Il tetto del salario accessorio si computa a valere sul 2018 e non sul 2016 e la contrattazione decentrata, per evitare che divenga continua e senza fine, deve essere condotta sulla base di criteri e non somme fisse di destinazione delle risorse.
Le indicazioni riportate da G. Bertagna sul Quotidiano Enti
Locali del 5 maggio 2020, nell’articolo “Assunzioni, rebus calcoli per gli enti
sull'adeguamento del tetto del trattamento accessorio” in merito ai calcoli per
la determinazione del valore medio pro-capite del trattamento accessorio non appaiono
del tutto in linea con le disposizioni normative vigenti.
In primo luogo, l’Autore ritiene che limite del trattamento accessorio (costituito da fondo della contrattazione decentrata, più le
retribuzioni di posizione e risultato delle PO) sia pari alla somma dell'anno
2016.
Ma, tale tesi è contrastante con quanto prevede l’ultimo
periodo dell’articolo 33, comma 2, del d.l. 34/2020: “Il limite al
trattamento accessorio del personale di cui all'articolo 23, comma 2, del
decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, è adeguato, in aumento o in
diminuzione, per garantire l'invarianza del valore medio pro-capite, riferito
all'anno 2018, del fondo per la contrattazione integrativa nonchè delle risorse
per remunerare gli incarichi di posizione organizzativa, prendendo a
riferimento come base di calcolo il personale in servizio al 31 dicembre 2018”.
Riscrivendo la frase, molto contorta a causa delle
molteplici proposizioni relative, si comprende meglio:
1)
CHI: il limite al trattamento accessorio del
personale;
2)
COSA: è adeguato;
3)
COME: prendendo a riferimento come base di
calcolo il personale in servizio al 31 dicembre 2018;
4)
PERCHE’: per garantire l’invarianza del valore
medio pro-capite, riferito all’anno 2018 del fondo per la contrattazione
integrativa nonchè delle risorse per remunerare gli incarichi di posizione
organizzativa.
Dunque, il limite al trattamento accessorio del personale
non è quello riferito al 2016; la norma invita a prendere come riferimento quel
dato, per adeguarlo, in modo che il valore medio pro-capite del 2018 risulti
costante nel tempo.
Perché il limite del trattamento accessorio non è quello del
2016? Per una ragione molto semplice: la norma stabilisce, come segnalato, di
adeguarlo, aumentandolo o diminuendolo.
In particolare, l’ultimo periodo dell’articolo 33, comma 2,
del d.l. 34/2020 rileva per l’ipotesi di aumento del citato limite al
trattamento accessorio. Questo, per la consapevolezza che nel 2018:
1)
è stato sottoscritto il Ccnl 21.5.2018, per
effetto del quale il costo complessivo della contrattazione decentrata è
aumentato rispetto a quello del 2016 (e può anche essere aumentato il costo
complessivo delle retribuzioni di posizione e risultato delle PO);
2)
i comuni potrebbero aver effettuato assunzioni sì
da incrementare il personale in servizio nel 2018, rispetto al 2016.
Non si deve dimenticare che l’incremento della spesa
complessiva del trattamento accessorio, composto da fondo e retribuzioni di
posizione e risultato delle PO, è espressamente consentita e prevista dalla
legge. Infatti:
a)
l’articolo 11 del d.l. 135/2018, convertito in
legge 12/2019 ha disposto di non computare nel tetto del 2016 gli incrementi
alla contrattazione decentrata a valere sulle “risorse nazionali” (dunque tutto
il tabellare e gli incrementi ad esso connessi), nonché le risorse previste da
specifiche disposizioni normative a copertura degli oneri del trattamento
economico accessorio per le assunzioni effettuate, in deroga alle facoltà assunzionali
vigenti, successivamente all'entrata in vigore del citato articolo 23 del d.lgs
75/2016;
b)
l’articolo 11-bis, comma 2, sempre del d.l.
135/2018, convertito in legge 12/2019, ha disposto di non computare nel tetto
del 2016 i differenziali degli incrementi degli importi delle retribuzioni di
posizione e risultato delle PO, laddove gli enti si siano avvalsi della facoltà
di aumentarli ai sensi dell’articolo 15 del Ccnl 21.5.2020.
Di fatto, l’articolo 33, comma 2, del d.l. 34/2019:
a)
prende atto che a partire dal 2018 i valori assoluti
del trattamento accessorio sono molto probabilmente superiori a quelli del
2016;
b)
propone di superare definitivamente il limite
del 2016, costruendone uno nuovo, a partire dal 2018.
