Se vi fosse stata la necessità di una conferma che la mobilità volontaria è un’assunzione e non è per nulla una vera e propria cessione del contratto di lavoro subordinato, bensì un istituto di diritto pubblico solo analogo, ma parecchio differente, il parere della Funzione Pubblica DFP-27149-P-21/04/2021 dovrebbe contribuire a togliere qualsiasi dubbio. Ovviamente, solo a chi non si ostini a difendere per pregiudizio l’insostenibile tesi della coincidenza tra mobilità e cessione di contratto.
Il pronunciamento della Funzione
Pubblica riguarda, nello specifico, una mobilità volontaria intercompartimentale,
da un Ministero ad una Usl. Il problema posto dalla Usl consiste nella verifica
della possibilità di mantenere in capo al dipendente, almeno come assegno ad
personam riassorbibile, la “indennità di amministrazione”, spettante nell’ambito
del comparto di provenienza, ma non prevista dalla contrattazione nazionale
collettiva del comparto Sanità.
Palazzo Vidoni, correttamente,
richiama l’articolo 30, comma 2-quinquies, del d.lgs 165/2001, ai sensi del
quale “Salvo diversa previsione, a seguito dell'iscrizione nel ruolo
dell'amministrazione di destinazione, al dipendente trasferito per mobilità
si applica esclusivamente il trattamento giuridico ed economico,
compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi vigenti nel
comparto della stessa amministrazione”.
La norma è estremamente precisa,
anzi chirurgica, più ancora di quanto non appaia ad una prima veloce lettura.
Il parere aggancia la previsione
dell’articolo 30, comma 2-quinquies, a quanto stabilisce l’articolo 45, comma 2,
sempre del d.lgs 165/2001: “Le amministrazioni pubbliche garantiscono ai
propri dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, parità di trattamento
contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai
rispettivi contratti collettivi”.
Il principio di parità di
trattamento contrattuale – ed economico – è alla base delle regole concernenti
la mobilità del personale, se volontaria: il trasferimento dei dipendenti non
può cagionare l’erogazione di emolumenti specifici, distinti e diversi, di
maggior favore per il dipendente che transita in mobilità.
Basta pensarci. Un dipendente
che appartenga ad un comparto che abbia un trattamento mediamente più alto di
quello di altri, potrebbe essere tentato di abbandonarlo per trasferirsi in
altri enti di altre PA, potendo conservare il differenziale economico, laddove,
ad esempio, la sede dell’altro ente nel quale intenda trasferirsi si riveli più
comoda. L’ente di destinazione dovrebbe accollarsi, quindi, spese non
giustificate dall’ordinamento. Il caos gestionale sarebbe dietro l’angolo.
Queste, e anche altre, sono le
storture possibili, rispetto alle quali fanno muro gli articoli 30, comma 2-quinquies,
e 45, comma 2, del d.lgs 165/2001.
A conferma di ciò, come ricorda
la Funzione Pubblica, l’ordinamento consente, è vero, in talune circostanze la
conservazione del trattamento economico del dipendente. Ma, questa possibilità deve
essere disciplinata dalla legge e limitata, ai sensi del comma 2[1] dell’articolo
30, ai soli “casi di mobilità diversa da quella volontaria, fatta
salva l'eventuale disciplina speciale”.
Quindi, soltanto laddove il
dipendente sia obbligato a transitare in mobilità da un ente all’altro la legge
può consentire la conservazione integrale (ma, nemmeno sempre: si veda la “transumanza”
imposta anni addietro ai dipendenti provinciali dalla folle riforma delle
province) del trattamento economico (nemmeno di quello giuridico, se si
determina un radicale cambio di mansioni, come non di rado avvenuto proprio attuando
la folle riforma delle province).
Cosa significa, allora, tutto
ciò? Che l’idea secondo la quale la mobilità volontaria dia luogo ad una
cessione del contratto per effetto della quale il rapporto di lavoro del
dipendente transiti in totale continuità e, quindi, identità assoluta dell’oggetto
contrattuale, da un datore all’altro, risulta totalmente erronea.
