Imperversa in gran parte della dottrina l’idea che la violazione dei termini disposti dal d.l. 76/2020, convertito in legge 120/2020, per la conclusione delle procedure di gara ed alcune altre loro fasi implichi automaticamente responsabilità erariale del responsabile unico del procedimento (Rup).
Dovrebbe essere ovvio che, al contrario, le cose non stiano affatto così, perché non è possibile e fondatamente prospettabile alcun automatismo tra lo spirare dei termini e la responsabilità erariale.
Guardiamo, innanzitutto, al testo della norma, limitandoci a quella contenuta nell’articolo 1, comma 1, del d.l. 76/2020, ai sensi del quale “l’aggiudicazione o l’individuazione definitiva del contraente avviene entro il termine di due mesi dalla data di adozione dell’atto di avvio del procedimento, aumentati a quattro mesi nei casi di cui al comma 2, lettera b). Il mancato rispetto dei termini di cui al secondo periodo, la mancata tempestiva stipulazione del contratto e il tardivo avvio dell’esecuzione dello stesso possono essere valutati ai fini della responsabilità del responsabile unico del procedimento per danno erariale”.
E’ semplice notare che la formulazione della norma (come sempre non troppo lineare e semplice) non riconnette in alcun modo alla violazione dei termini la conseguenza della responsabilità per danno erariale.
Detto in altre parole, la norma non stabilisce alcun diretto nesso di causalità tra violazione del termine (ritardo) e danno erariale.
Esattamente all’opposto, la norma dispone che, qualora per qualsiasi causa (compreso eventualmente anche il ritardo) si determini un danno erariale, il mancato rispetto dei termini fissati dalla norma concorre alla valutazione del comportamento del Rup ai fini dell’eventuale addebito del danno: cioè, la violazione dei termini costituisce elemento indiziario a carico del Rup.
Dunque, nessun automatismo. Il ritardo non costituisce di per sé danno; il danno si verifica esclusivamente al ricorrere delle cause scatenanti ed il Rup viene chiamato a rispondere se risulti vi abbia dato corso o concorso e, ai fini del suo apporto all’evento dannoso, il giudice valuterà la violazione dei termini.
Ma, non cambia in alcun modo il paradigma dell’attribuzione della responsabilità. Il danno continua a discendere da una specificata condotta la cui conseguenza sia una diminuzione di risorse finanziarie o patrimoniali, anche dovuta al mancato raggiungimento di specifici obiettivi.
Inoltre, perché emerga la responsabilità, risulta necessario che il danno sia imputabile al Rup per azioni od omissioni commessi con dolo o colpa grave. E, per altro, proprio il d.l. 76/2020 ha di fatto eliminato la responsabilità erariale per colpa grave almeno fino al giugno 2023.
Per riassumere, quindi:
il ritardo nella conclusione delle gare, nella stipulazione dei contratti e nell’avvio dei lavori non costituisce causa automatica di danno erariale;
detto ritardo è solo ed esclusivamente un elemento di valutazione del concorso che eventualmente il Rup abbia dato all’evento dannoso, che non è da ricondurre al ritardo;
in ogni caso, la responsabilità del Rup resta ovviamente connessa ad azioni od omissioni che risultino indispensabili nella catena dei fatti e comportamenti connessi al danno da un nesso di causalità.
Non vi sarebbe da aggiungere altro per smentire la tesi, pure diffusissima, secondo la quale la violazione dei termini posti dal d.l. 76/2020 sarebbe di per sé fonte del danno erariale.
Vale la pena, tuttavia, di scendere in qualche approfondimento. Di per sé, i termini indicati dalla norma citata prima non hanno ovviamente alcuna natura perentoria, ma solo acceleratoria. E’ inevitabile: non si vede quale sia l’interesse collettivo tutelabile volto a privare di efficacia una procedura di gara, per la semplice ragione che essa si concluda qualche giorno dopo il termine acceleratorio. Se si trattasse di termini perentori si otterrebbe il paradosso di assoggettare le gare ad un’alea di efficacia e alla spada di Damocle della loro ripetizione, anche per un solo giorno di ritardo, a tutto svantaggio dell’utilità, della logica e dello stesso interesse delle ditte partecipanti.
Nè detti termini costituiscono fonte del danno da mero ritardo, quello disciplinato dall’articolo 2-bis, comma 1, della legge 241/1990: “Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”. Nel caso di specie, non si vede dove possa reperirsi l’ingiustizia del danno, posto che esso danno (civilistico e non erariale) potrebbe emergere solo laddove configurabile la violazione dei termini previsti dalla norma alla stregua di responsabilità aquiliana.
Ma, la conclusione della procedura di gara anche dopo il termine acceleratorio non si vede quale danno determini, a meno che non si tratti di un ritardo così prolungato da incidere sull’efficacia della cauzione provvisoria, o sulla sostenibilità dei prezzi offerti.
Tuttavia, il prolungarsi delle operazioni di gara influisce anche sulla tempistica di sottoscrizione dei contratti e di avvio dei lavori.
