domenica 26 settembre 2021

Smart working: lo stop del Dpcm è legittimo. L'accordo individuale non è ancora operante.

Anche se la parte narrativa del Dpcm 23.9.2021, il cui compito dovrebbe consistere nello spiegare le ragioni e le basi giuridiche del provvedimento, non riesce a chiarirlo in modo sufficiente, il cosiddetto “rientro” dal lavoro agile ha una sua chiara base giuridica che lo rende pienamente legittimo.

Detta base si reperisce nell’articolo 87, comma 1, del d.l. 87/2020, il cui testo si riporta nella seguente tabella, a fianco di quello dell’articolo 1 del Dpcm 23.9.2021:

Articolo 87 d.l. 18/2021, convertito dalla legge 27 2020

Articolo 1 Dpcm 23.9.2021

Fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-2019, ovvero fino ad una data antecedente stabilita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, il lavoro agile è una delle modalità ordinarie di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che, conseguentemente:

 a) limitano la presenza del personale nei luoghi di lavoro per assicurare esclusivamente le attività che ritengono indifferibili e che richiedono necessariamente tale presenza, anche in ragione della

gestione dell'emergenza;

 b) prescindono dagli accordi individuali e dagli obblighi informativi previsti dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81.

A decorrere dal 15 ottobre 2021 la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, è quella svolta in presenza.


Come si nota, l’articolo 87:

  1. considera il lavoro agile come “una delle modalità ordinarie” della prestazione lavorativa, dunque equivalente con il lavoro tradizionale;

  2. subordina il lavoro agile inteso appunto come una tra le modalità ordinarie di resa della prestazione alla cessazione dello stato di emergenza, che è stato prorogato fino al 31.12.2021;

  3. tuttavia, rimette al Presidente del Consiglio il potere di adottare un decreto, per mezzo del quale stabilire in una data anche precedente alla cessazione dello stato di emergenza, che il lavoro agile sia regolato in modo differente.

Pertanto, il Dpcm 23.9.2021 è attuativo dell’articolo 87 citato prima e sorretto da questo sul piano giuridico.

C’è una sola, ma rilevante incongruenza: il Dpcm 23.9.2021 interviene sulla materia come se il testo dell’articolo 87 fosse ancora quello originario, che proponiamo di seguito:




Originariamente, il Legislatore aveva qualificato il lavoro agile come “modalità ordinaria” unica di svolgimento della prestazione lavorativa. Con l’articolo 26 del d.l. 104/2020, convertito dalla legge 126/2020, il testo dell’articolo 87 è stato modificato, così da qualificare il lavoro agile come una tra le possibili forme ordinarie di resa della prestazione lavorativa, indicazione per altro maggiormente coerente con le disposizioni dell’articolo 18 della legge 81/2017, che regola il lavoro agile senza qualificarlo né forma ordinaria, né forma straordinaria, bensì come facoltà organizzativa, per altro da promuovere attivamente da parte del datore di lavoro.

Passare dal lavoro agile come “una tra” le forme di espletamento, al lavoro un po’ atecnicamente qualificato “in presenza” (il lavoro agile non è certo realizzato da “assenti”, ma da persone “presenti” in luoghi diversi da quelli della sede di servizio) come modalità unica “ordinaria” porta ad una conseguenza: lo smart working diviene una forma “straordinaria”. Il che ne rende più complessa l’attivazione. L’opera di “promozione” di questa forma organizzativa, richiesta dall’articolo 18 della legge 81/2017, quindi, diviene più difficoltosa, il che pone problemi di coordinamento tra il Dpcm e la norma da ultimo citata, che in qualche misura appare vulnerata in modo non corretto.

In ogni caso, il Dpcm 23.9.2021 non incide in nessun modo sull’accordo individuale. Non è il Dpcm la fonte normativa per effetto della quale il lavoro agile è da condizionare all’accordo. Infatti, dell’articolo 87, comma 1, del d.l. 18/2020 resta ancora in vigore (non essendo stata abrogata né esplicitamente, né tacitamente) la lettera b), secondo la quale le PA nell’attivare il lavoro agile “prescindono dagli accordi individuali e dagli obblighi informativi previsti dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81”.

Quindi, la fonte della disposizione in lavoro agile resta ancora, fino ad una revisione di questa previsione normativa ultimo citata, un atto organizzativo della PA, che dovrà, però, avere il supporto di una motivazione particolarmente estesa e profonda, vista la connotazione di straordinarietà del lavoro agile. E la motivazione non pare possa fondarsi su singole esigenze soggettive del lavoratore – meno che mai l’interesse di questo a non accedere ai locali d’ufficio in quanto non in possesso del green pass – perché occorre ovviamente un chiaro interesse pubblico da conciliare a quelli eventualmente dei singoli lavoratori.

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