Lo è senz’altro nel caso della
mobilità volontaria intercompartimentale, cioè tra amministrazioni appartenenti
a comparti contrattuali differenti.
Ma, la mobilità non consente
alcuna continuità del rapporto contrattuale nemmeno nel caso della mobilità volontaria
nell’ambito dello stesso comparto.
Torniamo sopra a rileggere l’articolo
30, comma 2-quinquies, del d.lgs 165/2001, le cui parole hanno un senso molto
preciso: esso connette il trattamento giuridico ed economico del dipendente passato
per mobilità volontaria all’ente di destinazione all’istituto molto specifico
della “iscrizione nel ruolo dell'amministrazione di destinazione”.
L’iscrizione nel ruolo implica l’inserimento
del dipendente nell’elenco del personale stabilmente parte dell’organico.
Rispondiamo, ora, alla seguente
domanda: qual è il presupposto per iscrivere un dipendente nel ruolo?
Ci aiuta a dare la risposta la Cassazione,
Sezione Lavoro, con la sentenza 27564/2016 “il concorso pubblico costituisce
la modalità generale ed ordinaria di accesso nei ruoli delle pubbliche
amministrazioni. L’eccezionale possibilità di derogare per legge al
principio del concorso per il reclutamento del personale, che è prevista
dall’art. 97 Cost. comma 4, è ammessa nei soli casi in cui sia maggiormente
funzionale al buon andamento dell’amministrazione e corrispondente a
straordinarie esigenze di interesse pubblico, individuate dal legislatore in
base ad una valutazione discrezionale, effettuata nei limiti della non
manifesta irragionevolezza”.
Si accede ai ruoli, dunque, a
seguito del concorso. Ma, il concorso è il mezzo mediante il quale si recluta
il dipendente, cioè il presupposto.
L’accesso vero e proprio al ruolo
deriva esclusivamente dalla sottoscrizione del contratto di lavoro, che
costituisce la fonte di attivazione del rapporto contrattuale di lavoro tra le
parti, come prescrive l’articolo 35, comma 1, del d.lgs 165/2001: “L'assunzione
nelle amministrazioni pubbliche avviene con contratto individuale di lavoro”.
Dunque, anche nel caso della
mobilità volontaria, tra dipendente che passa in mobilità ed ente di
destinazione deve esservi un contratto individuale di lavoro.
Laddove si tratti di mobilità
intercompartimentale è evidentissima la necessità di sottoscrivere un contratto
individuale totalmente nuovo e diverso rispetto a quello condotto dal dipendente
con l’amministrazione di provenienza, vista la necessità di regolare il
rapporto di lavoro con l’ente di destinazione nel rispetto degli specifici
vincoli connessi alla contrattazione nazionale collettiva del comparto di ascrizione
dell’ente di destinazione.
Tuttavia, occorre comunque un nuovo
contratto individuale anche nel caso di mobilità volontaria compartimentale. Esemplifichiamo
il caso della mobilità tra enti del comparto Funzioni Locali e leggiamo la
disposizione dell’articolo 19, comma 2, del Ccnl 21.5.2018: “Nel contratto
di lavoro individuale, per il quale è richiesta la forma scritta, sono comunque
indicati: a) tipologia del rapporto di lavoro; b) data di inizio del rapporto
di lavoro; c) categoria e profilo professionale di inquadramento; d) posizione
economica iniziale; e) durata del periodo di prova; f) sede di lavoro;
g) termine finale in caso di rapporto di lavoro a tempo determinato”.
Come minimo, cambia,
necessariamente, la sede di lavoro: il dipendente, infatti, se si trasferisce
dall’ente A all’ente B non potrà che prestare servizio presso la sede dell’ente
B, la quale non può coincidere con la sede dell’ente A.
