sabato 2 ottobre 2021

Un DM che attua un Dpcm, contrastando con le leggi e le competenze assegnate ai Ccnl. L'apoteosi del caos nelle Linee Guida sul green pass

 

Lo stato di confusione imperante a Roma è ormai fuori dagli argini. La bozza delle Linee Guida che disciplinano il "rientro in servizio", da adottare con un decreto ministeriale, prevede "nelle more" della regolazione del lavoro agile da parte della contrattazione collettiva, di disciplinare ed introdurre dal 15 ottobre l'accordo individuale di lavoro, come fonte della disposizione in lavoro agile.

Si tratta di un vulnus gravissimo alla gerarchia delle fonti e di uno sfregio anche alle prerogative sindacali.

Infatti, l'articolo 263 del d.l. 34/2020, convertito in legge 77/2020, sul punto dispone con estrema chiarezza che "Al fine di assicurare la continuita' dell'azione amministrativa e la celere conclusione dei procedimenti, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, adeguano l'operativita' di tutti gli uffici pubblici alle esigenze dei cittadini e delle imprese connesse al graduale riavvio delle attivita' produttive e commerciali. A tal fine, le amministrazioni di cui al primo periodo del presente comma, fino alla definizione della disciplina del lavoro agile da parte dei contratti collettivi, ove previsti, e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2021, in deroga alle misure di cui all'articolo 87, comma 3, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, organizzano il lavoro dei propri dipendenti e l'erogazione dei servizi attraverso la flessibilita' dell'orario di lavoro, rivedendone l'articolazione giornaliera e settimanale, introducendo modalita' di interlocuzione programmata con l'utenza, anche attraverso soluzioni digitali e non in presenza, applicando il lavoro agile, con le misure semplificate di cui alla lettera b) del comma 1 del medesimo articolo 87, e comunque a condizione che l'erogazione dei servizi rivolti ai cittadini e alle imprese avvenga con regolarita', continuita' ed efficienza nonche' nel rigoroso rispetto dei tempi previsti dalla normativa vigente".

La legge prescrive, quindi, che siano i contratti collettivi a porre fine al regime semplificato che non richiede l'accordo individuale, oppure lo spirare del termine del 31.12.2021.

Ovviamente, il testo dell'articolo 263 novellato la scorsa primavera, venne scritto cavalcando l'onda dell'euforia, che faceva credere possibile sottoscrivere davvero tutti i contratti collettivi nazionali di lavoro entro il 31.12.2021.

Si è "scoperto", ma guarda un po', che tra le trattative da svolgere ed i controlli della Corte dei conti, per sottoscrivere i contratti ci vogliono mesi e che i contratti da sottoscrivere, tra comparti e aree (quella delle qualifiche e quella della dirigenza) sono circa una decina.

Il termine del 31.12.2021, dunque, si è compreso - strada facendo - che era in effetti solo uno specchietto per le allodole o una chimera: irraggiungibile.

Il rimedio previsto, però, è molto peggiore di una toppa ad un buco. Infatti, in un colpo solo con un DM si deroga ad una norma di legge, in spregio ad ogni regola basica sul rapporto di gerarchia delle fonti e, contestualmente, si incide sull'autonomia e sulle prerogative dei sindacati, anticipando in via unilaterale la regolazione dell'accordo, mentre sono in corso proprio le trattative su questo tema, nell'ambito del Ccnl Funzioni Centrali.

Di peggio non si poteva vedere. Eppure, sarebbe bastato intervenire con un decreto legge d'urgenza per correggere il testo - troppo ottimistico - dell'articolo 263 del d.l. 34/2020.

Ma, con un ordinamento nelle mani dell'Antigiustiniano vedere un DM che attua un Dpcm, violando la legge e azzerando la contrattazione collettiva non stupisce. Purtroppo.

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