Tra i molti problemi che
discendono dalle misure di contenimento dell’epidemia da Covid-19, si pongono anche
quelli di coordinamento tra norme.
In particolare, il dedalo è
costituito dall’accavallarsi di decreti legge, decreti del Presidente del
consiglio dei Ministri, ordinanze ministeriali e ordinanze regionali.
Tra queste, spicca l’ordinanza
della regione Lombardia 515/2020, che pone una serie di problemi a causa di
contrasti piuttosto chiari con una serie di regole disposte dall’assetto
normativo, molto complesso e affastellato, disposto dallo Stato.
In particolare, la questione
concerne il rapporto tra questa ordinanza, il Dpcm 22 marzo 2020 e le
disposizioni dell’articolo 87 del d.l. 18/2020.
In particolare, il provvedimento
della regione Lombardia:
1.
ordina la sospensione dell’attività
amministrativa in presenza presso le rispettive sedi e uffici decentrati delle
amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2 del d.lgs 165/2001, nonché
dei soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative di cui
all’art. 1 della legge 241/1990, fatta salva l’erogazione dei servizi
essenziali e di pubblica utilità per i quali sia assolutamente necessaria e
imprescindibile la presenza fisica nella sede di lavoro, nell’ambito di quelli
previsti dalla legge 146/1990;
2.
dispone che le attività non indicate nei
punti successivi siano svolte con la modalità di lavoro agile;
3.
considera, per gli enti locali, come servizi
essenziali, e quini da non svolgere in lavoro agile i seguenti, ai sensi
dell’articolo 1 della legge 146/1990:
a.
anagrafe, stato civile e servizio elettorale;
b.
igiene, sanità ed attività assistenziali;
c.
attività di tutela della libertà della persona e
della sicurezza pubblica;
d.
produzione e distribuzione di energia e beni di
prima necessità, nonché la gestione e la manutenzione dei relativi impianti,
limitatamente a quanto attiene alla sicurezza degli stessi;
e.
raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani e
speciali;
f.
trasporti;
g.
protezione civile;
h.
tutela ambientale;
i.
servizi informatici e di rete ICT;
j.
funzioni di stretto supporto amministrativo a
consigli e giunte degli enti locali qualora non sia possibile adottare le
misure previste dall’art. 73 del Decreto legge n. 18/2020 nonchè delle Regioni
e degli organismi collegiali di altre istituzioni;
k.
eventuali ulteriori funzioni non specificamente
individuate ai punti precedenti e strettamente correlate ai predetti servizi o
ad altri servizi ritenuti strettamente essenziali, sulla base di espressa
individuazione da parte delle singole amministrazioni e che non possono essere
garantite mediante la modalità di lavoro agile.
Come rilevato prima, queste disposizioni
appaiono fortemente caratterizzate da ultroneità, illegittimità e
inapplicabilità, per una serie di ragioni che di seguito si espongono.
Il tutto parte dall’equivoco
sull’esercizio delle competenze regionali in tema di ordinanze in materia di igiene
e salute pubblica, ai sensi dell’articolo 32, comma 3, della legge 833/1978.
Vediamo il contenuto dell’intero articolo:
“Art. 32. (Funzioni di igiene e sanita' pubblica e di
polizia veterinaria)
Il Ministro della sanita' puo' emettere ordinanze di
carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanita' pubblica e
di polizia veterinaria, con efficacia estesa all'intero territorio
nazionale o a parte di esso comprendente piu' regioni.
La legge regionale stabilisce norme per l'esercizio delle
funzioni in materia di igiene e sanita' pubblica, di vigilanza sulle farmacie e
di polizia veterinaria, ivi comprese quelle gia' esercitate dagli uffici del
medico provinciale e del veterinario provinciale e dagli ufficiali sanitari e
veterinari comunali o consortili, e disciplina il trasferimento dei beni e del
personale relativi.
Nelle medesime materie sono emesse dal presidente
della giunta regionale o dal sindaco ordinanze di carattere contingibile ed
urgente, con efficacia estesa rispettivamente alla regione o a parte del suo
territorio comprendente piu' comuni e al territorio comunale.
