sabato 9 ottobre 2021

Le sostituzioni impossibili dei dipendenti "no pass" e gli errori continui della stampa sullo smart working nel pubblico impiego

 Il green pass è una scelta a metà e, come tale, non poteva che portare problemi attuativi ed operativi.

Uno tra questi è quello della sostituzione dei dipendenti, ai quali il decreto consente un'opzione: quella di scegliere di non lavorare, senza retribuzione, avendo la certezza, tuttavia, della conservazione del posto di lavoro.

Come sostituire, allora, questi dipendenti? Il d.l. 127/2021 sul punto è sostanzialmente laconico.

Per quanto riguarda il datore di lavoro pubblico, più che laconico, il d.l. non dice assolutamente nulla. Il datore pubblico, nei fatti, non ha alcun modo di sostituire i dipendenti che ritenessero di non prestare attività lavorativa. L'enormità dei vincoli giuridici, contabili e procedurali che condizionano le assunzioni nella PA sono un ostacolo praticamente insormontabile. L'unico sistema per provare a tappare le falle che potrebbero crearsi di qua al 31.12.2021 è che la singola PA abbia sottoscritto con un'agenzia di somministrazione di lavoro un contratto "aperto", mediante il quale sopperire "on demand" alle carenze.

Per il datore privato il d.l. 127/2021 prevede una soluzione solo apparente e comunque ingarbugliata e parziale. L'articolo 3, comma 7, dell'articolo 9-septies aggiunto al d.l. 52/2021, convertito in legge 87/2021, dispone: "Per le imprese con meno di quindici dipendenti, dopo il quinto giorno di assenza ingiustificata di cui al comma 6, il datore di lavoro puo' sospendere il lavoratore per la durata corrispondente a quella del contratto di lavoro stipulato per la sostituzione, comunque per un periodo non superiore a dieci giorni, rinnovabili per una sola volta, e non oltre il predetto termine del 31 dicembre 2021".

Come si nota, la norma riguarda solo le imprese di piccolissime dimensioni, che:

  1. sono poste in una posizione di pati, debbono prima subire, cioè, l'intento del lavoratore no-pass di non presentarsi al lavoro;
  2. debbono aspettare 5 giorni: ma, in aziende di piccolissime dimensioni, ciò potrebbe fermare del tutto l'attività per una settimana e più;
  3. debbono adottare il provvedimento di sospensione del lavoratore no-pass;
  4. sulla base di questo, assumere con un contratto a termine, di durata non superiore a 10 giorni, qualcuno che sostituisca il lavoratore no-pass.

Supponiamo che l'azienda abbia sospeso uno o più dipendenti no-pass e che vada per sostituirli. Qui si presenta il difficile: come fare?

Non si dimentichi che la sostituzione è possibile per soli 10 giorni. Provare ad assumere sulla base delle ordinarie modalità di un sistema di incontro domanda-offerta che nel mercato del lavoro italiano è deficitario sotto ogni punto di vista, sarà molto complicato sotto due aspetti:

  1. attivare strumenti di incontro domanda offerta che in modo efficiente riescano a reperire candidature di persone disponibili ad attività lavorative di così breve durata;
  2. soprattutto, garantire che i sostituti dispongano di competenze e capacità lavorative immediatamente spendibili, tali cioè da consentirne l'inserimento nelle attività lavorative aziendali con subitanea efficienza.

Si tratta di impresa non impossibile, ma alquanto improbabile.

E. le imprese con almeno 15 dipendenti? sono poste nella stessa condizione dei datori di lavoro pubblici, nella sostanza.

Può, la somministrazione di lavoro, essere una soluzione anche per le aziende private, sia con meno di 15 dipendenti, sia per quelle più grandi? Certo.