Ma, quelli indicati dall’articolo
19, comma 2, del Ccnl 21.5.2021 sono solo i contenuti minimi obbligatori del
contratto. Il rapporto di lavoro nel nuovo ente sarà certamente profondamente
diverso da quello condotto dal dipendente con l’ente di provenienza per molti
altri aspetti: il trattamento accessorio (impossibile che i fondi dei due enti
coincidano), quindi le indennità, ma anche la flessibilità, gli orari di
lavoro, i sistemi di valutazione, non possono sicuramente essere coincidenti.
L’invarianza oggettiva, necessaria
perché si possa davvero parlare di cessione del contratto, semplicemente è
impossibile.
Il dipendente transitato in
mobilità, quindi, deve necessariamente sottoscrivere con l’ente di destinazione
un nuovo e diverso contratto di lavoro, anche solo per definire la nuova sede
di lavoro.
Ma, la sottoscrizione tra il
datore di lavoro ed un lavoratore di un contratto di lavoro, anche solo avente il
fine di regolare diversamente alcuni istituti, altro non è se non un’assunzione.
Non solo: se l’ente di
destinazione attiva il trattamento giuridico ed economico in funzione dell’iscrizione
a ruolo dell’ente e detta iscrizione non può che dipendere dalla sottoscrizione
di un contratto di lavoro, ancora una volta si ha la conferma che effetto della
mobilità è una vera e propria assunzione a tutti gli effetti, sebbene
riferita a persona già dipendente pubblico.
[1]
Nell’ambito dei rapporti di lavoro di cui all’articolo 2, comma 2, i dipendenti
possono essere trasferiti all’interno della stessa amministrazione o, previo
accordo tra le amministrazioni interessate, in altra amministrazione, in sedi
collocate nel territorio dello stesso comune ovvero a distanza non superiore a
cinquanta chilometri dalla sede cui sono adibiti. Ai fini del presente comma
non si applica il terzo periodo del primo comma dell’articolo 2103 del codice
civile. Con decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica
amministrazione, previa consultazione con le confederazioni sindacali
rappresentative e previa intesa, ove necessario, in sede di conferenza
unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281,
possono essere fissati criteri per realizzare i processi di cui al presente
comma, anche con passaggi diretti di personale tra amministrazioni senza
preventivo accordo, per garantire l'esercizio delle funzioni istituzionali da
parte delle amministrazioni che presentano carenze di organico. Le disposizioni
di cui al presente comma si applicano ai dipendenti con figli di età inferiore
a tre anni, che hanno diritto al congedo parentale, e ai soggetti di cui
all’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive
modificazioni, con il consenso degli stessi alla prestazione della propria
attività lavorativa in un’altra sede. In ogni caso sono nulli gli accordi, gli
atti o le clausole dei contratti collettivi volti ad eludere l'applicazione del
principio del previo esperimento di mobilità rispetto al reclutamento di nuovo
personale.
Dott. Oliveri, condivido il distinguo tra l'istituto della mobilità volontaria e quello la cessione del contratto ma osservo che i provvedimenti di inquadramento dei dipendenti sono atti autoritativi e vincolati a seguito delle assunzioni dei vincitori di concorso e, a maggior ragione, nei casi di mobilità volontaria. Con gli stessi si delinea in maniera immutabile la qualificazione professionale, le mansioni correlate ed il conseguente trattamento economico del dipendente. Questi effetti dell'inquadramento, pur costituendo contenuto obbligatorio del contratto laddove i CCNL in tale senso prevedano, non sono oggetto di negoziazione ma sono riconducibili alla potestà organizzatoria a fronte della quale il dipendente ha una posizione di interesse legittimo, non di diritto soggettivo (infra Consiglio di Stato con la sentenza n. 175 del 9 gennaio 2020). Quindi rispetto agli effetti dell'inquadramento, specie nelle ipotesi di mobilità infracomparto, è assicurata l'invarianza oggettiva.
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