Per tale ragione, dunque, le amministrazioni dovranno procedere
in questo modo:
- determinare
il valore assoluto dell’ammontare del trattamento accessorio del 2016 e
tenerlo momentaneamente da parte (ritorna in auge solo nel caso di riduzione
dei dipendenti);
- stabilire
il valore assoluto dell’ammontare del trattamento accessorio del 2018;
- riconoscere
il numero dei dipendenti in servizio al 31.12.2020;
- dividere
il trattamento accessorio del 2018 per il numero dei dipendenti al
31.12.2018;
- determinare,
così, il valore medio pro-capite riferito all’anno 2018;
- dal
2019 in poi, non fare più riferimento al limite del 2016, ma al valore
medio pro-capite.
Intento dell’articolo 33, comma 2, del d.l. 34/2019 (indipendentemente
dal fatto che difficilmente venga ottenuto) è di consentire ai comuni di
incrementare il numero dei dipendenti in servizio. E’ facile comprendere che se
si continuasse a far riferimento al limite di spesa dell’ammontare del
trattamento accessorio del 2016 come misura fissa, al crescere del numero dei
dipendenti in servizio, la “fetta” della “torta” del trattamento accessorio in
astratto spettante a tutti, si ridurrebbe.
Il nuovo sistema escogitato (ma spiegato male) dal
legislatore consente di attribuire a ciascun dipendente un valore medio
pro-capite, una sorta di “zainetto” economico, che porta con sé, in modo tale
che laddove si inneschi un processo di incremento del numero dei dipendenti, ogni
volta che un dipendente si aggiunga alla dotazione da prendere a riferimento,
quella al 31.12.2018, l’ammontare complessivo in valore assoluto del trattamento
accessorio del 2018 (da prendere a riferimento per il computo del valore medio
pro-capite) cresca esattamente del valore medio pro-capite connesso al dipendente
in più. Se, dunque, il trattamento accessorio del 2018 era 1000, i dipendenti
10 e a il valore medio pro-capite 100, laddove nel 2020 si assumesse un
dipendente in più, il trattamento accessorio salirebbe a 1010, in modo che il
valore medio pro capite resti 10 (1100/11= 100).
Se, invece, il numero dei dipendenti diminuisse rispetto a
quello determinato il 31.12.2018, occorrerebbe sottrarre al trattamento
accessorio l’importo del valore medio pro-capite connesso a ciascuna unità di
dipendenti in meno rilevata. Ma, qui, scatta il valore assoluto del trattamento
accessorio del 2016.
Il DM 17 marzo 2020, infatti, prevede (sia pure nella sola
parte della motivazione, il che rende molto debole la previsione, sul piano
della cogenza giuridica) che “è fatto salvo il limite iniziale qualora il
personale in servizio sia inferiore al numero rilevato al 31 dicembre 2018”.
Il limite iniziale è da considerare appunto il valore assoluto dell’importo del
trattamento accessorio del 2016, che costituisce, quindi, il valore economico
sotto il quale il trattamento accessorio non dovrà mai scendere (effetto
perverso di questa previsione: laddove il numero dei dipendenti dovesse
scendere così drasticamente da determinare, dividendo il valore del trattamento
accessorio del 2016 per il numero dei dipendenti in servizio, un incremento del
valore medio pro-capite rispetto a quello del 2018, l’ente non potrebbe
spendere tutto il trattamento accessorio, perché è vietato accrescere il valore
medio pro-capite).
C’è, adesso, da affrontare il tema di come si conteggia il valore
medio pro-capite. Istintivamente, il Bertagna, come molti altri autori, propone
di suddividere la somma del fondo della contrattazione decentrata e delle
retribuzioni delle PO, per il numero dei dipendenti.
Dunque, facendo 900 il fondo e 100 il valore delle retribuzioni
delle PO, ponendo che i dipendenti siano 10, si dovrebbe, il valore medio
sarebbe 100 (900+100=1000/10= 100).
Questo conteggio è, però, viziato: infatti mette insieme
valori economici diversi, il fondo della contrattazione decentrata e le risorse
delle PO, destinate, per altro, a una tipologia di personale diverso. Il fondo
della contrattazione decentrata riguarda tutti i dipendenti; le risorse delle
PO, soltanto una parte.
