazioni in lavoro agile, né essere inseriti in lavori indifferibili in presenza, una volta esauriti congedi, permessi, ferie ed altri istituti analoghi, siano esentati dal servizio.
Spetta esclusivamente a ciascun ente e, segnatamente, a ciascun dirigente in quanto datore di lavoro individuare quali dipendenti escludere dal lavoro agile.
L’ordinanza della regione Lombardia, quindi, travalica le competenze autonome di ciascun ente locale, nella pretesa costituzionalmente non sostenibile di sostituirsi a loro nell’organizzazione e nella disciplina del lavoro.
Per altro, l’ordinanza vìola platealmente l’articolo 87 del d.l. 18/2020, perché i suoi effetti sono estendere la fattispecie dei lavori in presenza a discapito del lavoro agile, laddove elenca una serie di servizi che in generale non sono da svolgere (nell’errata formulazione dell’ordinanza) in lavoro agile, sicchè tutti i dipendenti di quei servizi dovrebbero esercitare attività in presenza, anche prescindendo dalle invece necessarie disposizioni gestionali dei dirigenti.
L’ordinanza vìola ulteriormente l’articolo 87 del d.l. 87/2020, perché ritiene di individuare le attività da svolgere non in lavoro agile tra quelle elencate nell’articolo 1 della legge 146/2020. Ma, l’articolo 87 del d.l. 18/2020 non fa riferimento alcuno alla legge 146/2020. L’ordinanza della regione Lombardia, dunque, non ha alcuna base giuridica per questa indebita previsione, che, per altro, finisce persino per estendere le materie della legge 146/1990, laddove attività nemmeno menzionate da quella norma, come i servizi informatici o le “funzioni di stretto supporto amministrativo a consigli e giunte degli enti locali qualora non sia possibile adottare le misure previste dall’art. 73 del Decreto legge n. 18/2020 nonchè delle Regioni e degli organismi collegiali di altre istituzioni”.
Sia in una visione costituzionalmente orientata, sia analizzando partitamente ed analiticamente l’ambito delle competenze regionali, l’ordinanza 515/2020 non regge all’esame della sua legittimità ed applicabilità. Nella parte in cui estende all’inverosimile l’impossibilità dello svolgimento del lavoro agile nel lavoro pubblico, per altro, va addirittura in senso contrario alla disciplina normativa emergenziale, finalizzata a ridurre quanto più possibile le uscite dei dipendenti da casa per limitare il contagio e vanifica la normazione del lavoro agile emergenziale disposta dall’articolo 87 del d.l. 2020.
In ultimo, l’ordinanza, sempre su questo aspetto, contrasta persino con il Dpcm 22 marzo 2020, che ha confermato (e ci mancava altro) pienamente le previsioni dell’articolo 87 del d.l. 18/2020 e rafforza ulteriormente il distanziamento sociale, che è il fondamento del dovere di estendere al massimo possibile il lavoro agile, esattamente l’opposto di quanto deriverebbe dall’attuazione dell’ordinanza regionale.
Detta ordinanza, quindi, non può che essere disapplicata. Il problema è che essa ha già creato allarme e creerà, per gli amministratori e i funzionari locali, occasioni di incertezze e contrasti. Quelli che tra amministratori e dirigenti abbiano già da giorni svilito e frainteso le disposizioni sul lavoro agile, si faranno forza sull’ordinanza per continuare a restringere una misura fondamentale per il distanziamento sociale. Chi percepisca l’illegittimità dell’ordinanza avrà il peso di doverla disapplicare. Ma, la disapplicazione è doverosa, visto il contrasto con le regole che, invece, sono necessariamente da applicare e derivano dall’articolo 87 del d.l. 18/2020.

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