Finalmente si sono accorti che l’impianto delle “riforme” degli appalti elaborato in questi mesi si fonda, sostanzialmente, sull’azzeramento delle gare aperte al mercato, con inevitabile lesione grave al principio - comunitario - della concorrenza.
Un emendamento alla legge di conversione del d.l. 152/2021 è stato approvato alla Camera, allo scopo di provare ad aprire un po' il mercato. Il risultato è un inno alla contraddizione in termini, all'ipocrisia e al pressappochismo: gli affidamenti non concorrenziali, cioè mediante procedura negoziata (un tempo denominata trattativa privata) saranno preceduti da avvisi pubblici; ma, attenzione, pur potendo questi avvisi sollecitare gli operatori economici a manifestare interesse ad essere invitati, tali avvisi non saranno da intendere come bandi, nè comunque la norma pare obbligare le stazioni appaltanti a prendere davvero in considerazione gli "auto inviti" degli imprenditori.
Insomma, qualcosa di simile alla vecchissima licitazione privata, ma comunque di diverso: l'ennesima zeppa in una normativa, quella degli appalti, che costituisce l'archetipo della sommarietà e complicazione.
Già in Italia, nonostante la farraginosità estrema del codice dei contratti (norma tra le più inefficienti, complesse, astruse, bizantine e comunque esposte a continue violazioni) ben prima del Covid gli affidamenti diretti, in nome dell’inesistente principio della “fiduciarietà” erano la maggioranza (per altro, i tecnici non vogliono progettare, affidando di fatto la progettazione alle ditte con l’offerta economicamente più vantaggiosa, trasformata in una sorta di appalto integrato, nè vogliono fare le gare perchè ritengono di scegliere in via di “fiducia”, ma poi pretendono gli incentivi per la progettazione o lo svolgimento di fasi che invece non eseguono).
Con le varie “semplificazioni” non si è semplificato nulla: semplicemente, nell’illusione che i tempi degli appalti si accorcino soltanto agendo sulla fase di gara (che incide nemmeno per il 15% complessivo del tempo totale), si è azzerata la concorrenza, estendendo all’inverosimile gli affidamenti diretti (e sollevando la confusione spaventosa, introducendo sottigliezze bizantine nella distinzione, assurda, tra affidamento diretto “puro”, affidamento diretto “mediato” e procedura negoziata).
Adesso, si prova a rimediare, con il pannicello caldo: la possibilità per le imprese di manifestare l’interesse ad essere invitate a procedure negoziate, se precedute almeno da un avviso pubblico.
Sfoltire la procedura di gara, puntare ben prima e da ben più tempo su uno strumento unico nazionale di gestione informatizzata, razionalizzare la follia pura delle norme sui requisiti di ordine generale (l’articolo 80 del codice dei contratti è semplicemente illeggibile), assicurare la cosiddetta inversione procedurale (cioè, verificare la documentazione a corredo delle offerte dopo aver valutato queste e solo sul primo e sul secondo classificato), sarebbe stata la cosa più corretta, mantenendo, però, l’impianto della gara pubblica aperta.
I tempi di una procedura aperta (un tempo si chiamava asta pubblica), se gestita correttamente, non sono affatto superiori alle tempistiche buttate lì così dal legislatore nel tentativo di assicurare maggiore celerità. Una maggiore celerità pagata a caro prezzo, rinunciando alla concorrenza.
se questa norma ha come finalità quella di aumentare il (già esorbitante) numero di ricorsi sulle procedura di affidamento, direi che l'obiettivo è pienamente centrato
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