((COMMA ABROGATO DAL D.LGS. 15 MARZO 2010, N. 66)).
Sono altresi' fatti salvi i poteri degli organi dello
Stato preposti in base alle leggi vigenti alla tutela dell'ordine pubblico”.
Come si nota, la norma
circoscrive il potere di ordinanza delle regioni alla sola materia della sanità
ed igiene pubblica.
Si tenga presente che il 22
marzo 2020 il Ministro della sanità ha adottato un’ordinanza tesa a limitare
gli spostamenti dei cittadini da un comune all’altro, ma sottoscrivendola
congiuntamente a Ministro dell’interno, proprio perché il Ministro della sanità
da solo non avrebbe potuto congiungere poteri inerenti sanità e igiene
pubblica, con poteri riguardanti l’ordine pubblico.
La materia dell’ordine pubblico
è totalmente sottratta a qualsiasi potere di ordinanza e legislativo alle regioni.
Né il potere di ordinanza di cui
all’articolo 32, comma 2, della legge 833/1978 racchiude anche poteri di
disciplina dell’ordine pubblico.
Si deve, poi, osservare che i
poteri di ordinanza regionali e locali nella stretta materia di igiene e sanità
sono esercitabili evidentemente solo laddove non siano intervenuti provvedimenti
negli stessi ambiti da parte dello Stato.
Nel caso di specie, lo Stato ha
regolato già le attività da rendere in presenza nel caso di servizi indifferibili
con l’articolo 87 del d.l. 18/2020, che è entrato in vigore il 17 marzo. Dunque,
non solo la regione Lombardia non ha potere di intervento nell’organizzazione
dell’attività lavorativa di dettaglio degli enti locali, ma anche ciò fosse, l’ordinanza
515/2020 essendo successiva al decreto del 17 marzo, per essere legittima non
potrebbe che essere con esso coerente.
Il che non è. L’ordinanza, di fatto,
mira ad imporre alle amministrazioni locali (ma anche alle amministrazioni
centrali dello Stato, in punti successivi che qui non esaminiamo) modalità attuative
del rapporto tra attività da svolgere in lavoro agile, attività invece sospese
e attività che debbono essere rese in presenza, come se potesse, una regione,
incidere sull’organizzazione del lavoro di altri enti.
E’ da tenere presente che la configurazione
dell’attività lavorativa in lavoro agile consiste in una determinazione dell’attività
lavorativa adottata nell’esercizio dei poteri datoriali. Come tale, dunque, si
tratta dell’esercizio di poteri datoriali nell’ambito del rapporto di lavoro
privatizzato. Il tutto è sorretto, quindi, dalla potestà legislativa dello Stato,
ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettera l), che elenca l’ordinamento
civile tra le materie di competenza esclusiva statale. L’articolo 87 del d.l.
18/2020 è esercitato, quindi, nell’ambito della potestà legislativa dello
Stato, che in quanto esclusiva non si presta in alcun modo a nessun intervento
interpretativo, interpolativo o modificativo da parte delle regioni, specie se
con ordinanze che sfondano per altro i confini della competenza dalla materia
di igiene e sanità verso l’ordine pubblico e la regolazione del lavoro, come la
515/2020 della regione Lombardia.
E’ del tutto evidente, dunque,
che la regolazione del lavoro pubblico in modalità agile:
1.
spetta esclusivamente allo Stato;
2.
che l’ha esercitata con l’articolo 87 del d.l.
18/2020, esaurendo la materia;
3.
inibendo a qualsiasi altro ente la possibilità
di interventi con norme di altro tipo;
4.
nell’inibizione sono comprese anche provvedimenti
contingibili ed urgenti delle regioni, perché questi debbono limitarsi alla sola
materia dell’igiene e della sanità, non potendo estendersi alla disciplina del
lavoro.
