Di recente, Data Room del Corriere della sera si è interessato del problema della difficoltà dell'incontro tra domanda ed offerta nel mercato del lavoro in Italia.
Un problema estremamente serio ed importante, che si ritiene però sia da affrontare abbandonando la logica delle generalizzazioni ed analizzando con precisione dati ed elementi. Purtroppo, l'inchiesta del Corriere, invece, di generalizzazioni e analisi in superficie abbonda.
Partiamo dalla prima e più eclatante: si afferma che, sulla base dell'indagine Excelsior di Unioncamere sono previste nel trimestre dicembre-febbraio assunzioni per circa "729.000 unità (di cui 191 mila solo a dicembre), dai dirigenti ai tecnici, dagli impiegati fino agli addetti alle pulizie. Ebbene, il 33% (240 mila persone) non si trova".
E' il caso di evidenziare, però, tutti i limiti metodologici connessi a simile modo di trattare il problema enorme dell'incontro domanda/offerta.
Correttamente, l'inchiesta evidenzia l'assenza di un portale nazionale nel quale risultino caricate le domande di lavoro, cosa che, invece, avviene in Francia. Il portale italiano, Cliclavoro, contiene zero domande, mentre quello francese quasi 630.000:
Il sito francese, correttamente, evidenzia che le domande di lavoro delle aziende disponibili, includono quelle dei partner del sistema pubblico. Cliccando sul punto interrogativo si accede alla pagina che elenca i partners: si scopre che vi sono moltissime di quelle che da noi si chiamano Agenzie per il lavoro, note come agenzie di somministrazione.
Apprendiamo, allora, cliccando un po', che il portale francese altro non è se non un meta-portale. Non vi sono caricate solo le richieste di lavoro rivolte dalle imprese al sistema pubblico, ma l'insieme delle richieste di lavoro gestite anche dai soggetti privati.
E' un po' la stessa logica di portali privati esistenti (Monster, Infojobs, etc), che raccolgono sul web le varie ricerche attive di tutte le provenienze. Il merito dell'idea francese è di aver creato un meta portale pubblico, con la certificazione dei partners convenzionati.
In Italia non si è pensato al valore importante di un meta-portale pubblico, capace di fare da punto di accesso unico per la pubblicazione delle vacancy da parte delle aziende e dei curriculum da parte dei lavoratori.
Dunque, ci si affida a strumenti, come Excelsior, molto diversi da una raccolta certificata di domande di lavoro effettive. Infatti, mentre sul portale francese sono caricate opportunità di lavoro concrete, connesse a reali fabbisogni delle aziende, quella di Excelsior è solo una previsione.
La differenza è molto forte. Una raccolta di offerte concrete, permette di comprendere quale sia l'azienda che intende assumere, quale sia il reale lavoro offerto, la sede, la qualifica, la mansione, l'orario, la retribuzione.
Una previsione, come quella di Excelsior, riguarda solo dati aggregati; dà l'idea delle figure professionali ricercate (e della difficoltà di reperimento), delle zone territoriali interessate e poco altro. Serve più ad orientare la formazione e l'istruzione, ma non ha nessuna utilità pratica per attivare l'incontro domanda offerta.
Singolarmente, il sistema del rapporto Excelsior, che è comunque campionario, rivolto cioè ad alcune aziende estratte, prevede sanzioni a carico delle aziende che non compilino il questionario. Nessun obbligo e, conseguentemente, nessuna sanzione, ma anche nessun incentivo, vi è nei confronti delle aziende a pubblicare le proprie richieste di lavoro sui portali pubblici: nè quello nazionale, Cliclavoro, nè quelli regionali.
Succede, quindi, che il mondo delle imprese evochi fabbisogni per oltre 700.000 posti di lavoro nel prossimo trimestre, ma, curiosamente, questo fabbisogno resta sostanzialmente inespresso: non si ha quasi traccia di una sua cascata in domande di lavoro rivolte, poi, ai servizi pubblici per il lavoro.
Colpa dei servizi pubblici? Sicuramente, come visto prima, il sistema pubblico non dispone di un portale come quello francese. Ma, guardando i portali privati non si ha la sensazione che nemmeno questi intercettino tutte le opportunità di lavoro immaginate da Excelsior, che solo per dicembre sarebbero 191.610.
L'opacità del mercato del lavoro e dell'incontro domanda offerta è un segno caratteristico del sistema Italia, quello nel quale si ha la convinzione che per reperire lavoro sia importante la famosa "partita di calcetto", proprio perchè, nonostante le roboanti previsioni di assunzione, alla fine poi le ricerche concrete non sono rese pubbliche, se non in minima parte.
Inoltre, vi è una propensione molto, troppo forte, alla ricerca di personale già "fatto e finito", dotato di qualificazione professionale molto elevata, in grado di svolgere le mansioni senza quasi formazione interna, da subito. Famosa come la partita di calcetto è la richiesta di stagisti "con esperienza", più volte stigmatizzata da Adapt, ad esempio. Le imprese molto spesso rivolgono la loro domanda di lavoro non a persone prive di occupazione, ma a chi è già occupato: cercano il più possibile di "rubarsi" tra loro i dipendenti qualificati. Scelta, per altro, quasi necessitata per le professioni con elevata difficoltà di reperimento.