Ora, il Consiglio di Stato, sezione V, con la sentenza 31 agosto 2016, n. 3742 ha chiarito che il termine di sottoscrizione del contratto “non ha natura perentoria, né alla sua inosservanza può farsi risalire ex se un’ipotesi di responsabilità precontrattuale ex lege della pubblica amministrazione, se non in costanza di tutti gli elementi necessari per la sua configurabilità. Infatti, le conseguenze che derivano in via diretta dall’inutile decorso del detto termine sono: da un lato, la facoltà dell’aggiudicatario, mediante atto notificato alla stazione appaltante, di sciogliersi da ogni vincolo o recedere dal contratto; dall’altro, il diritto al rimborso delle spese contrattuali documentate, senza alcun indennizzo (cfr. ex multis, Cons. St., Sez. III, 28 maggio 2015, n. 2671)”.
L’ordinamento appresta già rimedi normativi per il ritardo nella sottoscrizione del contratto, tali da non rendere applicabile l’azione di responsabilità extracontrattuale, sul piano civile.
Sul piano contabile, una responsabilità potrebbe evidenziarsi, ma non per il ritardo, bensì per la decisione dell’operatore economico di avvalersi della facoltà di sciogliersi da ogni vincolo. In questo caso, il danno deriva non tanto dagli oneri dovuti al rimborso delle spese contrattuali, ma dall’eventuale mancato conseguimento degli obiettivi prefissati con l’esecuzione della prestazione, da cui derivi un pregiudizio economico-patrimoniale.
Si tratta, tuttavia, di un tipo di danno erariale che emergerebbe in ogni caso, non fondato, cioè, sulla previsione dell’articolo 1, comma 1, del d.l. 76/2020.
Lo testimonia sufficientemente la sentenza 12 luglio 2019, n. 357 della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la regione Lazio. Essa ha riguardato la realizzazione di un teatro comunale finanziato con fondi regionali, ma che non è stato realizzato nei tempi previsti dalle norme sul finanziamento, tanto da richiedere al comune di sopperire con risorse del proprio bilancio.
La Corte ha ritenuto che il comune “inteso come Comunità, ha, dunque, subito un danno che può essere quantificabile nell’ingente ammontare di risorse destinate a questa opera e, perciò, distolte ad altre possibili spese di utilità per la cittadinanza e, invece, andate nella maggior parte sprecate vista la non fruibilità o, comunque, della minima utilità del bene rispetto a quanto poteva e doveva essere realizzato anche con diversa tempistica. Tra l’altro proprio alla tempistica non consona alla realizzazione sono derivate o, quantomeno, sono state facilitate le vandalizzazioni che in un teatro funzionante, sarebbero state molto più facilmente evitabili”.
In effetti, “il venir meno del finanziamento regionale ha comportato che il Comune ha dovuto impiegare risorse proprie per tale opera, appunto distogliendole da altre spese a vantaggio della popolazione e falsando l’allocazione delle risorse che costituisce un modo ineludibile per garantire la programmazione delle spese a vantaggio dell’utilità pubblica”.
Come si dimostra, nel caso di specie il danno non è connesso di per sé al mero “ritardo” nella gara o nella stipulazione del contratto o nell’avvio dei lavoro. Il ritardo è rilevante non di per sé, ma in quanto elemento che nella ricostruzione degli eventi causativi del danno emerge come causa scatenante della revoca del finanziamento regionale. Infatti, spiega la sentenza, “il danno in questione non riguarda solo il fatto che il Comune ha dovuto indebitarsi per compiere l’opera, ma anche la constatazione che le risorse comunali andate a sopperire le mancate risorse regionali sono state sottratte ad altri bisogni della comunità. Nella scelta iniziale il teatro doveva essere finanziato dalla Regione, evidentemente, quindi, i vertici politici non ritenevano di poter destinare ad esso risorse proprie, evidentemente indirizzate ad altri fini ...Tale programma di allocazione è stato, alla fine, del tutto disatteso e ciò ha comportato che la popolazione ha subito un danno, a prescindere dal fatto che l’opera sia stata poi (comunque, solo parzialmente) ultimata, vedendo ridotte le entrate comunali per carenza del finanziamento, senza che le spese, a tale finanziamento connesse, fossero rimandate. Infatti, si è dovuta finanziare in proprio l’opera, ancora oggi di nessuna o limitatissima utilità, ignorando la revoca del finanziamento, e di questo sono responsabili entrambi i convenuti”.
Il danno, quindi, si è verificato non per il ritardo in sé, sibbene per la violazione delle regole fissate dalla regione ai fini dell’erogazione del contributo. E la responsabilità è stata accertata dalla sentenza, che è del 2019, anche in assenza delle previsioni del d.l. “semplificazioni”, che è del 2020.
Ciò a definitiva dimostrazione sia della circostanza che la responsabilità per danno erariale emerge solo se si verifica un danno e non per il mero ritardo (il quale è solo un elemento di valutazione del nesso di causalità e del profilo di colpa o dolo), sia della sostanziale irrilevanza della previsione del 2020. Essa non aggiunge e non toglie nulla alla situazione normativa, ai sensi della quale il danno erariale è sempre stato connesso ad un sacrificio patrimoniale concretamente verificatosi e dovuto a condotta dolosa o gravemente colposa, rispetto alla quale l’osservanza di specifici termini è solo un elemento valutativo, non la causa scatenante.
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