Il precetto dell’articolo 87 del
d.l. 18/2020: tutti i lavoratori pubblici debbono lavorare in lavoro agile, con
la sola eccezione:
a)
dei pochi lavoratori da adibire alle funzioni
indifferibili da svolgere in presenza, connesse alle attività materialmente
necessarie per il contrasto al contagio;
b)
degli ancor più pochi lavoratori che non potendo
espletare le proprie obbligazioni in lavoro agile, né essere inseriti in lavori
indifferibili in presenza, una volta esauriti congedi, permessi, ferie ed altri
istituti analoghi, siano esentati dal servizio.
Spetta esclusivamente a ciascun
ente e, segnatamente, a ciascun dirigente in quanto datore di lavoro
individuare quali dipendenti escludere dal lavoro agile.
L’ordinanza della regione
Lombardia, quindi, travalica le competenze autonome di ciascun ente locale, nella
pretesa costituzionalmente non sostenibile di sostituirsi a loro nell’organizzazione
e nella disciplina del lavoro.
Per altro, l’ordinanza vìola
platealmente l’articolo 87 del d.l. 18/2020, perché i suoi effetti sono
estendere la fattispecie dei lavori in presenza a discapito del lavoro agile,
laddove elenca una serie di servizi che in generale non sono da svolgere (nell’errata
formulazione dell’ordinanza) in lavoro agile, sicchè tutti i dipendenti di quei
servizi dovrebbero esercitare attività in presenza, anche prescindendo dalle
invece necessarie disposizioni gestionali dei dirigenti.
L’ordinanza vìola ulteriormente
l’articolo 87 del d.l. 87/2020, perché ritiene di individuare le attività da
svolgere non in lavoro agile tra quelle elencate nell’articolo 1 della legge
146/2020. Ma, l’articolo 87 del d.l. 18/2020 non fa riferimento alcuno alla legge
146/2020. L’ordinanza della regione Lombardia, dunque, non ha alcuna base giuridica
per questa indebita previsione, che, per altro, finisce persino per estendere
le materie della legge 146/1990, laddove attività nemmeno menzionate da quella
norma, come i servizi informatici o le “funzioni di stretto supporto
amministrativo a consigli e giunte degli enti locali qualora non sia possibile
adottare le misure previste dall’art. 73 del Decreto legge n. 18/2020 nonchè
delle Regioni e degli organismi collegiali di altre istituzioni”.
Sia in una visione
costituzionalmente orientata, sia analizzando partitamente ed analiticamente l’ambito
delle competenze regionali, l’ordinanza 515/2020 non regge all’esame della sua
legittimità ed applicabilità. Nella parte in cui estende all’inverosimile l’impossibilità
dello svolgimento del lavoro agile nel lavoro pubblico, per altro, va
addirittura in senso contrario alla disciplina normativa emergenziale, finalizzata
a ridurre quanto più possibile le uscite dei dipendenti da casa per limitare il
contagio e vanifica la normazione del lavoro agile emergenziale disposta dall’articolo
87 del d.l. 2020.
In ultimo, l’ordinanza, sempre
su questo aspetto, contrasta persino con il Dpcm 22 marzo 2020, che ha
confermato (e ci mancava altro) pienamente le previsioni dell’articolo 87 del
d.l. 18/2020 e rafforza ulteriormente il distanziamento sociale, che è il
fondamento del dovere di estendere al massimo possibile il lavoro agile,
esattamente l’opposto di quanto deriverebbe dall’attuazione dell’ordinanza
regionale.
Detta ordinanza, quindi, non può
che essere disapplicata. Il problema è che essa ha già creato allarme e creerà,
per gli amministratori e i funzionari locali, occasioni di incertezze e
contrasti. Quelli che tra amministratori e dirigenti abbiano già da giorni
svilito e frainteso le disposizioni sul lavoro agile, si faranno forza sull’ordinanza
per continuare a restringere una misura fondamentale per il distanziamento sociale.
Chi percepisca l’illegittimità dell’ordinanza avrà il peso di doverla
disapplicare. Ma, la disapplicazione è doverosa, visto il contrasto con le
regole che, invece, sono necessariamente da applicare e derivano dall’articolo
87 del d.l. 18/2020.
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