Ragionare, allora, come troppo di frequente avviene, su un sistema previsionale che non ha poi riscontri nella realtà, non porta da nessuna parte.
Un sistema come quello di Excelsior, gestito da soggetti pubblici, avrebbe senso se le aziende che rispondono al questionario (molto dettagliato e ben fatto) fossero note e conosciute ai servizi per il lavoro, tanto pubblici quanto privati ed ai lavoratori, in modo da scatenare, poi, l'incontro domanda offerta. C'è da chiedersi perchè questo non avvenga, permettendo che il mercato del lavoro resti opacissimo, proprio sul lato della domanda, mentre quello dell'offerta, composta dai disoccupati, è conosciuto in ogni suo singolo e minimo dettaglio.
L'inchiesta di Data Room, poi, propone una serie di generalizzazioni, abbastanza stantie, sui centri per l'impiego, senza analizzare, prima, le cause, e, poi, i dati che pure in parte sono pubblicati.
Piace affermare che i centri per l'impiego non funzionano. Non si ricordano, però, due nomi importanti: Franco Bassanini e Graziano Del Rio. Autori, a pochissimi anni di distanza, di riforme che hanno avuto l'esito di destabilizzare il sistema dei servizi pubblici del lavoro.
Il primo, col d.lga 469/1997, ha smantellato la rete statale dei centri per l'impiego, prima gestita direttamente dal Ministero del lavoro, per attribuirla alle province, sotto la regia delle regioni. Nemmeno il tempo di provare ad assestare questa riforma (caratterizzata dal solito esiziale fritto misto di competenze frammentate, da coordinare con estrema difficoltà) ed appena dopo 17 anni, nel 2014, la legge 56/2016 ha devastato le province, sottraendo loro le competenze loro assegnate pochi anni prima in materia di mercato del lavoro, adesso passate alle regioni (salvo qualche eccezione).
In tutto questo frangente, le risorse destinate alle politiche attive, come dimostra proprio Data Room, sono rimaste sempre irrisorie, se confrontate con quelle dei Paesi europei competitor: in Italia alcune centinaia di milioni (oscillanti, negli anni tra i 300 e i 500), in Germania 11 miliardi, in Francia 4 miliardi.
E il personale? In Italia, in questo ventennio, è rimasto sempre inchiodato in circa 10.000 unità, salvo il tremendo periodo compreso tra il 2016 e il 2019, quando per effetto ancora della riforma Del Rio era calato paurosamente a circa 7.500, ora leggermente in ripresa.
Mancano attualmente stime precise, ma a seguito dell'avvio di alcuni concorsi da parte delle regioni, in esecuzione del piano di potenziamento previsto dal Governo a partire dalla legge di stabilità 2018 e finanziato nel 2019, si può pensare che si sia tornati verso i 10.000 dipendenti: quanti ne ha la Svezia, ma con 6 milioni di abitanti, contro i 62 milioni in Italia, e con 300.000 disoccupati, a fronte dei quasi 3 milioni di disoccupati in Italia.
In Germania i dipendenti dei servizi pubblici per il lavoro sono circa 100.000; in Francia, circa 50.000. Quando si sciorinano i dati sulla spesa per le politiche attive, limitarsi ad affermare che in Italia i centri per l'impiego "non funzionano" serve a poco, se non si spiega cosa è successo e perchè. Informare in modo completo lascia capire semplicemente cosa servirebbe per far funzionare i centri per l'impiego meglio: che le aziende pubblichino le domande di lavoro, che la spesa per le politiche attive decuplichi, che il personale venga fortemente, molto fortemente, potenziato. Oltre che formato (ma la formazione di tutti i dipendenti pubblici ha subito dal 2009 una gravissima battuta d'arresto, a causa delle leggi Tremonti, anche questo andrebbe ricordato).
Proprio in tema di spesa per politiche attive del lavoro, l'inchiesta di Data Room contiene una rilevante imprecisione. Si afferma: "Un passo avanti è stato fatto nel 2015 con l’introduzione del cosiddetto «assegno di ricollocazione»: una dote ai centri per l’impiego da 500 fino a 5000 euro per ogni disoccupato, a seconda della difficoltà di ciascuno a farsi assumere".
Le cose non stanno esattamente così. La "dote" di cui si parla è attribuita esclusivamente al lavoratore disoccupato, e viene spesa per la fruizione di servizi di orientamento, consulenza, tirocini, esperienze formative, necessari ai fini di una ricerca intensiva; servizi svolti sia dai centri per l'impiego, sia da soggetti privati autorizzati e accreditati, ai quali spetta un pagamento per i servizi svolti, finanziata con la "dote" del lavoratore, commisurato al grado di occupabilità del lavoratore e, soprattutto, condizionato al "risultato", cioè all'assunzione. Per altro, i lavoratori beneficiari dell'Assegno di Ricollocazione possono scegliere di non farsi assistere dai centri per l'impiego nella ricerca intensiva. I centri per l'impiego, quindi, in questo caso non ricevono nemmeno un centesimo.
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