Qualcuno nei giorni scorsi, sulla stampa, ha avuto modo di manifestare giustificazioni di ordine pratico o connesse alle "leggi dell'economia" alle dichiarazioni di un'imprenditrice della moda, che ha affermato di assumere donne da incaricare in posizione di vertice solo se di età superiore ai 40 anni e, insomma, non più intenzionate alla maternità.
Le "leggi dell'economia", in sostanza, giustificherebbero le scelte comunque autonome degli imprenditori, e, per altro, le simmetriche norme di tutela finirebbero per essere esse la causa della poca presenza sul lavoro delle donne, quindi meglio eliminare, secondo queste teorie giustificazioniste.
In realtà, mentre le "leggi dell'economia" sono una ricostruzione complessa di cause ed effetti connesse a comportamenti e sono soggette a variazioni applicative derivanti da molteplici circostanze esterne (sicchè, a differenza delle leggi scientifiche, non si tratta di postulati fissi), le leggi dello Stato, quelle dell'ordinamento giuridico, si applicano. Piaccia o non piaccia. Nè, se si ritiene che le leggi dell'economia siano migliori sulle leggi giuridiche, le prime possono prevalere sulle seconde. Si applicano sempre e comunque le leggi dell'ordinamento.
Ebbene, una breve carrellata di poche tra le norme che vietano la discriminazione nei processi di selezione del personale e della gestione del rapporto di lavoro dimostra l'insostenibilità tanto della tesi secondo la quale è manageriale ed imprenditoriale frapporre la maternità all'acquisizione di posizioni di vertice delle donne, quanto di ogni testi giustificazionista, fondata su argomentazioni oggettivamente solo speciose
Alla base di queste dichiarazioni pubbliche c'è evidentemente un problema culturale. Lo conferma in questi giorni il caso del commerciante di Asiago, il quale, non pago della salatissima sanzione comminatagli dall'Ispettorato del Lavoro per avere esposto il cartello "cercasi commesse diciottenni libere da impegni famigliari", lo ha rimesso in vetrina. Interpellato dai giornalisti ha dichiarato: "Sono un libero professionista che non dipende da alcun sindacato e che ha il diritto di fare ciò che vuole nella propria azienda. Il cartello non offende nessuno, non è in alcun modo denigratorio bensì chiaro nella figura che stiamo cercando di inserire nella nostra attività. Non si comprende questo accanimento nei nostri confronti da parte di alcune sigle sindacali, nei confronti delle quali noi non abbiamo nessun obbligo di esporre le nostre politiche aziendali". Non ci sono parole.
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