Poniamo questo esempio:
Fondo
|
1.000,00
|
|
PO
|
200,00
|
|
Dipendenti
|
12,00
|
|
Valore pro capite
|
100,00
|
Raffiniamo, ora l’ipotesi, distinguendo il valore medio pro-capite
sul fondo, conteggiato su tutti i dipendenti, dal valore medio sulle risorse
PO, conteggiato su sole ipotizzate 4 PO:
Fondo
|
1.000,00
|
|
PO
|
200,00
|
|
Dipendenti
|
8,00
|
|
Pro-capite Fondo
|
83,33
|
|
PO
|
4,00
|
|
Pro-capite PO
|
50,00
|
Questa raffinazione è fondamentale. Perché occorre sapere
cosa accade ai valori medi pro-capite distintamente se aumenta o diminuisce un
dipendente non PO, o aumenta o diminuisce un dipendente PO.
Perché? La ragione è semplicissima. Se aumenta o diminuisce
il numero dei dipendenti non inquadrati nell’area delle PO, a doversi
modificare in aumento o in diminuzione è solo il fondo della contrattazione
decentrata. Se, per converso, diminuisce in modo stabile il numero delle PO con
simmetrica riduzione della dotazione, le risorse delle PO non possono restare identiche
e ripartire tra 3 dipendenti, invece che 4, l’ipotizzato fondo 200.
Esemplifichiamo cosa accade se l’ente assuma un dipendente
non PO in più:
Fondo
|
1.083,33
|
|
PO
|
200,00
|
|
Dipendenti
|
9,00
|
|
Pro-capite Fondo
|
83,33
|
|
PO
|
4,00
|
|
Pro-capite PO
|
50,00
|
Occorre incrementare il solo fondo della contrattazione
decentrata del valore medio pro-capite, mentre le risorse delle PO restano immodificate.
Vediamo che accade se venga a mancare stabilmente un
dipendente incaricato di PO, con cancellazione della PO:
Fondo
|
916,67
|
|
PO
|
150,00
|
|
Dipendenti
|
8,00
|
|
Pro-capite Fondo
|
83,33
|
|
PO
|
3,00
|
|
Pro-capite PO
|
50,00
|
Occorre ridurre sia il fondo della contrattazione decentrata
del valore pro-capite connesso, sia l’ammontare delle risorse che finanziano
retribuzione di posizione e risultato delle PO: in questo modo si garantisce l’invarianza
dell’importo pro-capite sia per i dipendenti non PO, sia per i dipendenti inquadrati
come PO.
Se non si agisce in questo moto, distinguendo il valore
medio pro-capite del fondo dal valore medio pro-capite delle PO, non si riesce mai
a comprendere quali ricadute vi siano sulle risorse destinate alle PO, nel caso
di incrementi o riduzioni di personale.
Infine, il Bertagna pone un problema: visto che fino al 31
dicembre di ogni anno è possibile sapere con certezza il numero dei dipendenti,
come si può costituire e costituire e contrattare il fondo delle risorse
decentrate?
La soluzione si scompone in due modalità di azione. La
prima: prendere atto che il fondo della contrattazione decentrata, essendo connesso,
nel suo importo complessivo in valore assoluto, al numero dei dipendenti in servizio,
non può più essere una fotografia determinata in un certo momento dell’anno,
come nel passato, ma diviene, invece, un elemento fluido, mutevole,
consolidabile solo al 31 dicembre di ogni anno. Occorre prendere atto, quindi,
che i principi contabili 4.2, 5/2, sono divenuti obsoleti ed inadeguati e vanno
al più presto modificati, fermo restando che sono inapplicabili con la nuova
disciplina.
Gli enti dovranno abituarsi a costituire il fondo e
aggiornarlo costantemente, ogni trimestre o quadrimestre, con una “chiusura” a
dicembre, che potrebbe anche slittare a gennaio successivo, se giungessero a
fine dicembre cessazioni o assunzioni “inaspettate” (il che non è mai da
escludere).
La Corte dei conti non può pretendere che il fondo di un
certo anno sia costituito in modo fisso: non c’è nulla da fare.
La seconda modalità di azione? E’ indicata da sempre dalla
contrattazione collettiva, ma, da sempre, inadempiuta dagli enti. Oggi, è l’articolo
7, comma 4, lettera a), del Ccnl del comparto Funzioni locali del 21.5.2018 a
spiegarlo: oggetto della contrattazione sono “i criteri di
ripartizione delle risorse disponibili per la contrattazione integrativa di cui
all’art. 68, comma 1 tra le diverse modalità di utilizzo”.