In generale, comunque, per tutti datori restano i seguenti problemi:
  1. anche le agenzie di somministrazione non possono non incontrare i problemi della necessità di individuare subito e velocemente personale perfettamente formato ed in grado di sostituire i no-pass;
  2. occorrono contratti quadro di natura "aperta", con i quali poter chiedere l'avviamento veloce per qualsiasi possibile figura aziendale;
  3. la somministrazione costa e non tutti i datori possono permettersela, almeno non senza agire, poi, sui prezzi.
Si dirà: ma se si sostituisce un lavoratore assente, questo non ha diritto ad alcuna retribuzione, per cui il costo della somministrazione viene compensato.
Vero. Ma, intanto, risulta evidente la complessità gestionale. Però, non si tiene nel dovuto conto che:
  1. le imprese con meno di 15 dipendenti possono sostituire, come rilevato sopra, solo dopo 5 giorni: un tempo che potrebbe incidere in maniera pesantissima sullo svolgimento della propria attività; in quei 5 non si pagano stipendi, ma si rischia di avere un calo forte della produzione se non la chiusura (si pensi a piccoli artigiani o commercianti che si trovano privi magari di collaboratori fondamentali per la stessa apertura dell'esercizio);
  2. le PA e le imprese con almeno 15 dipendenti non hanno la possibilità di sospendere e sostituire; dovrebbero provare a scatenare un sistema di sostituzione "giorno per giorno": impresa improba.
Nella realtà, i datori vengono assoggettati al rischio che i dipendenti no-pass attivino assenze "a scacchiera": non si presentino per 4 giorni, ma al quinto sì, sulla base di un rapporto costi benefici tra costo dei tamponi e riduzioni stipendiali. Per non parlare, poi, delle richieste di ferie che pioveranno o delle assenze per malattia. Le ferie richieste per mancanza di green pass corrispondono alla volontaria comunicazione, appunto, di assenza del certificato verde e, quindi, non andrebbero concesse e farebbero scattare l'assenza ingiustificata col taglio stipendiale; ma, dietro l'angolo è facile immaginare anche l'attivazione di possibili diffusi contenziosi. In quanto ai certificati di malattia, non vi sarebbe molto da fare.

Dunque, i datori rispetto ad assenze programmate, per esempio di due giorni la settimana in modo da ridurre il numero dei tamponi, non avrebbero soluzioni: dovrebbero subire temporanee ridottissime riduzioni di organico, senza nemmeno poter programmare sostituzioni, che nemmeno l'operato delle agenzie di somministrazione potrebbero garantire con questi ritmi.

Qualcuno se n'è accorto, come evidenziano i quotidiani del 9.10.2021, che danno conto delle lamentazioni di Confindustria dell'Emilia Romagna. Se ne stanno iniziando ad accorgere anche le imprese. Ma, purtroppo, adesso il treno è in corsa.

Infine, un'osservazione sulla confusione che la stampa italiana è in grado di ingenerare su questi temi, che si intrecciano con quello dello smart working, in particolare nella PA.

C'è ancora chi sostiene che il lavoro agile nella PA potrà essere garantito "nel massimo" entro il 15%, massimo che può salire al 60% se la PA è dotata del POLA:

Si tratta dell'articolo pubblicato il 9.10.2021 su La Stampa, "Green pass, 5 milioni senza vaccino", di Paolo Russo.
Peccato, però, che:
  1. il 15% è un un MINIMO non un massimo;
  2. la possibilità, mediante il POLA, di disporre in smart working il 60% del personale addetto alle attività "smartabili" era prevista dal testo dell'articolo 14 della legge 124/2015 previgente all'ultima redazione del testo, derivante dalla novellazione operata con l'articolo 263 del d.l. 34/2020, convertito in legge 77/2020. Ma, questo testo è rimasto in vigore fino al 29 aprile 2021. Dal 30 aprile, il 15% è la soglia MINIMA dello smart working nella PA, sia con POLA, sia senza POLA, per effetto dell'articolo 1, comma 2, del d.l. 56/2021.
Se i giornali fossero in grado di fornire notizie sulle norme vigenti in modo corretto, non sarebbe male.


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