domenica 17 maggio 2020

Pensieri in libertà del tutto vacui sulla riapertura

In Italia può costituire un problema la distanza di un metro tra tavoli di ristorante o bar o di non so quanto tra ombrelloni, per la semplice ragione che si è tollerato da decenni un modello francamente discutibile: riempire all'inverosimile ogni possibile centimetro quadrato. Certo, trattorie tradizionali piccole e affollate sono anche caratteristiche per questo. Ma probabilmente, a nessuno è mai piaciuto troppo entrare e non poter nemmeno posare i soprabiti, sedersi e non potersi muovere perchè a 2 centimetri dietro la spalliera c'è un altro avventore, immaginare strategie per evitare di accodarsi alla cassa, ma al contempo liberare il tavolo per la seconda ondata, mentre il il clima interno diventa tanto torrido quanto assordante per il vocìo. Per non parlare degli stabilimenti balneari, meglio definibili come stabilimenti alveari: un brulicare promiscuo di individui vaganti tra pochissimi millimetri di sabbia non occupata da teloni, tende, sedie, ombrelloni, tavolate per il pranzo o per il gioco, pressati nelle code per l'acquisto di generi alimentari o per l'accesso a docce e bagni. Si è consentita una massimizzazione del profitto (contro il quale non c'è da avere nulla, anzi), a discapito della confortevolezza e della ragione, senza che nel frattempo si sia mai seriamente indagato quanto di quel sacrosanto profitto sia stato sottratto alle imposte, mentre le concessioni balneari (spiagge e lidi sono beni demaniali) da sempre sono state assegnate per letteralmente 4 soldi. Ovviamente, una volta che questi esercizi riaprano, la prospettiva della rinuncia a questo stile organizzativo degli spazi è un colpo economico, non c'è dubbio. Ma, più che la conseguenza del virus, appare causato dalla già citata tolleranza decennale per lo sfruttamento intensivo di ogni minimo spazio. Al quale ci si è rassegnati anche nelle stazioni, negli autobus, nei tram e nelle metropolitane, sempre troppo poche, sempre in ritardo, sempre inadeguate. Al quale ci si è rassegnati nelle affollatissime aule scolastiche di ogni ordine e grado. La gestione dei tempi, degli spazi, in modo da lasciare aria, evitando le batterie da pollaio, non ha mai fatto parte, se non con poche eccezioni, di una cultura complessiva, messa in seria crisi dalla pandemia, con i suoi modelli di offerta commerciale pittoreschi, ma molto discutibili, con o senza virus.
Vedremo se sapremo trarre beneficio dalla grande paura. Occorre consapevolezza tuttavia che è difficile tutto torni ad una normalità diversa, molto diversa, dal passato.
Occorre essere consapevoli che se per un verso le misure per cercare di garantire una certa sicurezza non possono tradursi in una vessazione per le imprese esponendole ad un rischio incommensurabile di responsabilità penale oggettiva da contagio, per altro verso se non si corregge il tiro, in particolare sui controlli, i benefici organizzativi potrebbero durare poco. Le misure per il distanziamento costano. Il rischio che non pochi attiveranno concorrenza sleale al ribasso, non prestando adeguate distanze e presìdi, potendo confidare nell'atavica e micidiale carenza di ispettori del lavoro.
Giusta la pretesa di non incorrere in odissee giudiziarie per responsabilità impalpabili per il "contagio nel luogo di lavoro", ma la pretesa di uno scudo appare altrettanto fuori mira, soprattutto, appunto, perchè non è possibile nessun reale ed efficace controllo, data l'irrisorietà degli ispettori.

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