Gli enti commettono l’errore di contrattare determinando le
somme fisse, invece di stabilire i criteri per enuclearle. Con un fondo “fluttuante”
come quello inevitabilmente derivante dall’applicazione della nuova disciplina,
si deve, invece, necessariamente comprendere che vanno contrattati i criteri,
cioè le formule logico-matematiche, da applicare, in modo che al mutare dell’importo
del fondo, siano garantite le destinazioni contrattate. Altrimenti, ogni volta
che il fondo si modifichi, l’ente si vedrebbe costretto ad una nuova
contrattazione integrativa, innescando un processo che, laddove l’ente medesimo
abbia dimensioni già non piccolissime, considerando l’alta volatilità del
numero dei dipendenti, sarebbe senza fine.
tutto chiaro, ma un dubbio ancora rimane. Se, in un ente senza la dirigenza, a parità di numero di dipendenti e PO, il valore pro capite fondo 2018 è più alto ed il valore pro capite PO è più basso, occorre procedere all’adeguamento?
RispondiEliminaIl discorso è condivisibile (cioè sulla necessità di tenere distinti i due fondi). Tuttavai vorrei meglio capire: Nel caso di incremento del personale in organico va incrementato il fondo ovvero va solo aumentato il limite in relazione alla percentuale di variaizone (in questo caso di aumento) del personale? La differenza non è di poco conto: Se devo incrementare il fondo allora avrò (come sostiene qualcuno) una nuova fonte di alimentazione del fondo di natura non contrattuale ma legale ( e poi in che parte del fondo? STABILE? variabile?). Se invece ad adeguarsi è solo il limite allora il discorso cambia. Infatti nella sostanza il valore pro capite effettivo, all'aumentare del personale, potrebbe acnche scendere al di sotto della valore soglia 2018, qualora l'amministrazione non decidesse di prevedere stanziamenti in parte variabile. Inoltre, secondo il mio modesto parere, il limite da prendere in considerazione dovrebbe essere quello 2018 solo se più alto a quello 2016 per effetto dell'incremento del personale 2018. Tanto è vero che con il DM, resisi conto del possibile vulnus, si è posta una pezza stabilendo che cmq il limite "minimo" è quello 2016.
RispondiEliminaCordialmente
L'adeguamento del limite consiste nel suo incremento del valore pari alla quota media pro-capite del salario accessorio. La parte connessa al fondo non può che essere comprensiva di parte stabile e variaible. Nell'articolo non mi sono voluto soffermare sull'ulteriore (necessaria) sofisticazione dell'individuazione nella quota pro-capite dell'incidenza della parte stabile rispetto a quella variabile, che, per esempio, potrebbe essere resa indisponibile quell'anno che l'ente decidesse di non destinare risorsa alcuna alla parte variabile medesima.
EliminaCondivisibile lo schema applicativo di calcolo del fondo per remunerare le PO ..Se ho bene inteso.... consentirebbe di risolvere alcuni problemi legati al fatto che non sempre a seguito di una cessazione di una PO ci sia una nuova nomina, infatti spesso negli enti di piccola dimensione, per periodi che a volte durano anche più di un anno è il sindaco che assume in modo diretto la responsabilità di servizio in attesa di fare un nuovo concorso o comunque di trovare una nuova figura da incaricare come PO. Così anche da noi, comune con popolazione inferiore a 3.000 abitanti che per oltre 20 anni ha operato con 3 responsabili d'area, si trova oggi con un solo responsabile tecnico e con il sindaco che ha assunto la responsabilità in altre 2 aree..una per pensionamento del dipendente in PO avvenuta nel 2017, l'altra per il pensionamento del dipendente in PO nel 2019. Solo nel 2020 sono previsti i concorsi per l'assunzione delle figure apicali in sostituzione di quelli andati in pensione. Sembrerebbe quindi possibile ora in previsione che le P.O siano riportate a 3 ..Prendere il fondo PO 2018 che per noi era di 20.000 EURO dividerlo per 2 (n. PO in servizio nel 2018) e moltiplicarlo per 3 (n. PO che dovranno essere in servizio alla fine del 2020) Cioè il fondo PO potrà essere in totale di euro 30.000 e non di euro 20.000 (come era a fine 2018)
RispondiElimina